firma email wapp 3

Ti amo, io sono in fondo un uomo
che non ha freddo nel cuore e nel letto, comando io
Fammi abbracciare una donna che stira cantando

Umberto Tozzi, Ti amo

Scusa? 

Un uomo che non ha freddo nel cuore e nel letto e che comanda lui? Ma davvero?

Va beh, si dirà, è roba degli anni Settanta. Mezzo secolo fa, ne abbiam fatta di strada. 

Mah. 

Sono ancora con noi, a dire il vero, questi pensieri, nei programmi televisivi popolari, nei jingle pubblicitari, nella musica dei bar, nel sentimento comune: motivetti semplici, in apparenza innocui, che tutti abbiam canticchiato senza curarci del significato, con la stessa ignara tronfiaggine con cui da adolescenti abbiamo usato le rock star per muovere i primi passi nell’inglese. 

Mica intendevamo replicare il maschilismo più becero, né costringere le donne in sudditanza: semplicemente non sentivamo assurda l’idea di ledere il loro diritto ad avere un lavoro, una carriera, una vita sessuale o anche solo sociale, idee politiche proprie e interessi propri. Cantavamo, allegri, con Vecchioni:

Prendila te quella col cervello
Che s’innamori di te quella che fa carriera
Quella col pisello e la bandiera nera
La cantatrice calva e la barricadera
Che non c’è mai la sera…

Prendila te quella che fa il leasing
Quella che va al briefing
E viene via dal meeting

magari anche annuendo – noi maschi, almeno – sull’ultima frase:

Stronza come un uomo, sola come un uomo.

Qualche sussulto di sdegno ci toccava, a dirla tutta, su certi eccessi vetero-borghesi:

Mi dispiace devo andare, il mio posto è là.
Il mio amore si potrebbe svegliare, chi la scalderà? > Pooh

Sereno è, sentirti giù in cucina che già prepari il mio caffè > Drupi

Io camminerò, tu mi seguirai
Io lavorerò, tu mi aspetterai, ancora Umberto Tozzi

Ho perso un’altra occasione buona stasera,
È andata a casa con il negro la troia! Vasco, pure lui.

Ma poi alzavamo le mani, noi maschi impuniti, senza avvertirne la disperazione, e nascondendoci dietro il «ma lo dite voi stesse!!!».

E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai
Dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi
Tanto sai che quassù male che ti vada avrai
Tutta me, se ti andrà per una notte > Mia Martini

Si può essere sessisti inconsapevoli? > Definizione di “sessismo”

Sì, si può. Lo siamo stati, nelle generazioni scorse. Quasi tutti, o almeno moltissimi di noi. Uomini, donne, anche persone di altri generi. Abbiamo assorbito la cultura dominante. Oggi non vogliamo più. E bisogna che c’impegniamo, per questo, non viene ancora naturale.

Siam partiti dalle canzoni proprio per questo, per riflettere su quanto sia facile lasciar uscire certi pensieri dannosi, senza curarcene troppo, perché li abbiamo dentro, e facile facile vengono fuori; e su quanto, invece, sia complicato controllarli, e via via disinnescarli, depotenziarli, fino a farli svanire.

Ma vediamo il tema più da vicino: le parole hanno un sesso?

Hanno un genere, certo. La cultura dell’inclusione ci sta rendendo sempre più accorti nel distinguere il sesso dal genere nella vita comune: ci sono persone di un sesso che hanno un’identità o un orientamento di genere diverso, e questo ha prodotto e ancora produce parecchi problemi nelle nostre società. 

sessismo

Vediamo ora quale rapporto può esserci tra i generi delle parole che usiamo nel quotidiano e il concetto di “sessismo”. Partiamo da una constatazione: nella lingua italiana abbiamo il genere maschile e il genere femminile. Stop. Quanto farebbe comodo il neutro! ci eviterebbe lo strazio dei plurali con asterischi, schwa, stucchevoli duplicazioni (colleghe e colleghi) o altre perifrasi cui ci costringiamo per non cadere in formule poco inclusive. 

Fissiamo ora il significato della parola “sessismo”. Come quasi sempre, guidati dal Treccani:

Termine coniato nell’ambito dei movimenti femministi degli anni Sessanta del Novecento per indicare l’atteggiamento di chi (uomo o donna) tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile e la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne in campo sociopolitico, culturale, professionale, o semplicemente interpersonale; anche, con significato più generale, tendenza a discriminare qualcuno in base al sesso di appartenenza.

