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Qual è stato l’effetto del lockdown dei mesi passati sui casi di bullismo e cyberbullismo?

L’impossibilità di potersi incontrare ha sicuramente diminuito i casi di soprusi “reali”, ma ogni adolescente ha aumentato esponenzialmente il tempo trascorso sui social network per colmare il gap creato dalla mancanza di incontri fisici. Il cyberbullismo ha preso il sopravvento? O vale la regola dell’ “occhio non vede e cuore non duole”? Lo abbiamo chiesto a Diana Gini, 16 enne al quarto anno delle scuole superiori, ex vittima di bullismo e cyberbullismo per tutti gli anni delle elementari e medie ed oggi uno dei punti di riferimento per la Generazione Z che cerca supporto e conforto da chi li può realmente capire.

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Da vittima a sostenitrice e motivatrice

Non è un caso che Diana porti il nome della coraggiosa dea latina della caccia protettrice delle donne.

Così giovane si comporta come “sorella maggiore” per decine e decine di ragazzi a lei sconosciuti che, come lei, sono vittime di bullismo e cyberbullismo. La contattano attraverso il suo profilo Instagram per consigli ma soprattutto quella comprensione che spesso i loro genitori non gli concedono, troppo presi dai loro ben più gravi problemi da adulti.

I ragazzi hanno conosciuto Diana dopo la sua partecipazione a diversi eventi, fra cui lo Stand Up for Girls del 2019, l’ evento annuale che la ONG Terre des Hommes organizza in occasione del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’anno scorso Diana, da un palco milanese e in streaming online, ha condiviso la sua esperienza come vittima di bullismo.

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La sua storia iniziò alle scuole elementari. Frequentava la stessa scuola di sua sorella maggiore, Diletta, che ha solo quattro anni in più di lei ed è affetta da una grande disabilità dalla nascita. I maestri, non preparati a gestirla in caso di bisogno, fanno affidamento sulla piccola Diana fin da subito. I compagni di scuola però reagiscono in modo irrazionale:

“Mi dicevano che se mia sorella era handicappata allora lo ero sicuramente anche io e che allora starmi vicino faceva schifo e che me ne dovevo andare e starmene da sola. Hanno incominciato prima a perseguitarmi a parole ed urla, quotidianamente, senza tregua. Poi è arrivato il momento degli atti fisici: dagli sputi dentro il mio piatto in mensa agli spintoni e sgambetti in corridoio e così via. Ogni giorno.”

 

 Ma se le elementari sono state un incubo, le scuole medie sono andate anche peggio..

“Gli insulti, con il crescere dei miei compagni, diventavano sempre più forti e le persecuzioni più violente: mi inseguivano in bagno urlandomi dietro, mi davano schiaffetti, pizzicotti e spintoni. Hanno anche cominciato a chiudermi in bagno senza possibilità di uscire. Non so per quale motivo, ma nella mia testa ho cominciato a pensare che la colpa doveva essere per forza mia, del resto fra di loro sembrava andassero d’accordo. Ero io sbagliata, ero io che non riuscivo a farmi accettare e così ho iniziato a trovare conforto nel cibo e sono diventata bulimica. Oltre a questo, siccome gli unici contatti fisici che avevo con estranei erano prodotti da vessazioni fisiche, ho anche sviluppato una sindrome da trauma di contatto. In pratica vomitavo ogni qual volta che venivo toccata.”

Un taglierino puntato alla gola

Ma l’evento peggiore che ha cambiato, finalmente in senso positivo, il futuro di Diana doveva ancora avvenire:

“Me lo ricordo come se fosse ieri: il 25 gennaio 2017 una compagna di scuola mi seguì in bagno urlando, all’interno mi bloccò contro il muro e mi minacciò di morte con un taglierino puntato alla gola. Fortunatamente poi se né andata. Io rimasi immobilizzata. Poi, una volta ripresami, andai a prendere il cappotto per andarmene a casa: l’ho ritrovato completamente tagliato e stracciato dal taglierino.”

Ma come è stato possibile che queste cose succedessero senza che i professori si accorgessero di nulla?

“A quel punto mia madre è potuta andare con prove tangibili a parlare con la Professoressa che era di turno e ancora non riesco a credere cosa rispose a mia madre: ‘Signora, ma io mica sono un’esperta di cucito, cosa vuole che ne sappia se quel taglio lo ha fatto sua figlia o un’altra ragazza?’ A quel punto mia madre mi subito cambiata di istituto.”

