Della vicenda si era occupato anche Massimo Gramellini su La Stampa. Fece rumore la decisione di un albergatore di Ormea, in provincia di Cuneo, di aprire le porte a 35 immigrati nel 2015. Cittadini e commercianti protestarono, si offrirono perfino di pagare di tasca loro pur di non ospitarli. A quel punto il sindaco scelse un’altra via: integrazione attiva per coinvolgere i richiedenti asilo in un percorso prima formativo e poi lavorativo. Sistemò gli immigrati in un immobile dismesso divenuto Centro di Accoglienza Straordinario (CAS) e l’anno dopo avviò il progetto “Nuove radici” per la pulizia dei boschi e la cura del verde. «Con questi giovani siamo stati chiari: dovevano adattarsi a lavori che qui nessuno vuole fare più». Il sindaco di Ormea, Giorgio Ferraris, ha spiegato a StartupItalia perché un percorso di integrazione simile ha avuto successo. E perché con il Decreto Sicurezza il futuro di questi migranti è a rischio.

Un antidoto allo spopolamento dei borghi montani
Ormea è uno dei tanti piccoli borghi sparsi in tutta Italia che si confrontano con i rischi dello spopolamento. «L’età media dei nostri 1600 abitanti è sessant’anni. È difficile trattenere i giovani. La nostra economia – spiega il sindaco – si basa su circa 70 attività tra alberghi e ristorazione che lavorano con i turisti». Ad attrarli in quest’angolo del Piemonte tra Francia e Liguria sono anche i boschi e i sentieri. «Abbiamo migliaia di ettari di castagneti e meleti in gran parte abbandonati. Così abbiamo chiesto ai proprietari di poterci fare qualcosa senza un corrispettivo: i migranti li hanno puliti, hanno raccolto i frutti e li hanno rivenduti». A guadagnarci però è la collettività: boschi in ordine e curati sono un bel biglietto da visita per un piccolo centro come Ormea. In più, si prevengono rischi come gli smottamenti e gli incendi estivi.