Quindi, il sesso, più quel suffisso “ismo” che quasi sempre esprime una degenerazione del pensiero e del comportamento (es. razzismo, nonnismo, bullismo).

Ma sempre da Treccani arriva una novità, fresca fresca, che fa riflettere molto sul valore delle parole come non solo espressioni del pensiero, ma anche come creatrici, modellatrici del pensiero stesso. La novità è evidente a colpo d’occhio, sulle definizioni.

sessismo ok

Accanto ad altre innovazioni, tutte tese ad avvicinare la lingua scritta a quella parlata, ad accreditare la semplicità come una ricchezza, ad arricchire il lessico comune con termini comparsi proprio negli ultimi anni anche a seguito della pandemia (dad, distanziamento sociale, infodemia, lavoro agile…), la nuova versione del Dizionario italiano Treccani, uscita lo scorso ottobre, accelera il passo verso l’inclusione linguistica. 

Per esempio, sostituisce l’uso della categoria universale “uomo” con “persona” o “essere umano”.
Ed è la prima a registrare le forme femminili di nomi e aggettivi insieme a quelle maschili. 

Nei dizionari pubblicati finora, la maggior parte di sostantivi e aggettivi femminili o non compaiono come voci, ma con il riferimento al termine maschile: per esempio,“alta, femminile singolare di alto”. Treccani ha dato a femminili e maschili la stessa importanza indicandoli entrambi in un’unica voce (o in due voci separate, in alcuni casi specifici) e disponendoli in ordine alfabetico: “amica, amico” oppure “direttore, direttrice”.

I linguisti Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, che hanno curato il progetto, han dichiarato al Corriere della Sera che «questa organizzazione delle voci restituisce alle parole verità e realtà negate, cancellate per secoli», dando spazio e dignità anche ai femminili di molte professioni che pur esistendo nella lingua italiana faticano ad affermarsi nel parlar comune (i citatissimi esempi di avvocata, sindaca, ministra, accanto ad altri meno frequenti come medica, notaia, soldata). 

Se suscitano in alcuni un senso di fastidio, se suonano male o sembrano brutte, è solo perché sono state usate poco finora; e «il fatto che i vocabolari registrassero aggettivi e nomi al maschile – ha aggiunto Valeria Della Valle – corrisponde a una visione androcentrica» (= un pelo maschilista], legata al fatto che i vocabolari in passato sono sempre stati diretti da uomini.

(Giusto per completezza, nella lista delle formule nuove, accanto a “casalinga” c’è anche “casalingo”.)

“La parola è una materializzazione”

Lo diceva Alma Sabatini, illustre linguista, nel 1987, ben 35 anni prima del nuovo Treccani, nelle sue Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, un documento molto concreto tuttora disponibile nel sito del ministero Pubblica Amministrazione. 

Obiettivo: dare visibilità linguistica alle donne e pari valore linguistico ai termini riferiti al sesso femminile, portando in luce il rapporto tra valori simbolici nella lingua e valori concreti nella vita.

L’uso di un termine anziché un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria. 

Sono solo parole, quindi? Altro che. Sono materia, e bella pesante. Una materia in continuo cambiamento, che però suscita più spesso atteggiamenti di conservazione.

La lingua è una struttura dinamica che cambia in continuazione. Ciononostante la maggior parte della gente è conservatrice e mostra diffidenza – se non paura – nei confronti dei cambiamenti linguistici, che la offendono perché disturbano le sue abitudini o sembrano una violenza “contro natura”. Toccare la lingua è come toccare la persona stessa.

Pazienza se poi, in modo del tutto contraddittorio, si includono neologismi bruttini o anglicismi quali pressurizzare, inputare, digitare, e tutti i termini ormai quotidiani della tecnologia come zippare, forwardare, downloadare/uploadare.

Perché mai questi passano senza problemi? Forse perché non ci coinvolgono a livello profondo? O solo perché entrano nel linguaggio in modo subliminale senza che ce ne accorgiamo. Certo è che, posti davanti al problema se accettare o meno il cambiamento, una nuova parola, si assume spesso un atteggiamento “moralistico” in difesa della “correttezza” della lingua, vista come una specie di cosa sacra, intoccabile.

Certo, alcuni cambiamenti importanti sono stati fatti nel linguaggio comune. Chi direbbe oggi senza ritegno parole riconosciute molto spregiative come negro, o giudeo? Ma anche serva/o, domestica/o, mondezzaro, facchino? Meglio colf, netturbino, portabagagli. Cambiamenti avvenuti in modo non certo spontaneo, ma come effetto di precise azioni culturali e politiche, tanto da essere alla fine assimilate e diventate spontanee in quasi tutti i parlanti. Vuoi per buona educazione, vuoi per evitare un’altra paura, quella di essere tacciati come razzisti o classisti.

