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Se i trasporti pubblici –  i loro orari e percorsi, anzitutto – fossero costruiti per facilitare la vita agli uomini e alle donne in pari misura, darebbero una spinta cruciale verso una società più equilibrata, più inclusiva, ma anche più efficiente. Perché la mobilità che funziona è molto di più del mero spostamento dei cittadini da un luogo all’altro: è un abilitatore di lavoro, di istruzione, di cultura e persino di salute, perché nessuna di queste dimensioni diventa un patrimonio per i cittadini se i cittadini sono ostacolati nel raggiungerle.

Quindi, quanto più la mobilità è disegnata a misura dell’intera cittadinanza, tanto più estesamente riverberà il suo impatto positivo. Peccato che, ancora oggi come ieri, l’organizzazione urbana dei trasporti pubblici soddisfi in primo luogo le esigenze della metà dei cittadini: come è ormai stato appurato succedere in molte dimensioni del vivere sociale, anche in quest’ambito vengono assunti a modello generale i bisogni maschili, considerandoli implicitamente neutri, ovvero validi per entrambi i generi. E ciò nonostante un numero elevato di studi abbia oramai dimostrato che uomini e donne fruiscono dei mezzi pubblici in maniera molto diversa.  

Sono queste le (tante) differenze

Tendenzialmente, nel nostro Paese gli uomini compiono tragitti lineari e lunghi, all’inizio e alla fine della giornata e che puntano a un’unica destinazione: il luogo di lavoro. La mobilità femminile è, invece, eterogenea, multiforme, a zig-zag, fatta di più uscite e rientri a casa nel corso della giornata, perché motivata dal raggiungere o lasciare il posto di lavoro sì, ma anche dal fare la spesa, portare a scuola i figli o prendersi cura degli anziani, secondo una divisione dei ruoli ancora molto tradizionale e schiacciata sugli stereotipi che si va via via stemperando, ma che è ancora piuttosto radicata nelle vite delle persone. E poi è molto più influenzata dall’accessibilità dei mezzi e dalla percezione della sicurezza personale sui mezzi stessi, soprattutto in fasce orarie serali.

Ma dall’Italia alla Scandinavia, dalla Spagna alla Germania, la fotografia non cambia. I dati di un campione rappresentativo dei Paesi dell’Unione Europea confermano che anche nel nostro continente per il 53% degli uomini europei – dunque la maggioranza – gli spostamenti sono motivati da ragioni di lavoro, mentre per le donne sono divisi tra lavoro – 23% – e famiglia. Il cosiddetto lavoro di cura, che può consistere ad esempio nell’accompagnare un famigliare in qualche luogo, rappresenta il 20% dei loro spostamenti quotidiani. 

Perché la progettazione di genere rende più forti tutti

Eppure, sebbene – come si è visto – anche in Europa donne e uomini affrontino la mobilità in maniera differente, anche in Europa è il modello maschile che viene fatto proprio da legislatori e amministratori quando devono deliberare in fatto di trasporti pubblici, un paradosso, per giunta alle luce del fatto che l’utenza dei mezzi pubblici è in maggioranza femminile. Le conseguenze sono amare: continuare a ignorare il punto di vista delle donne e i loro bisogni significa non solo non fare nulla per alleggerirne il carico di impegni quotidiani, ma privarle della possibilità di liberare un potenziale di cui i Paesi hanno bisogno e potrebbero giovarsi.

L’Italia sembra aver capito la lezione: il PNRR ha previsto che ci sia uno sguardo di genere sui progetti che dovranno rilanciare il Paese e lo stesso Ministero dell’Economia nel documento Le diseguaglianze di genere in Italia e il potenziale contributo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha riconosciuto che potenziare la rete di trasporti pubblici consentirebbe alle donne di liberare tempo da impiegare nel lavoro retribuito, in cui le italiane sono fanalino di coda in Europa e in cui il gap di genere continua a trovare il suo zoccolo duro.  

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Mezzi pubblici più accessibili, più sicuri e a misura di famiglie con bambini

Fatto sta che una ricerca realizzata dalla Fondazione Giacomo Brodolini analizza gli effetti nei Paesi della Ue di una pianificazione che tiene conto del genere e della sua intersezione con più piani, nello specifico con la mobilità per ragioni di cura, la fragilità – espressa attraverso l’età e la disabilità- , la povertà, la sostenibilità, la violenza, calandola nella diverse dimensioni di governance, ovvero locale, regionale, nazionale. L’obiettivo dello studio, che è intitolato Mobility for all. How to better integrate a gender perspective into transport policy making è incoraggiare governi e amministrazioni locali a vedere nei trasporti pubblici un concreto strumento per costruire parità di genere e contesti di vita inclusivi per tutte le persone.

Per questa ragione la ricerca include una sezione-guida in cui si invitano i policy maker a valutare, per esempio, che orari, percorsi, connessioni dei mezzi pubblici siano funzionali alla giornata tipo delle famiglie che hanno bambini piccoli, che esistano servizi di scuolabus e, in genere, trasporti all’interno dei quartieri oltre che percorsi protetti e che i trasporti siano veramente accessibili e vengano rese sempre disponibili tutte le informazioni necessarie a chi ne fa uso. 

Obiettivo: contrastare i rischi per donne e persone Lgbtq+

Visto che la popolazione anziana è destinata nei prossimi anni a crescere e, secondo i dati, appena 7 donne su 100 oltre i 75 anni possiedono un’automobile, l’approccio intersezionale dello studio suggerisce, poi, di organizzare un valido sistema di trasporti affinché le donne possano continuare a spostarsi  autonomamente. E, visto che i mezzi pubblici rappresentano non di rado rischi di molestie sessuali per le donne e le persone Lgbtq+, per contrastarne i pericoli si invitano gli amministratori ad adottare, nel progettare le infrastrutture, anche in questo caso una prospettiva di genere che possa portare, per esempio, a creare campagne di sensibilizzazione sul tema per i passeggeri e attività di formazione per il personale.

Insomma, una società equa ed efficiente passa, anche, attraverso una mobilità pubblica gestita con consapevolezza e visione. «La mobilità dei trasporti impatta sull’occupazione e, per bambini così come per gli adulti, sulla possibilità di accedere all’istruzione e alla formazione», commenta Roberta Paoletti, tra le ricercatrici che hanno realizzato lo studio. «Ha un impatto sull’accesso ai servizi sanitari e, quindi, sulla salute delle persone. E ha un impatto sull’accesso alla vita culturale, che favorisce l’inclusione sociale, migliora il benessere e crea un senso di appartenenza e un’identità condivisa. La mobilità dei trasporti ha quindi profonde implicazioni per la giustizia e l’inclusione sociale».