Ricevere molte email era un segno di prestigio da raccontare in giro. I nostri contatti di rete per scatenare invidia e ammirazione parlavano di zero inbox: quell’espressione inglese indicava non tanto che loro, avendo risposto a tutta la marea montante di mail erano indefessi lavoratori ma che, poiché ne ricevevano così tante da dover dedicar loro molto tempo, erano persone importanti.
La posta elettronica era così importante che Bill Gates, un signore che prima di trovare la strada della sua vita nella filantropia si è occupato per un certo tempo di computer, un giorno propose la creazione di un francobollo elettronico per le mail: una piccola cifra da pagare per ogni messaggio inviato. In quella curiosa, analogica, maniera si sarebbe – diceva Gates – sconfitto lo spam e probabilmente – aggiungiamo noi – aumentato il tempo libero dei nostri amici con la casella piena di importantissimi messaggi a cui rispondere. Nessuno gli diede retta.
Le statistiche oggi raccontano che le persone sotto i trent’anni considerano l’email uno strumento di comunicazione vecchio e formale: a me che ho cominciato ad utilizzarla quando vecchio e formale era il telegrafo e la email appariva giovanissima e formidabile tutto questo fa un po’ impressione. Ma è vero: non possiamo farci nulla, è così comunque, anche se magari non ci piace. Ogni tanto, per vecchia abitudine, mando a mia figlia adolescente via email il link a un articolo o una foto che mi sembra carina. Poi aspetto. In genere non succede nulla. Dopo una settimana chiedo timidamente: ma non hai visto quell’articolo che ti avevo segnalato? Mi risponde: no, non l’ho visto. Non ricordo la password dell’email, devo averla segnata da qualche parte, dopo controllo.