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Il cambio di scuola e una nuova prospettiva: nasce la nuova Diana

Nella nuova scuola Diana trova un ambiente completamente diverso: i nuovi compagni la salutano, le parlano, vogliono conoscerla e, a poco a poco, iniziano anche a cercare un contatto fisico, come un abbraccio o una pacca sulla spalla dopo una battuta. Il cervello di Diana fa uno scatto e realizza che non è lei a non essere capace di farsi amare, erano i suoi ex compagni che usavano lei per trovare un modo per definirsi.

“Il problema dei bullizzati è che iniziano a incolpare loro stessi della situazione in cui si trovano e quindi poi mettono in atto delle forme di autolesionismo che possono portare ad epiloghi gravissimi. In alcuni casi purtroppo anche al suicidio. Dopo un po’ di tempo nella nuova scuola ho avuto il coraggio di scrivere della mia esperienza in un tema, che poi la mia professoressa ha voluto condividessi con tutta la classe. La reazione dei miei nuovi compagni è stata il contrario di quella a cui ero abituata: mi hanno chiesto se volessi parlarne con loro, se avevo bisogno di aiuto, mi hanno coinvolto sempre più. Intanto, nonostante la lontananza, i miei vecchi compagni continuavano a perseguitarmi sui social, ma a quel punto per me non esistevano più.”

In seconda superiore Diana prende parte alla Consulta Provinciale Scolastica e si è occupata dei tavoli di lavoro relativi agli episodi di bullismo. Da qui, la sua partecipazione all’evento Stand Up 4 Girls del 2019, attraverso il quale l’hanno conosciuta via streaming molti coetanei e ragazzi più giovani. Sono seguite testimonianze durante le Assemblee d’Istituto in diverse scuole della sua zona e i ragazzi hanno cominciato a scriverle sul suo profilo Instagram per chiederle consigli o semplicemente ricevere conforto.

 

La vita dei bullizzati durante il lockdown

I messaggi che ricevi dai ragazzi, sono diminuiti durante il lockdown non essendoci state più occasioni di bullismo reale nelle scuole e in altri luoghi?

“In realtà è successo proprio il contrario. Non esiste più differenza fra bullismo e cyberbullismo. Per la Generazione Z una cosa che succede nella vita reale ma non viene raccontata sui social è come se non esistesse. Al contrario, se è enfatizzata sui social, allora diventa reale. Pertanto la mancanza di socialità “reale” durante il lockdown ha fatto aumentare le persecuzioni delle vittime sui social, essendo l’unico canale di sfogo per i ragazzi.”

 

Come avviene, in particolare, questa persecuzione?

“I bulli, essendo per la maggior parte compagni di scuola o classe della “vittima”, hanno il suo numero di cellulare. Creano gruppi Whatsapp con altri bulli o semplicemente spettatori, il cui unico scopo è creare contenuti che denigrano la vittima. Anche la vittima è invitata nel gruppo, altrimenti non c’è gusto sadico.. Gli/le fanno vedere i contenuti fotografici o video che i bulli creano mediante facili fotomontaggi o montaggi e che ritraggono la vittima schernita o in situazioni esagerate o con la faccia posta sul corpo di un maiale o una mucca. Gli stessi contenuti spesso sono anche postati su profili Instagram fasulli, creati appositamente dai bulli ma col nome della vittima o il nomignolo che gli viene affibbiato. Le immagini diventano quindi accessibili a tutti e il/la ragazzo/a si trova senza via di scampo dall’ingiuria”.

 

Chi ti scrive solitamente?

“Soprattutto ragazze, ma chiunque può essere una vittima. In genere a me scrivono ragazzi a partire dai 13 anni fino ai 15.”.

 

Cosa ti chiedono quando ti scrivono?

“In verità non chiedono molto, vogliono semplicemente essere ascoltati e capiti, sostenuti. I loro genitori il più delle volte minimizzano. In effetti tutti sono passati attraverso delle prese in giro, ma nessuno capisce che se la cosa è reiterata e amplificata sui social, il mondo del ragazzo diventa l’unico universo possibile, che gli è pure ostile.”

 

Quando e perché inizia un atto di bullismo e cyberbullismo

Qual è la leva più utilizzata dai bulli? Odio razziale? Religioso? Sex Revenge? Differenza di genere? Omofobia?

