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Nella classifica delle fintech più interessanti d’Europa del 2019, pubblicata sul sito eu-startup, figura anche l’idea di due italiani oggi a Londra, con una storia incredibile da raccontare. La fintech si chiama True Layer e per capire la bontà del progetto basta ricordare l’ultimo round ottenuto: 35 milioni, con l’investimento guida di Tencent, il colosso cinese che detiene la proprietà di WeChat.

TrueLayer è la fintech ideale in questi tempi di Open Banking, siccome si occupa, attraverso la sua piattaforma di mettere in contatto le banche e le terze parti (le fintech) attraverso le API. Abbiamo raggiunto, Francesco Simoneschi, romano, laureato in economia a Londra, che ci racconta le origini di un progetto nato da un’amicizia sui banchi di scuola, da una exit, e da una lunga esperienza in Silicon Valley.

Da Roma alla Silicon con l’exit

Francesco si iscrive ad ingegneria alla Sapienza, ma poi la vita lo porta dall’altra parte del mondo. L’avventura inizia anni prima quando insieme a Luca Martinetti, suo amico storico, fonda DomainSpot, una startup notata da Sedo, marketplace tedesco di domini, che la acquisisce. Luca e Francesco si trovano a gestire la sede americana dell’azienda, in Silicon Valley.

Si sa che la Silicon è piena di spunti e ricca di ispirazione, i due lasciano DomainSbot per “buttarsi” in nuovi ambienti. Dopo vari lavori, Francesco entra in un fondo di investimenti, Mission and Market, dove insieme a un altro founder del fondo, Stefano Bernardi, si appassiona al fintech e al tema dell’Open Banking: 

«Mi sono messo a studiare il fintech americano ed europeo. L’Open Banking era già qualcosa di cui si parlava. In America erano nate le prime piattaforme, soprattutto nel payment, con alcuni leader oggi del mercato come Stripe o Dwolla. Mi sono convinto che era il momento giusto per creare una piattaforma di servizi per l’Open Banking in Europa», racconta Francesco.

Per realizzare un business di successo, ha bisogno del supporto del suo amico Luca. Lo chiama mentre lui è impegnato in una fintech (Plaid, ndr) che lavora proprio per aiutare gli sviluppatori a sfruttare le opportunità della nuova direttiva del Psd2

«L’ho chiamato e ho capito subito che avevamo ancora una grande voglia, entrambi, di lavorare insieme. Siamo due appassionati del settore, ed eravamo disposti a impegnarci, con una totale abnegazione, sfruttando anche il timing molto favorevole».

Davanti a loro si aprono due opzioni, la prima è restare in Silicon Valley e da lì sviluppare il core dell’azienda, la seconda trasferirsi a Londra, per essere più vicini al loro mercato di riferimento: 

«Non è stato facile fare una scelta. La Silicon offre tantissimi stimoli per un imprenditore. Ma avevamo bisogno di puntare su investitori che conoscessero meglio il mercato europeo. Trasferirci a Londra ci è sembrata la naturale evoluzione del progetto».

Come True Layer lavora nell’Open Banking

TrueLayer servizi Open Banking

Francesco e Luca immaginano una piattaforma di sviluppo dove fosse più semplice, per gli sviluppatori, scambiare informazioni con le banche attraverso le API: 

«La regolamentazione della Psd2 sono molto complesse e non esiste uno standard tecnico che armonizzi il mercato. Siamo partiti dalle esigenze dello sviluppatore medio che deve integrarsi con un numero x di banche. Il primo step è stato acquisire uno status di operatore di mercato (autorizzati dalla FCA come istituto di pagamenti, ndr). Poi abbiamo iniziato a dialogare con gli istituti finanziari per integrarci con i loro sistemi».

Francesco ci racconta di una delle difficoltà maggiori che ha incontrato nella fase di sviluppo del progetto: la startup deve connettersi a tutte le banche, con le loro API. Molto, spesso, accade che queste non siano state testate. In questi casi TrueLayer lavora a fianco degli istituti finanziari per far evolvere i loro sistemi.

Da questo lavoro è nata una piattaforma universale che ambisce ad aiutare gli sviluppatori di app fintech ad accedere ai dati della maggioranza delle banche in Europa. Partiti dall’UK con clienti come Monzo, la fintech si sta aprendo al mercato francese, tedesco e italiano.

A mettere “un po’ di benzina nel motore” di True Layer ci pensano i primi seed. I primi 7,5 milioni arrivano grazie a investitori che sono nel network dei due startupper, come MoffuLabs, gruppo di angel che opera in Italia, molto esperto sul settore bancario. Poi è arrivato Northzone, che ha già investito in startup di successo come Spotify e iZettle, Klarna. 

Primi investimenti che hanno “fatto un po’ da dinamo”, nell’attrarre altri grandissimi player come Tencent, di cui abbiamo già parlato, e Temasek, fondo di Singapore che gestisce un portafoglio di oltre 300 miliardi.

L’importanza del timing

«Si parla tanto della qualità del team, del prodotto, della dimensione mercato, ma si dà ancora troppa poca enfasi a un elemento decisivo nel creare una startup che può reggere sul mercato: il timing».

Lui e il suo team sono stati davvero maestri nell’individuare il timing giusto, nel capire qual era il momento giusto per entrare sul mercato e quale la corretta dose di investimenti da fare: 

«In un mercato così competitivo, il timing diventa un fattore chiave, se arrivi troppo presto o troppo tardi perdi efficacia. Noi ci siamo dati inizialmente una finestra di sei mesi, per studiare un primo ecosistema, quello britannico, e capire da questo che margini avevamo per allargarci nel resto d’Europa. La nostra più grande sfida oggi? Assumere persone all’altezza per concretizzare le nostre ambizioni di espansione».

Un consiglio agli startupper italiani: «meno premi, più sostanza»

Francesco è un attento osservatore del fintech italiano. Ammira i percorsi di Satispay e Credimi («che fa numeri straordinari anche se se ne parla poco in Europa») e dall’alto della sua esperienza di startup seriale e globetrotter, offre consigli agli startupper italiani:

«Vedo tanta dispersione di energie, specie in Italia, nel partecipare a tutti i costi a premi o a percorsi di accelerazione. Meglio lavorare a fari spenti e concentrare energie e risorse per avere subito una traction da mostrare. Fare una startup richiede tantissima resistenza mentale. Uno startupper è come un atleta. Chi lo guarda, lo nota solo quando ottiene risultati importanti, ma spesso ignora gli anni di abnegazione che ha trascorso per arrivare a quell’obiettivo».