Creare un’impresa di valore, non solo economico, che punti sull’empowerment femminile sfruttando competenze personali e digitali. Come nasce questa “missione”?
Moltissime donne hanno sofferto così tanto nella loro scala di carriera che arrivate a un certo punto desiderano quasi che chi sale soffra allo stesso modo per dare valore al successo. Io credo che questo sia sbagliato. Si può crescere professionalmente in tanti modi e la sofferenza non è una buona maestra. Ho cercato di fare del mio meglio, portando valore già all’interno, partendo dalle donne che lavorano con me. Sono partita da un piano welfare privato e completo, per me è stato di vitale importanza. La mia cultura aziendale è nata in Francia, dopo la laurea in Architettura. Le mie prime esperienze sono state da impiegata e, una volta arrivata in Italia, ho capito che il welfare francese non era perfetto, ma più completo. Da imprenditrice ho potuto scegliere e creare le mie condizioni per la mia azienda.
Un esempio?
Le ragazze mi hanno chiesto di poter fare mezz’ora di pausa pranzo per uscire mezz’ora prima, alle 17.30. Abbiamo smantellato gli uffici, lavoriamo in smart full time. Non abbiamo deciso di non aver mai più uffici fisici, ma di aspettare per vedere come evolverà il mondo del lavoro dopo questa crisi.
Le tue dipendenti sono tutte donne. Scelta “attivistica”?
No! Il mio business è rivolto al 100% alle donne. Ho bisogno di teste che capiscano le emozioni e i modi di fare femminili perché è quello il nostro target.
Perché proprio questo target?
E’ stato un fatto naturale. Il mio modo di insegnare, comunicare, fare storytelling è legato all’emotività e io conosco le mie emozioni. Sono io il mio target. E il mio target ora è la me di cinque anni fa. Io comprendo le persone a cui mi rivolgo. Come posso parlare a un uomo se non so veramente come ragiona? Io non pretendo di fare/sapere tutto. Faccio quello che so.
Corsetty oggi e una piattaforma di formazione online rivolta alle donne e all’imprenditoria al femminile. Quanta strada ancora c’è da fare in questo senso?
Ancora non ci siamo. C’è tanto lavoro da fare. Io sono un’attivista per la parità e sostengo qualunque mezzo utile per arrivarci. Non credo ad esempio che le quote rosa siano efficaci, ma se ora possono servire per velocizzare alcune dinamiche e scuotere il sistema, ben vengano le quote rosa. Ma non ci siamo ancora. Ti faccio un esempio su cosa significa oggi essere una donna dirigente di azienda: ci sono alcuni fornitori che non parlano con me o, banalmente, mi danno del tu. Io mi presento, dico che sono la Dottoressa Benini, che sono la responsabile e chiedo di poter partire da capo con la conversazione. Non ti prendono ancora sul serio, c’è tanta discriminazione. Io continuo a scendere in piazza proprio per questo, ma voglio specificare che non mi arrabbio. Scendere in piazza arrabbiate secondo me è inefficace. Si rischia di non essere prese sul serio perché la rabbia è una conseguenza della perdita di controllo e non ce lo possiamo permettere. Dobbiamo avere anzi il controllo della situazione per capire la strategia vincente per raggiungere i nostri obiettivi.
La tua storia è fatta di emozioni, di sconfitte e di successi. Ma anche di numeri: non solo quelli dei corsi e dei personaggi lanciati. Parliamo un po’ di donne e soldi. Ce n’è bisogno? Perché?
C’è ancora bisogno di parlarne, finché non sarà diventato normale. Così come c’è ancora bisogno di mettere solo donne su un palco, finché non sarà normale. Per questo sul palco del 9 Muse (evento ispirazionale creato da Spora, ndr) ci ho messo e continuerò a metterci solo donne che raccontano le loro storie, anche piccole non importa, ma con grandi ricominciamenti perché l’esempio proattivo funziona: vedere che qualcuno come te ce l’ha fatta o ce la sta facendo ti può dare la forza. L’esempio arrivabile, non quello delle super mega CEO. Per questo l’evento, che quest’anno si terrà il 21 novembre, sarà totalmente online e a un prezzo popolare di 17 euro, perché deve poter arrivare a tutte. L’ispirazione funziona, noi l’abbiamo chiamata l’onda viola. E per farla durare, dopo l’acquisto lo streaming è in replica per due mesi e le donne ci chiamano anche dopo per raccontarci la loro storia. Per noi è marketing, ma anche attivismo.
Tornando sulla questione “soldi” ci tengo però a fare una precisazione. Parlare di soldi, a livello culturale, era brutto per tutti fino a qualche anno fa. Certo, il contesto è quello che fa sempre la differenza, ma dagli uomini è percepito in modo diverso perché nella cultura patriarcale è l’uomo che porta i soldi a casa e la donna è quella che bada alla famiglia. Che la donna faccia soldi è dunque percepito come diverso. Non dico negativo, ma diverso. Nella sfera della percezione umana ciò che è diverso è strano, e acquista spesso un registro negativo.
“Vendere a tutti è impossibile” hai detto qualche giorno fa nelle tue stories, in riferimento al tuo business. “Bisogna vendere a chi ha i tuoi stessi valori”. Quanto è importante comunicare ogni giorno ed essere Activist Ceo per creare una community solida e fedele a te, prima che al prodotto?
Questo lo racconta molto bene Simon Sinek in “Start With Why”: a prescindere da quello che tu vendi, le persone fanno affari con te perché condividono dei valori con te.
“Il mondo è di chi spinge” è un po’ il tuo motto. Tu e il tuo team spingete ogni giorno per offrire il massimo. Cosa vogliamo dire a chi non ci riesce? A chi non vede, soprattutto in questo momento, la vita “oltre il divano”?
Da un punto di vista umano voglio raccontare la mia storia, come esempio di forza e volontà: io mi sono fatta da sola, partendo dal basso. Sono nata in Argentina e mio papà era camionista. Molti dicono di me “chissà chi l’ha aiutata”, rimarcando il solito stereotipo. E invece no, se hai una buona idea, una buona strategia che ti può portare avanti puoi farcela anche se nessuno ti “spinge”.
Parlando di business invece io credo che quando un business non va perché non decolla, perché cala, perché fallisce: bisogna cambiarlo. Se hai fatto bene i compiti puoi resistere forse un po’, se hai studiato bene i tuoi clienti, il tuo target, quali sono le loro emozioni e hai creato per loro una soluzione sotto forma di prodotto/servizio, gli stai dando un valore e sono pronti per questo a spendere soldi. Spesso però l’errore che si fa è non sapere a chi si sta venendo e dunque ci si rivolge alle persone sbagliate con un prodotto sbagliato per loro. E’ fondamentale individuare sempre la buying persona. Con il Master in social media manager ho fatturato, a maggio scorso, mezzo milione in tre ore e dieci minuti crashando il sito con 52mila pagine aperte. Non lo dico per tirarmela con i numeri di fatturato, ma sono la prova per far capire che se individui un’esigenza e crei il prodotto/servizio giusto, funziona. Se sai a chi vendi, allora vendi.