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 Sono 58 donne che hanno vinto il Nobel nella storia contro 874 uomini. E il numero di donne a cui è stata conferita l’onorificenza scende a 24 se si prendono in esame le sole discipline scientifiche: considerando che Marie Curie ha vinto ben 2 Nobel (il primo per la fisica e il secondo per la chimica), il totale delle assegnazioni a scienziate è di 25 premi. Spesso si tratta di pioniere sconosciute, a volte dimenticate. Scienziate, scrittrici, attiviste di cui raramente si trova traccia nei libri. Proprio per ricordarle in Spagna è nato un movimento che si chiama “no more Matildas” e che vorrebbe ricordare queste donne per incoraggiare tante ragazze a intraprendere un percorso scientifico all’Università.

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Effetto Matilda

In nome “effetto Matilda” deriva da Matilda Joslyn Gage, un’attivista americana che dedicato la sua vita alla lotta contro le ingiustizie. È stata coinvolta in cause come l’abolizionismo o la difesa dei popoli nativi americani, ma si è distinta particolarmente nella lotta per il suffragio e per l’emancipazione delle donne. Matilda era una lavoratrice instancabile, una giornalista e più volte si mise a disposizione degli altri rischiando la propria liberà e finendo in prigione per aver ospitato a casa sua schiavi in fuga. Proprio seguendo il suo esempio la Ong spagnola Amit (Asociación de Mujeres Investigadoras y Tecnológicas), che riunisce donne del mondo scientifico, ha lanciato la compagna “No more Matildas” con l’obiettivo di aiutare le donne a trovare il proprio ruolo nella scienza e il giusto riconoscimento del loro lavoro. I dati, d’altra parte, parlano chiaro e ci fanno capire quanto il problema sia ancora attuale. In Spagna a “Ingegneria informatica sono il 12%, a Matematica sono diminuite dal 60% degli anni Duemila al 37% del 2018” evidenzia il sito. Secondo l’Unesco la presenza femminile nelle facoltà scientifiche è del 28%.

“Nella storia della scienza compaiono pochi nomi di donne nonostante siano state artefici di scoperte chiave” spiega  Carmen Fenoll, docente di biologia all’università della Castilla-La Mancha e presidente di Amit. L’elenco è lungo. Alcuni casi sono riportati in un documento di otto pagine illustrate che Amit propone di allegare ai libri di testo a partire dal quinto anno delle elementari, “quando si iniziano a studiare le figure degli scienziati” si legge sul sito della campagna. “I riferimenti femminili sono appena il 7,6% nei libri di testo delle scuole primarie e secondarie, e il 12% nei lavori accademici”.

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Le donne scienziate che bisognerebbe ricordare

L’elenco di donne da ricordare nel mondo della scienza non è affatto breve. Di una abbiamo scritto nei giorni scorsi su StartupItalia, Madame Wu, fisica nucleare che contribuì a un’importante scoperta che però valse il Nobel ai colleghi che avevano lavorato alla ricerca.

Tra le donne che hanno ricevuto il più ambito premio c’è la biochimica ceca, naturalizzata statunitense, Gerty Cori, prima donna premio Nobel per la medicina nel 1947. Premio che condivise con il marito e un collega per le scoperte sul glicogeno, in particolare per una via metabolica chiamato ‘ciclo di Cori’. Non fu facile per lei iscriversi all’università, in un’epoca in cui nelle scuole femminili non si insegnavano materie scientifiche. Riuscì comunque a superare il test di ammissione all’università grazie all’aiuto di una professoressa. In seguito dirà che quel test è stato l’esame più difficile affrontato in vita sua.

Un altro nome da ricordare è quello di Dorothy Crowfoot Hodgkin che ha ricevuto il premio Nobel per la chimica nel 1964. Con le sue ricerche contribuì alla conoscenza di strutture di fondamentali biomolecole, come il colesterolo e l’insulina. E’ stata una donna impegnata anche per il diritto allo studio e la pace nel mondo; nel 1987 ottenne il Premio Lenin per la pace grazie all’attivismo per il disarmo prodotto alla Guerra fredda.

Nel 1935, il Premio Nobel per la chimica va ad una figlia d’arte: Irene Jolio-Curie, figlia dei coniugi Curie e della famosa Maria. Anche di lei, si parla poco.

Ancora bisogna ricordare Rosalind Franklin, chimica che ottenne la prima immagine del Dna ai raggi X (ma il merito fu attribuito ai colleghi di laboratorio). E poi Henrietta Swan Leavitt, astronoma che compilò centinaia di quaderni sulla distanza tra le stelle, e Inge Lehmann, geologa che teorizzò la presenza di corteccia, mantello e nucleo terrestre.

Per arrivare a tempi più recenti c’è da ricordare anche l’immunologa francese Francoise Barré-Sinoussi, premio Nobel per la medicina nel 2008, ricevuto insieme al più noto e citato Luc Montagnier, per lo studio sull’Hiv. Da ricordare anche la biologa statunitense, Carol W. Greider – Nobel per la Medicina nel 2009 per gli studi sull’invecchiamento delle cellule. Perseguitata dalle leggi razziali, Rita Levi-Montalcini, è la seconda donna italiana insieme a Grazia Deledda ad aver ricevuto un premio Nobel. Lo ottenne 1986 per aver scoperto il fattore di accrescimento della fibra nervosa, noto come NGF. Fu nominata senatrice a vita nel 2001 e fu ammessa, prima donna, alla Pontificia accademia delle scienze. Nel 2020, sembra che qualcosa si stia muovendo: ben quattro premi Nobel sono andati a scienziate.

Se Einstein fosse nato donna

 

Sul sito di No More Matildas sono pubblicati tre racconti che narrano le ipotetiche vite di Matilda Einstein, Matilda Fleming e Matilda Schrödinger, immaginando quale sarebbe stato il destino delle tre pietre miliari della scienza nel caso in cui fossero appartenuti all’altra metà del cielo. Oggi “i geni solitari nel mondo della scienza sono un’eccezione, quasi sempre il lavoro è di squadra” ragiona Fenoll, ideatrice del progetto spagnolo No More Matildas. “Ma l’effetto Matilda c’è ancora, alimentato da meccanismi inconsci”. La campagna per scardinare gli stereotipi serve, continua la professoressa, “non solo a restituire giustizia storica alle donne dimenticate, ma a farle conoscere affinché le giovani prendano in considerazione la scienza come opzione di carriera”. Le donne sono la metà della popolazione: “Non sappiamo dove sarebbe arrivato il progresso se avessimo avuto il loro pieno contributo”. Uno spreco di talento “impossibile da misurare”.

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