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Jack Ma ha trasformato il suo piccolo business iniziato nel 1995, Chinapages.com, in Alibaba (qui il racconto in tempo reale dell’Ipo dei record), un colosso che non ha nulla da invidiare ad Bay e Amazon (qui tutte le differenze con il gruppo di Jeff Bezos). Al contrario, i giganti a stelle e strisce stanno iniziando a temerlo. Questo grazie alla capacità di leggere e affrontare i limiti relativi alle opportunità di fare business in Cina, da un lato, e dall’altro l’enorme desiderio e bisogno della popolazione cinese di avere accesso a beni e servizi.

Chinapages, diventato dopo poco tempo Alaibaba.com, ha organizzato gli esercenti in un marketplace che ha reso molto più semplice ed efficiente per compratori e venditori effettuare transazioni per i loro acquisti da ogni parte del mondo.  Il focus iniziale è stato sul rendere aperto il mercato cinese di beni economici anche a compratori esterni, Ben presto Alibaba è però diventata una piattaforma sulla quale è possibile vendere e comprare qualsiasi cosa. Molti analisti attribuiscono il successo di Jack Ma alla sua intuizione di uniformare sin da subito al solo inglese il linguaggio della piattaforma comprendendo quanto il cinese, anche se solo per l’uso “locale” e inizialmente sicuramente più accettato dai cinesi, ne avrebbe limitato il potenziale di espansione su scala globale. Il sito oggi è tra i 20 più visitati del mondo e vi sono elencati più di un miliardo di prodotti.

Jack Ma inoltre ha fin da subito intuito che i potenziali consumatori online avevano bisogni totalmente differenti. Tale costellazione di bisogni non poteva essere coperta da quegli esercenti che vendevano i loro beni nelle grandi città (e che magari avevano già un sito online). La vera leva erano i piccoli commercianti, spesso situati nelle periferie e difficili da raggiungere. Anche l’accesso online a strutture di questo tipo poteva venire ostacolato o inibito per diverse ragioni: scarsa diffusione e potenzialità nella connessione, costi connessi alla costruzione dei siti e all’accettazione degli strumenti di pagamento elettronici e infine da una più generale mancanza di fiducia verso i piccoli esercenti cinesi che vendevano la loro merce online. Così è arrivato Taobao: lanciato da Alibaba nel 2003, è nato come marketplace (il primo in Cina) in cui era possibile operare tramite un sistema di pagamento simile PayPal, Alipay. In altre parole, tramite delle credenziali sicure a protezione dei propri dati di pagamento. Inoltre il servizio garantiva una serie di valori aggiunti come la protezione dell’acquirente nel caso in cui questi avesse ricevuto merce non conforme a quella desiderata o in cattive condizioni. Anche gli esercenti potevano trarre vantaggio da Taobao. In particolare la piattaforma poteva fornire dati sulle abitudini di acquisto dei clienti in modo da consentire la gestione di pubblicità mirata o programmi di fedeltà.

Tmall invece ha aperto I battenti nel 2008 con uno scopo diverso: permettere ai cinesi di acquistare da negozi di marchi occidentali molto noti. Tmall ha reso molto più semplice la penetrazione nel mercato cinese a nomi del calibro di The Gap, Nine West, Adidas, the NFL, P&G, RayBan e Dell.

La missione di Alibaba è chiaramente quella di fornire al consumatore cinese tutto ciò che questo può desiderare in termini di shopping online, attirando sempre più utenti verso l’apertura di account AliPay con i quali l’esperienza di acquisto sulla piattaforma può concludersi fino al pagamento ed estendersi anche al di là della piattaforma stessa verso tutti i portali aderenti.

Intorno al gigante cinese si sta costruendo un vero e proprio ecosistema che ha seguito un percorso differente da quello che ha portato alla recente nascita di Apple Pay (qui abbiamo spiegato come funziona), ma che ne ha di fatto ripercorso le logiche di proprietarie, esclusive a autoconsistenti: un solo gruppo al quale fanno capo numerosi servizi e negozi online inizia a occuparsi anche della fase della transazione, aprendo le porte della stessa anche al Resto della Rete.  Allo scopo di confrontare i due giganti Apple e Alibaba – o meglio,  Apple Pay e AliPay – può essere utile un confronto sul tipo di mercato in cui questi nascono e sono destinati a indirizzarsi (almeno in prima battuta).