“Tutto questo ma il più delle volte la leva è molto più semplice: si inizia dal body shaming, ovvero prendere in giro determinate caratteristiche fisiche del ragazzo/a. Per un adolescente, maschio o femmina che sia, il tema dell’aspetto fisico è quello a cui è più sensibile. Per i propri compagni si è sempre troppo magri o cicciotti, alti o bassi, pallidi, scuri, vestiti fuori moda. La società non ci dice che va bene essere come sei, ci dice che devi rispettare dei canoni irrealizzabili e l’adolescente ci casca in pieno. Il bullo usa queste leve per soggiogare psicologicamente la sua vittima.

Durante il lockdown mi ha contattato un ragazzo: a lui lo perseguitano perché è nato con gli occhi di due colori diversi. Un suo compagno di classe lo aveva minacciato di botte sul gruppo whatsapp fra compagni se si fosse collegato alla lezione a distanza su Zoom senza mettersi prima delle lenti a contatto colorate per avere gli occhi dello stesso colore. Ora, a sentirlo raccontare si può pensare che il “bullo” stesse solo esagerando. Ma stava solo esagerando anche la ragazza che mi ha puntato il taglierino alla gola? E se non si fosse fermata? Io non ci voglio neanche pensare.”

 

Non esiste bullismo senza conseguenze 

Quando la situazione diventa veramente complessa?

“Sempre, perché ognuno somatizza prima o dopo, in maniera più inconscia o conscia, ma nessuno è immune alla vessazione. In particolare mi è rimasta impressa una ragazza di quindici anni, con cui mi scrivo ancora, che già prima del lockdown mi aveva contattata per sfogarsi: i suoi compagni la prendevano in giro perché era un po’ in carne. Era diventata anoressica, e già era stata ricoverata quattro volte. Nonostante la magrezza acquisita dalla malattia i suoi compagni hanno continuato a ridicolizzarla perché “grassa”, ma solo perché avevano capito che è il suo punto debole. Purtroppo durante il lockdown la situazione è peggiorata.

Hanno iniziato a inviarle foto di lei con prese in giro, hanno creato account Instagram falsi creando dei facili fotomontaggi che giocano sulla sua forma fisica. Lei ha cominciato a non mangiare più. Ha perso 40 chilogrammi e l’hanno dovuta ricoverare perché a quel punto il suo corpo era talmente debilitato che rischiava di morire d’infarto, a quindici anni. Ora è uscita dal ricovero ed ha cambiato scuola, ma i suoi ex compagni continuano comunque a perseguitarla sui social. Ce la sta facendo, sta lottando con le sue forze, è riuscita ad uscire dall’ospedale. Io le scrivo sempre che lei ha già vinto, è già forte, non deve dimostrare niente a nessuno: la sua battaglia l’ha già superata, ha fatto tutto da sola ed ora deve solo lasciarsi andare e dimenticare il passato. Tento di dare coraggio e di sottolineare i successi che questi ragazzi hanno raggiunto, cosicché aumenti un po’ la loro autostima.”

 

Come riprendere in mano la propria autostima e libertà

Come consigli di comportarsi ai ragazzi vittime di bullismo durante i lockdown (e non solo) ?

“Spegnere i social network. Non sono essenziali, davvero. Basta provare per accorgersene. La curiosità di sapere cosa stanno dicendo su di voi è forte, lo so, ma non è reale. E se voi non lo vedete, in qualche modo non esiste. Se non potete farne a meno, riducete tantissimo il tempo che ci passate sopra e ricordate: i social li gestite voi. Non importa se è noioso, se fatto una volta lo dovete rifare e rifare di nuovo: bloccate i gruppi whatsapp creati per prendervi in giro, segnalate i profili Instagram fake che creano per ridicolizzarvi. Instagram da un po’ di tempo ha implementato una funzione apposita per segnalare atti di cyberbullismo che si verificano sia nei messaggi privati, sia nei commenti alle foto. Usateli, non abbiate paura. E poi, parlate, parlate e parlate. Se i vostri genitori non hanno tempo o non capiscono, usate i numerosi numeri di assistenza: dall’altra parte della cornetta ci sono persone preparate che desiderano esservi di supporto.”

 

E nel tuo futuro? Vorrai trasformare questa assistenza ai bulli nel tuo lavoro?

“No, il mio sogno è la politica. Vorrei una politica che aiuta tutti. Certo, vorrei continuare a fare volontariato, ho anche fatto domanda per la Protezione Civile ma sono ancora troppo piccola! Aspetterò il momento giusto, ma voglio che il volontariato per me rimanga tale. Del resto non puoi sentirti bene se non crei del bene intorno a te. Siamo una rete, ci sosteniamo a vicenda.”