La stessa strada, suggeriva Alma Sabatini, possiamo intraprendere per depotenziare il sessismo linguistico.

Le principali resistenze al cambiamento linguistico

1) «È brutto», «suona male», si obietta spesso, anche quando l’alternativa proposta è del tutto accettabile all’orecchio e non impone alcuna forzatura. 

2) «Ma che ci frega?», «è una questione di poca rilevanza». Il solito “benaltrismo” che individua sempre altrove la sostanza dei problemi sociali davvero importanti. Forse il fatto che il Senato della Repubblica, sul finire della della scorsa legislatura, in una stanca fine di luglio con crisi di governo già aperta, abbia bocciato l’adozione del linguaggio inclusivo nella comunicazione istituzionale dell’aula ne è una prova.

3) «Oh ma allora non si può più aprire bocca!». Reazione viscerale contro le proposte di cambiamento, come se fossero un attentato alla libertà di parola, come se non fossero stati proprio i regimi autoritari a imporre – non a proporre – un certo modo di pensare e di parlare così offensivo, quello sì, della libertà (citiamo solo frocio come top dell’eleganza).

4) «Ma certo che s’intende anche la donna, quando si dice che tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge, s’intende, la donna è compresa!». Non è compresa: è tenuta nell’implicito. Ben diverso.

5) «E poi la parità ce l’avete già, anzi!». Ecco un’altra stortura ideologica, che spinge molti benpensanti dire che “la donna dev’essere pari all’uomo”, mai che “l’uomo dev’essere pari alla donna”, e nemmeno che “l’uomo e la donna devono essere pari”. Finché il parametro è sempre l’uomo, ne esce uno strano concetto di parità. 

L’era dell’arbitra. I nomi delle professioni, e oltre

Il cambiamento che è già in corso nella vita reale, sia per il valore emblematico sia per le conseguenze pratiche, è quello dei nomi di professioni, mestieri, cariche, titoli.

Ma l’auspicio è che si vada ben oltre.

Quindi, partiamo pure da medica, avvocata, notaia, ingegnera, direttrice, rettrice, assessora, sindaca (“sindaco donna” o assessore donna” no, per carità), ministra, sostituta procuratrice, prefetta, ambasciatrice, ispettrice. Poi sottolineiamo l’arrivo dell’arbitra (proprio così, non arbitro donna), che sfida la storia dirigendo una partita di calcio maschile di serie A.

Ma poi possiamo spingerci a superare il plurale degli aggettivi e dei participi passati solo al maschile: possiamo attenerci alla maggioranza dei generi:

  • Paola, Marina, Stefano e Anna sono arrivate stamattina

oppure scegliere il genere dell’ultimo sostantivo della serie:

  • Paolo, Stefano e Anna sono arrivate stamattina
  • Ragazzi e ragazze furono viste entrare nel locale

Possiamo smettere l’uso della parola “uomo” e le varie connotazioni maschili in senso universale:

  • I diritti dell’uomo > I diritti della persona, dell’essere umano, degli esseri umani
  • L’uomo primitivo > I popoli primitivi
  • Caccia all’uomo > Caccia alla persona, all’individuo
  • L’uomo della strada > La gente comune
  • I Romani, gli Ateniesi, gli Inglesi > Il popolo romano, ateniese, inglese
  • I bambini, i ragazzi, i vecchi > le bambine e i bambini, l’infanzia, le ragazze e i ragazzi, l’adolescenza, le persone anziane
  • La fraternità tra le nazioni > La solidarietà tra le nazioni

E poi, se possibile, lavoriamo su una serie di brutte abitudini: l’uso scontato del maschile, la precedenza sempre al maschile nelle coppie uomo/donna, l’articolo “la” davanti ai cognomi di donne famose (la Lagard, la Meloni), il chiamare “dottore” lui e “signorina” lei quando vediamo due persone in camice bianco, l’uso asimmetrico di donne e uomini in campo politico, sociale, culturale, e altre simili.

L’intento è ingessare la comunicazione in un rigido protocollo gender respectful? Macché. Solo pensarci un po’ di più, e considerare davvero il linguaggio uno strumento di educazione alla gentilezza.

P.S. Se poi, nell’inconscio, qualche motivetto un po’ così… torna su, ok, ci sarà da lavorarci ancora.

Il mare impetuoso al tramonto
Salì sulla luna e dietro una tendina di stelle… > Zucchero