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«Crediamo che il fintech abbia sostanza e sia destinato a scalare negli anni»  è l’opinione di uno dei maggiori giornali finanziari al mondo, il Financial Times. Una ventata di ottimismo che giunge in un momento non facile per la finanza tecnologica che da tempo vive una fase delicata. Pesano il calo degli investimenti dei venture e l’incubo Brexit in uno dei principali ecosistemi al mondo quello britannico (- 41% negli ultimi tre mesi del 2016 rispetto allo scorso anno).

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La crisi di alcuni dei principali attori come Lending Club (il crollo delle azioni ha recentemente costretto il Ceo, Renauld Laplanche a dimettersi). E infine i passi falsi di alcune startup simbolo della rivoluzione come Number26 che ha cancellato gli account di alcuni utenti. Eppure FT nel fintech ci crede fermamente. Per 5 ragioni, prima di altre. Eccole.

1. La finanza è matura per la disruption

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FT riprende una dichiarazione di Paul Volker, l’ex presidente della Federal Reserve Usa che, in un incontro con alcuni banchieri all’indomani della crisi finanziaria, così si è espresso: «La più importante innovazione finanziaria negli ultimi 20 anni sono stati gli sportelli automatici che hanno evitato alle persone di fare lunghe code per prelevare soldi. Le banche restano oggi profondamente impopolari. Il loro modello di business è minacciato dai regolamenti sempre più stringenti e dai basi tassi di interesse». Se c’è un’industria matura per la disruption, questa è la finanza, commenta FT.

2. Le authority spingono per il cambiamento

Da New York a San Francisco, passando per Londra e Singapore, politici ed authority si battono per portare nella loro città le startup più brillanti. In UK, per esempio, la Financial Conduct Authority ha creato uno spazio sicuro in cui i business nel fintech possono provare e testare modelli innovativi con leggi più leggere. Mentre l’Unione Europea si attiva per spingere le banche a rendere i dati dei loro clienti più facilmente accessibili dai “digital aggregators”, in sostanza applicazioni che consentono ai consumatori di gestire le loro transazioni online e poter confrontare i diversi prodotti finanziari e i loro costi.

3. Gli investitori continuano a mettere soldi

I venture hanno sostenuto le startup fintech con 14,4 miliardi di finanziamenti nel 2015, una cifra doppia rispetto all’anno precedente, secondo il report di KPMG International e CB Insight. Ant Financial, il braccio fintech dell’ecommerce Alibaba ha raccolto 4,5 miliardi di dollari: «Vedremo sempre di più megadeal di questo tipo» spiega Warren Mead responsabile di KMPG International.

4. C’è chi molla Wall Street per l’avventura fintech

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La lista dei banchieri che sono entrati nel business del fintech è davvero impressionante. Il primo è stato Anshi Jain della Deutsche Bank che è entrato nel consiglio di amministrazione di SoFi, uno dei più grandi lender americani (qui raccontiamo la sua storia). Seguono Antony Jenkins che sta lanciando la sua fintech dopo aver mollato la posizione di Ceo di Barclays. Altri big banker che si sono lasciati prendere dal vento del fintech sono Vikram Pandit, ex capo di Citi, John Mack, ex Morgan Stanley e Blythe Masters, che ha lasciato JP Morgan per una startup sulla blockchain.

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5. Ci sono già i numeri

Nel lending sono 23,7 miliardi i prestiti concessi dalle piattaforme di fintech nell’anno 2014 nei mercati più promettenti, USA, Cina e UK, secondo Deloitte. Numeri che rappresentano una crescita del 120% rispetto al 2010. Numeri incredibili anche nel payment via mobile con Alipay e Tencent che in Cina hanno processato ben 960 miliardi, sempre nel 2014 secondo IResearch.