Diaciannove anni fa Amazon faceva il suo ingresso nel mercato statunitense e 7 anni dopo Apple sarebbe arrivata con l’iPhone: all’epoca il 98% della popolazione degli Stati Uniti poteva avere accesso a Internet dalla propria casa. Solo un anno dopo già il 65% della popolazione possedeva uno smartphone. Oggi circa il 10% del transato del commercio elettronico è relativo ad acquisti con dispositivi mobili ma la percentuale è destinata a crescere in quanto trainata dai tablet che riducono la scomodità percepita di fare acquisti “complessi” su un piccolo schermo quale quello degli smartphone. In Cina invece nel 2012 ancora solo il 43% della popolazione poteva avere accesso a Internet. Ma 43% era anche la percentuale legata a quanti in Cina avevano un grande potere di acquisto. Al contrario di quanto avviene negli States questo enorme potenziale non trova ragioni di “sfogo” in spese di tipo familiare. “Spare the rod and spoil the child” (risparmiare la verga rovina il figlio) è infatti il mantra della famiglia cinese che è tipicamente caratterizzata dalla presenza di un solo figlio. A spendere di più è chi non è sposato.

Alibaba ha organizzato il più imponente evento condensato in una sola giornata di shopping online. Lo ha chiamato “Singles Day” e si è tenuto l’11 novembre 2013 quando i cosiddetti single hanno speso in totale circa 6 miliardi di dollari soprattutto in beni di elettronica. Volendo fare un confronto, la cifra è circa di 6 volte maggiore rispetto a quanto gli americani hanno speso durante il Black Friday dello stesso anno. Oltre all’elettronica, i beni e servizi più venduti in Cina riguardano le categorie di lusso e viaggi. A spendere di più, anche online, sono i 40-60enni che hanno acquistato (secondo dati Alibaba) ben 83 milioni di viaggi fuori dalla Cina spendendo in totale più di 100 milliardi di dollari.

L’e-commerce in Cina sta crescendo del 120% ogni anno e già nel 2013, Morgan Stanley aveva previsto che in meno di un paio di anni I numeri scarsi degli Stati Uniti sarebbero stati eclissati dai volume cinesi. Ciò che sta facendo ulteriormente crescere questi volumi di acquisto online è lo strumento smartphone. Su 10 telefoni acquistati ogni giorno in Cina 9 sono smartphone. E il mercato cinese dei telefoni cellulari intelligenti è già 3 volte più grande di quello statunitense ed è destinato a diventare il canale principale di acquisto da parte degli utenti cinesi.

Si parte da una bassa propensione all’utilizzo delle carte di pagamento (specialmente quelle di credito), introdotte nel mercato solo nel 1985 e che quindici anni dopo (nel 2000) contribuivano solo al 10% nel totale degli acquisti. Le cose sono cambiate quando le carte di pagamento hanno iniziato a rappresentate l’unico o il principale strumento di acquisto online. La Banca Popolare Cinese ha riportato che solo nel 2012 le banche cinesi hanno emesso 331 milioni di carte, il 16% in più rispetto all’anno precedente. Alla fine del 2012 c’erano in circolazione appena 3,5 miliardi di carte, oggi si parla quasi del doppio con un volume di transazioni pari a 1,2 trilioni di dollari che rappresentano una percentuale del 40% sul totale degli acquisti. Oggi un cinese su 3 ha una carta di credito e sempre stando alle previsioni di Morgan Stanley, la Cina ha concrete possibilità di diventare uno dei più grandi mercati per quanto riguarda il settore dei pagamenti nel prossimo decennio.

Con lungimiranza, Alipay è stato lanciato nel 2004 ed è stato spesso descritto come il PayPal cinese.  Ad oggi conta 800 milioni di clienti, processa da solo la metà delle transazioni online di tutta la Cina e ha attivi un numero di clienti 6 volte superiore a PayPal, 4 volte superiore ad Amazon e 1,5 maggiore di Apple iTunes. Ecco perché Alibaba/Alipay rappresenta il nemico numero 1 per Apple/ApplePay.