firma email wapp 3

JuspBT

La strategia è quella del bastone in una mano e della carota nell’altra, però applicata all’obbligo di Pos. Se ce l’hai vieni premiato con un’agevolazione fiscale, se non ce l’hai paghi 500 euro di multa. L’idea di un disegno di legge presentato a gennaio in Senato è infatti quella di completare la norma – definita incompleta dallo stesso progetto di legge – che dallo scorso 30 giugno ha dato ai cittadini il diritto di effettuare pagamenti elettronici, sia negli esercizi commerciali sia negli studi professionali, a patto che spendessero cifre superiori ai 30 euro.

Cosa cambierebbe: il premio e punizione

Se quella che è ancora una proposta diventasse legge, chi si mettesse in regola con il Pos potrebbe detrarre dalle tasse una percentuale del costo sostenuto per ogni pagamento elettronico. Al contrario, a chi ancora non si fosse procurato un Pos arriverebbe una multa di 500 euro, con l’obbligo di adeguarsi alla legge entro trenta giorni dalla notifica della stessa sanzione.

A portare alla “punizione” può essere anche una segnalazione fatta alla Guardia di finanza da parte di un cliente a cui sia stata negata la possibilità di pagare con carta di credito o Bancomat. A quel punto le Fiamme gialle provvederanno alle opportune verifiche e nel caso in cui venga accertata la violazione di legge procederanno con la sanzione amministrativa.

Se entro i sessanta giorni successivi alla notifica della multa, il soggetto non si sarà ancora messo in regola gli arriverà una multa esattamente doppia rispetto alla prima. E una volta pagata gli darà altri 30 giorni per “redimersi”. Se neanche questa bastasse, la Guardia di finanza provvederà a sospendere l’attività professionale o commerciale fino a quando non si doterà del Pos.

Un obbligo finora troppo “soft”

Senza una vera e propria sanzione (ne abbiamo parlato anche qui) l’obbligo ha poco senso. E d’altro canto, il legislatore non aveva previsto nemmeno un “premio” per chi invece avrebbe provveduto a dotarsi degli strumenti di pagamento. Non ci sono ancora dati aggiornati in grado di attestare l’efficacia o meno della norma entrata in vigore ormai da più di otto mesi. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dal vicedirettore generale dell’Abi Gianfranco Toriello in audizione alla Camera «resta tuttora elevato il ritardo nell’utilizzo di strumenti alternativi al contante». Il rappresentante dei banchieri sottolinea che «non è funzionale insistere sul solo concetto di tracciabilità e continuare a imporre norme vincolanti» e propone all’autorità pubblica un intervento in tre parti: accelerare la digitalizzazione dei pagamenti della Pa, introdurre incentivi di carattere fiscale per chi utilizza strumenti di pagamento elettronico e un’incisiva azione culturale e formativa che faccia emergere i costi occulti dell’utilizzo del contante per l’intera economia.

In Italia i pagamenti via Pos sono in ritardo

«I pagamenti elettronici crescono, ma a ritmi inferiori a quelli di altri paesi e, soprattutto, si continua ad ampliare il divario tra l’utilizzo pro-capite annuo», a dirlo è ancora il vicedirettore dell’Abi Toriello che snocciolando un po’ di dati segnala come nel 2013, «75 operazioni annuali per abitante nel nostro Paese erano con strumenti alternativi al contante, contro i circa 200 nell’area dell’euro. E ciò a fronte di un assetto infrastrutturale per i pagamenti elettronici perfettamente paragonabile a quello di altri paesi europei –  a fine 2013 in Italia c’erano 40.000 Atm e più di 1.500.000 Pos».

Nel corso degli ultimi sono state molte le norme emanate in materia di pagamenti elettronici e tutte avevano il potenziale per accelerare la tendenza verso un maggior utilizzo di questi  strumenti, tuttavia Toriello sottolinea come occorra «dar modo a queste norme di esplicare i loro effetti che necessariamente si potranno manifestare solo nel medio periodo perché comportano profondi mutamenti nella domanda e offerta».

La lenta evoluzione nell’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico nel nostro Paese oltre che ai vantaggi “meno nobili” dell’uso del contante, si deve infatti anche a «ragioni culturali, demografiche, sociologiche e psicologiche, a erronee percezioni relative alla minore sicurezza e, nuovamente, al timore di un “Grande fratello”, che vuole  conoscere le mie spese, abitudini e preferenze attraverso pagamenti tracciabili», conclude il rappresentante dei banchieri.