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Prima Netflix, poi Kickstarter. Nel giro di due settimane il nostro Paese ha accolto (finalmente) due delle protagoniste principali dell’economia digitale. Entrambe sono state in grado di creare un nuovo mercato. Quello del consumo di video in streaming su abbonamento che ha azzoppato la circolazione fisica di pellicole e il download di film e serie tv, nel caso di Netflix, e quello della sostegno online dal basso di idee e progetti, nel caso di Kickstarter. Ed entrambe sono destinate a dare una scossa anche nei nostri confini.

Netflix fra diritti e banda larga

Netflix parte dalla delicata partita dei diritti, che la vede paradossalmente rincorrere concorrenti in possesso di due delle sue produzioni di maggior successo (House of Cards e Orange is the new black), e cerca di distrarre il gatto che si morde la coda della banda larga: poche connessioni (veloci) limitano la domanda di abbonamenti, ma un catalogo interessante e un’offerta economicamente competitiva possono contribuire ad aumentare la richiesta di banda. E quindi di abbonamenti, a Netflix come alle alternative SkyOnline, Infinity o TimVision che contano sulla popolarità degli americani, oltre che per portare più italiani online, per trasformare gli spettatori di video pirata in spettatori paganti. Negli Stati Uniti ha funzionato, con la crescita degli abbonati a Netflix che ha marciato in parallelo all’aumento della penetrazione di Internet, dall’80% del 2011 – anno di lancio della piattaforma – all’87% odierno, e al passaggio dalle connessioni Dsl a quelle ad alta velocità. In Italia inizieremo a fare conti di questo tipo dal prossimo ottobre, mese di debutto della versione italiana del sito.

 

Soldi e visibilità

Anche l’eco di Kickstarter risuona forte e chiara dagli Stati Uniti: 1 miliardo e 700mila dollari rastrellati da più di 80mila progetti in sei anni. 8,8 milioni di donatori provenienti da tutto il mondo e campagne, come le due di Pebble da 30 milioni di dollari complessivi, che sono già entrate nella storia. Nessun dubbio sul fatto che la possibilità, attiva da ieri, di caricare progetti anche dall’Italia e raccogliere fondi in euro senza doversi fingere statunitensi o britannici farà la fortuna di qualche spunto nostrano meritevole. Complessivamente, le più di 50 piattaforme italiane di crowdfunding hanno raccolto, secondo gli ultimi dati disponibili e risalenti allo scorso anno, meno di un terzo dei finanziamenti portati a casa grazie alla piattaforma americana. 30 milioni di euro. Non solo, oltre a promettere ritorni economici di tutt’altra entità, Kickstarter mette sul piatto una visibilità internazionale capace di spingere il progetto anche dal punto di vista della comunicazione. Ecco perché Pebble si è presentato all’Apple Watch, arrivato tre anni dopo, senza timori di popolarità del marchio alcuni.

Sostenitori seriali e fallimento

Inoltre, come fa notare a SmartMoney l’esperta di crowdfunding Chiara Spinelli, gran parte del valore di Kickstarter risiede nei cosiddetti “sostenitori seriali”: 2,7 milioni degli 8,8 milioni di donatori non si lasciano conquistare da una sola idea, ma monitorano la piattaforma e “finanziano tanti progetti”. Un bacino d’utenza prezioso su cui lavorare con campagne curate efficaci perché, come sottolinea Spinelli, “non dobbiamo dimenticare che la percentuale di successo dei progetti sulla più grande piattaforma del mondo è del 37,72%. Un sintomo del fatto che in tanti, senza il giusto approccio, falliscono”. Nessuna garanzia di ottenere soldi facili, quindi, ma solo un’esposizione rilevante da affrontare con consapevolezza. Dal palco di un piccolo teatro, le piattaforme italiane, a quello di San Siro o della O2 Arena di Londra.

Il futuro delle piattaforme italiane

Cosa ne sarà dei più di 50 piccoli teatri? Spinelli ritiene che quelli che sono stati in grado di differenziarsi dal colosso appena sbarcato sopravviveranno. Starteed, ad esempio, che si sta spostando sulla realizzazione di piattaforme di raccolta fondi per realtà importanti, come Telecom Italia (ne abbiamo parlato qui). O Musicraiser, specializzata sui progetti artistici e aperta anche alla vendita di biglietti per i concerti o ad altre attività alternative (ne abbiamo parlato qui). “Pensiamo a Ginger”, incalza Spinelli, “iniziativa dedicata all’Emilia Romagna che lavora sul territorio e in alcun modo teme l’avvento degli americani”. E ancora, Eppela che all’attività analoga a quella di Kickstarter ha affiancato le partnership con marchi come Poste Italiane o Fastweb per rimpinguare le casse dei progetti già finanziati dalla Rete. O Produzioni dal Basso, nata addirittura 4 anni prima della nuova arrivata e in grado di offrire differenti modalità di raccolta. Con o senza Paypal, dividendo il budget in quote o raccogliendo anche senza aver raggiunto l’obiettivo. Senza dimenticare i 15 portali di equity crowdfunding, attivi da 2 anni nella ricerca di sostegno economico per le startup. Ricerca che per ora procede a rilento e che da Kickstarter, nonostante si tratti di concetti un po’ diversi, potrebbe rosicchiare un po’ di popolarità. Insomma, a poche ore dal fischio di inizio sembrano destinati a guadagnarci tutti gli attori del settore nostrano: chi presenta i progetti, e potrà farlo su un terreno di gioco senza eguali, e le altre piattaforme, che si rivolgeranno con il passare dei mesi a un bacino d’utenza sempre più ampio e consapevole di cosa sia il crowdfunding e, soprattutto, saranno ulteriormente stimolate a fare il salto di qualità. O ad abbandonare la partita, mentre in campo è sceso il vero attaccante di sfondamento.