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Hanno raccolto 140 milioni negli ultimi sei anni. Sono le startup che sviluppano chatbot, software progettati per simulare una conversazione intelligente con gli esseri umani, via testo o voce. Dal cibo alle banche, a servizi come acquisto di biglietti aerei, ordinare la pizza, gli algoritmi intelligenti ci aiuteranno nel fare operazioni semplici o complesse, sostituendo gli esseri umani.

Il mercato dei chatbot è molto promettente, ma come spiega Venture Beat, venture e business angel sono più titubanti oggi nel finanziare le startup nel campo: «Non puoi presentarti solo con un algoritmo e chiedere soldi. Serve un prodotto», spiega Ping Li, partner di Accel.

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Le difficoltà infatti per le startup nel settore sono tante,  come gli ostacoli ad affermarsi in un mercato che è già saturo di soluzioni. Lo conferma Venture Beat che svela quali sono le principali sfide che uno sviluppatore deve affrontare se vuole fare finanziare una sua idea di chat bot.

Troppi pensano che sia un gioco facile

Sviluppi un algoritmo, lo proponi a un grosso player, come Slack, Facebook o Google, ti fai finanziare e crei un business di successo.  Sembra una strada lineare, ma non lo è affatto. Secondo Ping Li gli startupper che operano nel settore dei chat bot sottovalutano le difficoltà nel settore. L’investitore consiglia agli sviluppatori di comprendere la complessità dei processi del business a cui ci si rivolge per vendere la propria soluzione.

Alcuni chat bot, per esempio, pensati per aziende piccole, non potranno funzionare per società più grosse che hanno processi e sistemi legali molto meno permissivi: «Ci sono troppi startupper che hanno un’attitudine del tipo, buttiamo un bot nella mischia e magicamente si attiverà per fare qualcosa», spiega.

Gli stessi sviluppatori non conoscono il mercato

Mike Brown di Bowery Capital svela un’altra sfida che lo sviluppatore di chatbot si troverà ad affrontare: quella di una corretta e profonda conoscenza del mercato. Specie nel B2B: «Gli startupper tendono a creare tante soluzioni che poi provano a vendere in un ecosistema che non fa dei bot la sua priorità», avverte Brown che spiega anche come gli startupper non abbiano spesso nessuna idea su come vendere le loro soluzioni.

Soluzioni – continua Brown – che hanno poi la pecca di sembrare tutte uguali: «Quando un’azienda grande o piccola guarda al mercato dei bot, analizza una miriade di startup. Ebbene, poche riescono davvero a mettersi in mostra. Tutti gli algoritmi sembrano fare la stessa cosa», conclude l’investitore.

La user experience

Secondo Krishna K. Gupta di Romulus Capital, le aziende che stanno costruendo qualcosa di davvero rivoluzionario nel campo dell’intelligenza artificiale sono ancora rare: «La tecnologia che sottende molti chat bot non fanno molto altro che riconoscere testi e alcune attività sul machine learning. Mancano ancora algoritmi in grado di pensare davvero», spiega Krishna.

Da questa premessa l’investitore fa un’analisi ancora più critica sui chat bot e sulla loro incapacità di fornire una buona user experience agli utenti, “le confusioni e gli errori quando li si usano, sono ancora troppo frequenti e non abbracciano le aspettative degli utenti”.

Non è un algoritmo, ma un prodotto

Li spiega che l’errore principale degli startupper è pensare ai chabot come algoritmi a se stanti, senza inserirli in una logica di mercato: «Non è utile creare un chatbot che funziona come una feature da aggiungere a un prodotto esistente. I chabot vanno pensati per avere una value proposition, indipendente».

Non si tratta quindi di costruire un algoritmo, ma di avere un vero e proprio prodotto.

I numeri dei chatbot

I primi esempi di bot risalgono agli anni 50, grazie alla mente geniale del matematico Alan Turing. Ma è Microsoft che crea il primo bot, si chiama Clippy, ed era capace di rispondere ad alcune domande degli utenti. Secondo un report di Tracxn startup research sono 85 milioni i dollari investiti su progetti di chabot tra il 2015 e il 2016, in totale 30 round tra il 2015 e il 2016.

Tra le startup che hanno fatto più strada nei chat bot  ci sono X.ai, 34 milioni di dollari di finanziamento per l’assistente personale che si occupa di preparare meeting e incontri con i clienti.  E virtuOz, algoritmo che promette di migliorare la qualità della user experience degli utenti (li aiuta negli ordini e nella consegna della merce, ndr) che ha ottenuto 38,76 milioni di dollari di finanziamento, per poi essere acquistato dalla multinazionale Nuance Communication. Mentre Mark Zuckerberg ha comprato lo scorso anno Wit.ai, piattaforma che lavora a un sistema di riconoscimento del linguaggio naturale.

Il report svela poi quali sono i venture più interessati a finanziare startup nel campo, Y Combinator e Betaworks.

Chatbot e banche

I chat bot sono infatti ottimi tool per semplificare anche alla banca la gestione della sua interfaccia digitale, semplificando ulteriormente quanto al momento viene gestito in app. Un utente potrebbe trovarsi a gestire qualsiasi sua azione nei confronti della Banca senza aprire alcun canale se non il proprio profilo Facebook…

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