Nonostante la ripresa, pur senza pubblico, dei maggiori campionati in quasi tutte le discipline, lo sport fa fatica a rialzarsi. Ad arrancare, o spesso a dover chiudere, sono i centri sportivi di tutta Italia. La riapertura delle palestre a fine maggio e la graduale ripresa delle attività in estate, ha messo in luce le forti discrepanze fra il presente, alle prese con la pandemia da Covid-19, e la normalità del passato. Le perdite economiche sono rilevanti, come spiegato a StartupItalia da Giampaolo Duregon, Presidente dell’Associazione Nazionale Impianti Fitness e Sport (ANIF). Senza dimenticare, ricorda il numero 1 dell’ANIF, l’incalcolabile danno alla salute e al benessere di milioni di persone, causato dall’improvvisa impossibilità di recarsi a fare sport e attività fisica. In attesa di vedere cosa il futuro riserverà allo sport.

Giampaolo Duregon, Presidente ANIF
StartupItalia: Quali sono state le perdite registrate a causa del lockdown?
Giampaolo Duregon: «Le perdite sono state ingenti, e non solo dal punto di vista economico. È stato martoriato lo sport nel suo complesso, dall’avviamento per i bambini e i ragazzi, all’attività amatoriale degli adulti, fino ai corsi agonistici che formano gli atleti del futuro. Con conseguenze pesanti anche dal punto di vista della salute pubblica, per la quale l’esercizio fisico è spesso una vera e propria cura. Eppure, la prevista riforma dello sport, pur essendo in grossa parte incentrata sui 100.000 centri sportivi presenti in tutta Italia, si sofferma poi alla fine solo sui temi del CONI, delle Federazioni, della durata delle cariche e dei finanziamenti. Di questi 100.000 esercizi, circa 20.000 già nel mese di giugno non sono riusciti a riaprire».
SI: Chi ha patito i danni maggiori?
GD: «Ad aver sofferto di più sono stati i centri al chiuso, in particolare quelli in cui specializzati in ginnastica e fitness. Le norme anti-Covid hanno infatti danneggiato più gravemente questo tipo di esercizi, per il sostanziale dimezzamento del numero delle persone che possono entrare in palestra, in piscina, o nelle attività a contatto fisico. Come associazione di categoria, abbiamo cercato di fare il possibile per alleviare i danni della pandemia. Cercando di garantire i 600 euro agli istruttori e al personale amministrativo, alla cassa integrazione per i dipendenti, ai finanziamenti a fondo perduto, per quanto minoritari. E in particolar modo l’accesso ai finanziamenti a tasso agevolato garantiti dallo Stato.»
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SI: La riapertura nella stagione estiva, seppur con limitazioni, in estate, ha risollevato in parte la situazione?
GD: «Il ritorno dei clienti è avvenuto in maniera molto diversa in base alle varie attività. Ancora una volta, i centri specializzati nel fitness hanno visto in media il 60% in meno degli iscritti rispetto alla normalità. È andata meglio agli impianti polivalenti che si occupano di sport all’aperto. In questo caso la perdita è di circa il 30/35% dei frequentatori abituali.»
SI: Qual è la prospettiva per settembre e per i prossimi mesi?
GD: «Innanzitutto, bisogna sperare che non ci siano all’orizzonte ulteriori chiusure. Per far fronte a questo rischio molti gestori stanno rilasciando ai clienti un’assicurazione che blocchi i pagamenti in caso di sospensione delle attività. C’è poi il grande problema di far tornare nei centri sportivi quella grande parte di clientela che in estate è mancata».
SI: Secondo lei tornerà il popolo delle palestre? Se non tornasse, quanto stimate le perdite annuali?
GD: «Le persone hanno ancora paura, nonostante la presenza di regole ferree all’interno di palestre e impianti sportivi. Se ciò non accadesse, il permanere di queste assenze si tradurrà, a livello economico, in una perdita del 50/60% per il 2020. Una situazione ancora più grave, se si pensa alla bassa marginalità di questo tipo di impiego».
SI: A questo proposito, è stato ed è davvero possibile, per i gestori, far rispettare le regole di distanziamento e di igiene?
GD: «Da una nostra indagine condotta sulle strutture sportive affiliati all’ANIF e realizzata grazie al continuo contatto che i vari centri hanno tenuto coi propri clienti, sono emersi pochissimi casi di positività al Covid. Con una frequenza assai inferiore rispetto alla media nazionale. Quindi sì, è possibile. Dietro c’è però anche un fattore etico, proprio di chi fa sport e abituato al rispetto di sé e degli altri.»

SI: Durante il lockdown è aumentato l’home fitness e i programmi da remoto. Come può questa svolta rappresentare un nuovo business per centri e aziende del campo?
GD: «Si tratta di un’evoluzione di cui, soprattutto i più centri sportivi attrezzati, stanno continuando ad usufruire. Lezioni da casa e programmi specializzati sono in grande evoluzione e rappresentano il futuro. Anche dopo la pandemia, ci sarà chi preferirà fare attività da casa, o in presenza alternata rispetto al centro sportivo».
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SI: Di app che trattano di fitness, work out e simili se ne vedono a bizzeffe. Spesso, però, manca un’effettiva certificazione di professionalità. Potranno prendere piede da qui in avanti alternative valide e di livello paragonabile a un programma in palestra?
GD: «Sì, molte società esterne specializzate forniscono applicazioni di questo tipo. Naturalmente ci sono dei costi da pagare. I centri sportivi meno attrezzati possono quindi attingere da terzi a questi servizi. Mentre realtà aziendali sportive più strutturate possono farsele in casa. Sono aspetti positivi e da non sottovalutare. Ma bisogna comunque sempre ricordarsi che il contatto umano e fisico fra le persone e gli istruttori è un antidoto potente e insostituibile per garantire il benessere psicologico di chi fa sport.»