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L’Australia e la Nuova Zelanda stanno emergendo sempre di più come paesi in cui l’ecosistema tecnologico è tra i più avanzati al mondo, in cui l’innovazione è fiorente e l’attività dei venture capital remunerativa. Ogni anno da qui arrivano sempre più startup che seguono lo stesso percorso: crescita importante, finanziamenti di successo, espansione globale e valutazioni miliardarie.

Un esempio è la neozelandese Xero, piccola piattaforma di contabilità aziendale che ha da poco raccolto 110 milioni di dollari di finanziamento. L’operazione l’ha portata ad ottenere una valutazione che supera i 4 miliardi di euro e che le sta permettendo di cominciare a gettare le basi per un’Ipo negli States.

Atlassian – che si occupa invece di software – è di origini australiane, ma dopo essere diventata famosa a livello mondiale, è stata valutata oltre 3,5 milioni di dollari.  Un altro esempio è Nextdc che sta rivoluzionando il mercato dei data center, una nuova arrivata del settore che ha visto crescere i suoi ricavi del 3.626% in soli tre anni.

Poi c’è SocietyOne , il “Lending Club of Australia” che con un team di 55 persone in Australia e Nuova Zelanda, è stato riconosciuto come uno dei 50 migliori innovatori Fintech Innovators del mondo e ha vinto il premio “Best In Show” al Finovate Asia del 2012.

Le perfomance australiane migliori di Usa e Uk

Secondo un recente rapporto del Progressive Policy Institute, già dal 2008 l’Australia avrebbe superato le performance di Stati Uniti e Regno Unito nei settori chiave dell high-tech. Mentre negli Usa il tasso di crescita degli occupati nel settore dei sistemi informatici ha segnato un +22%, e in Gran Bretagna un timido 10%, il risultato australiano è stato del 38%. Un risultato che supera di gran lunga quelli ottenuti dagli altri settori dello stesso paese. Ci sono però diversi fattori che spiegano questo successo, ad esempio negli ultimi tempi Sydney (che è sempre stata il centro nevralgico dell’innovazione australiana) è stata affiancata da Melbourne, una città dotata di un’importante università capace di formare e poi di impiegare al meglio nelle aziende della zona i lavoratori tecnologici locali. La stessa Melbourne Univercity è il secondo datore di lavoro della città. Non a caso, questa città è risultata la prima della classifica “The best place to live” stilata nel 2014 dall’Econimist.

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Sia in Australia che in Nuova Zelanda i governi sono molto attenti a promuovere l’innovazione anche a livello locale. Negli ultimi dieci anni, l’amministrazione di Victoria (dove si trova Melbourne) ha investito circa 1,5 miliardi di dollari australiani nei progetti e nelle infrastrutture della città creando così una massa critica e forti competenze nell’alta tecnologia.

Un anno fa, il primo ministro australiano, Tony Abbott, ha annunciato un investimento pubblico di 400 milioni di dollari locali per un programma di sostegno all’istruzione STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) del Paese. Il risultato di queste nuove politiche ha fatto sì che dal 1 luglio 2015 le start-up tecnologiche australiane possono offrire piani di stock option ai dipendenti così da ridurre i costi salariali e allineare il reddito da lavoro dipendente alla costruzione di valore aziendale.

Guardando ad est, anche la Nuova Zelanda si posiziona come uno dei posti più facili e più economici al mondo in cui avviare un business, e il suo relativamente piccolo ecosistema tech offre una comunità affiatata, così come un ottimo banco di prova. Anche il governo della Nuova Zelanda sta investendo grosse cifre sull’avvio di startup tecnologiche, possiede e gestisce programmi di incubazione e acceleratori e porta avanti un impegno enorme per far crescere l’economia in una nazione che conta soli 4.5 milioni di persone.

Ma il futuro è nel Fintech

L’Australia ha sempre sostenuto il suo primato nell’ambito della tecnologia legata ai software e al cloud, ultimamente però c’è un settore che sta guadagnando sempre più campo. Si tratta della tecnologia applicata alla finanza, ecco perché le maggiori e più recenti storie di successo nazionali vengono tutte dal Fintech. Un risultato che non sorprende, considerando il fatto che la capitale australiana è uno dei maggiori centri finanziari al mondo. Secondo un rapporto di KPMG , il settore dei servizi finanziari australiano contribuisce al Pil nazionale con una quota più elevata rispetto agli altri mercati (il 9%). Per l’Australia infatti il Fintech è uno strumento importante per esportare la propria forza finanziaria nel resto del mondo.

«C’è un cambiamento di paradigma nel settore dei servizi finanziari guidato dalla tecnologia, con nuovi modelli di business emergenti» si legge nel rapporto, in cui si aggiunge anche che Sydney «in qualità di centro leader a livello mondiale per i servizi finanziari, è posizionata in maniera ideale per poter capitalizzare su questo trend in crescita».

Gli australiani – che siano di Sydney o di Melbourne e che si occupino di tecnologia, finanza o pubblica amministrazione  – sono pienamente consapevoli delle possibilità che il Fintech offre all’ecosistema nazionale e degli sforzi che sono stati fatti per stimolare questo settore. Attualmente ci sono già diversi fondi di venture capital e acceleratori dedicati al Fintech, come ad esempio Bluechilli, il cui fondatore Sebastien Eckersley-Maslin ha dichiarato «quando ho fondato la società tre anni fa era chiaro che le 5 cinque grandi banche australiane sopravvissute alla crisi avrebbero poi dovuto utilizzare tutto il capitale accumulato in maniera diversa e innovativa, è stata solo una questione di tempo».