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In principio chiunque poteva “estrarre” bitcoin, ora però sembra esserci sempre meno spazio nel mercato dei miner. O meglio, è quanto sostiene una ricerca una ricerca, “Minting Money With Megawatts”, secondo cui in futuro questa attività potrebbe divenire prerogativa esclusiva di alcune multinazionali. Soprattutto dopo l’halving dello scorso luglio, quanto conviene ai miners estrarre bitcoin? É la domanda alla base del report, nato dalla collaborazione tra la University of Iceland e Sveinn Valfells), economista esperto in bitcoin.

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Il “tetto” all’halving

Brevemente. Ogni quattro anni vengono dimezzate le ricompense che i miners ottengono per aver estratto nuovi bitcoin. Una procedura che serve, sostanzialmente, a ridurre il numero dei nuovi bitcoin che vengono introdotti nel sistema. Se nel 2012 la ricompensa è scesa a 25 bitcoin, con l’ultimo halving siamo intorno ai 12,5 bitcoin (circa 7 mila dollari). Secondo gli autori del report, questo quadro mutato cambia le regole del gioco e sarà possibile per i nuovi miners avere un guadagno dall’estrazione solo nel caso in cui il valore dei bitcoin supererà i 600 dollari. Quindi, “se il valore della criptomoneta non sale la competizione nel settore è destinata a sparire”, spiega il report.

Il business dei (grandi) miners

Dal punto di vista tecnico, l’aggiunta di nuovi miner provoca modifiche nel modo in cui i bitcoin sono estratti: più attori sono in gioco e più difficile sarà trovarne di nuovi.  Più miners significa una crescita di quello che viene definito hashrate, l’unità che misura la potenza di elaborazione di bitcoin della Rete. Secondo la ricerca, “i nuovi miners possono aggiungere solo il 16% di hashrate. Una cifra superiore renderebbe l’estrazione non più fruttuosa”. Tuttavia, a essere colpiti sarebbero solo i nuovi arrivati nel mercato, mentre i big già presenti hanno un chiaro vantaggio perché semplicemente hanno già affrontato i costi per costruire le costose infrastrutture necessarie all’estrazione. Di contro, “un aspirante miner deve tener conto delle spese per hardware e dei costi operativi”.

Però c’è la legge di Moore

Oggi le revenue complessive dei miners ammontano a 545 milioni di dollari. Ma c’è dell’altro. L’halving ha fatto molti danni, costringendo alcuni (ad esempio gli svedesi di KnCminer) a dichiarare bancarotta.

Una possibile soluzione al problema potrebbe venire dalla cosiddetta legge di Moore. Secondo l’informatico statunitense, cofounder di Intel, i sistemi informatici raddoppiano la potenza di calcolo all’incirca ogni due anni. L’aumentare della potenza di calcolo e dell’efficienza dell’hardware conducono all’abbassamento dei costi dell’elettricità impiegata, una delle maggiori spese che un miner deve sostenere. “Così – scrive il report – sarà fruttuoso entrare nel business anche quando il valore dei bitcoin sarà sotto la soglia dei 530 dollari e i nuovi miner potranno aggiungere un hashrate del 25% (rispetto al 16 di oggi) e guadagnarci”.

Aldo V. Pecora
@aldopecora