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«Creare un’azienda automobilistica è un’idiozia oggi. Fare auto elettriche è un’idiozia al quadrato», parola di Elon Musk. Le imprese impossibili sono il terreno in cui l’imprenditore sa “giocare” meglio di chiunque altro. Nel terzo episodio della nostra storia a puntate lo avevamo lasciato mentre costruiva razzi per lo Spazio e faceva piani concreti per conquistare Marte. Questo quarto capitolo racconterà un’altra un’altra “mission impossibile”: Tesla.

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Per capire bene le difficoltà del settore in cui Musk sta per investire basta un breve cenno alla storia: l’ultima “startup” di successo nell’automotive si chiama Chrysler ed è stata fondata nel 1925. Se dopo quella data nessun americano ha riprovato a mettere soldi e tempo nel business, ci sarà pure un motivo? «Quando ho raccontato a un amico in un pub del progetto di realizzare auto elettriche, mi ha chiesto se stessi scherzando».

A parlare non è Musk, ma Marc Tarpenning, l’ingegnere che insieme a un altro talento della programmazione Martin Eberhard sta studiando il modo di applicare al settore automobilistico batterie ricaricabili, note come accumulatori agli ioni di litio. L’idea prende forma quando i loro destini incrociano il talento visionario e la potenza finanziaria di Elon Musk.

2003, nasce Tesla Motors

Il primo luglio del 2003 Eberhard e Tarpenning danno vita a una società, la chiamano Tesla Motors, in onore a Nikola Tesla, inventore e pioniere nel campo dei motori elettrici. Per iniziare a fare le cose sul serio, creare la fabbrica, assumere operai, far partire una primo prototipo, hanno bisogno di un investimento di 7 milioni di dollari. Entrambi conoscono Elon Musk e hanno seguito alcuni dei suoi discorsi a Stanford, dove l’imprenditore aveva presentato le linee dell’azienda che poi sarebbe stata battezzata SpaceX.

Tramite un amico comune, Tom Gage, vengono a sapere che Musk vuole mettere i suoi capitali proprio nel settore delle auto elettriche. D’altra parte ha già offerto 10mila dollari a JB Straubel, oggi CTO di Tesla, che all’epoca studia le evoluzioni degli accumulatori agli ioni di litio.

Eberhard e Tarpenning incontrano Musk a Los Angeles per presentare il loro progetto, un’esperienza che non è proprio una passeggiata. Musk tempesta il povero Tarpenning, che è reduce da un viaggio insonne, di domande sul modello di business: «Mi ricordo solo che continuavo a rispondere, rispondere, rispondere a una tempesta di quesiti», ricorda Tarpenning nel libro di Vance.

Dopo qualche giorno, i due vengono invitati da Musk per un secondo incontro: “Okay, sono a bordo”, sono le parole dell’imprenditore che mette 6,5 milioni di dollari nell’azienda. Così diventa di colpo, il più grande azionista e assume il ruolo di presidente dell’azienda. Allo stesso tempo chiama Straubel e gli dice di spostarsi subito negli uffici di Tesla a Los Angeles. L’ingegnere entra a far parte del team dei fondatori nel 2004 con un salario di 95mila dollari. L’ingresso di Ian Wright, l’attuale COO di Tesla Motors, completa la squadra dei cervelloni alla guida della nuova azienda.

L’automotive sta a Detroit, Tesla invece va Silicon Valley

La scelta di lasciare l’headquarter dell’azienda tra San Francisco e Los Angeles è già di per sé emblematica. La città dell’automotive è Detroit, mentre Tesla si sarebbe evoluta in Silicon Valley seguendo il modello di sviluppo proprio di una startup. La prima mossa, come sempre accade nelle aziende guidate da Musk, è quella di assumere i migliori talenti. Stanford diventa la fucina ideale per reclutare giovani ingegneri “hungry and fool” che entrano con entusiasmo nella startup che vuole rivoluzionare per sempre il settore automobilistico.

La fabbrica viene installata a Commercial Street 1050 di San Carlos, 930mila metri quadrati, per costruire un dipartimento di ricerca e sviluppo e i primi prototipi delle auto. Il primo nasce nel gennaio del 2005, un nuovo tipo di macchina elettrica realizzata dal lavoro di 18 persone. Musk è entusiasta del lavoro svolto, mette altri 9 milioni di dollari nell’azienda, mentre Tesla raccoglie un round di 13 milioni. L’obiettivo è di portare la prima Roadster, sul mercato agli inizi del 2008.

Le cose vanno meno bene con il secondo prototipo. Le portiere sono troppo alte, il design dell’auto sembra poco proporzionato (serve più spazio per installare le batterie). E anche la fibra di carbonio impiegata, al posto della fibra di vetro, non convince Musk che vuole una macchina affascinante, ma anche pratica: «Musk per noi era il perfetto business angel. Aveva le competenze ingegneristiche che gli consentivano di capire cosa stavamo costruendo e la volontà ferrea di portare gli Stati Uniti verso l’indipendenza dal petrolio», spiega Tarpenning.

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Nel 2006 le cose sembrano proseguire nella direzione giusta. L’azienda cresce e assume più di 100 le persone, mentre continuano i lavori sulla prima Tesla Roadster che avrebbe debuttato nel 2008.  Musk investe nuovamente, altri 12 milioni, mentre un gruppo di venture come Draper Fisher Jurveston, Vantage Point Capital Partners, J.P. Morgan e i founder di Google (Larry Page e Sergey Brin) mettono 40 milioni.

Tuttavia, un anno dopo iniziano le prime frizioni tra lui ed Eberhard, che dalla fondazione di Tesla riveste il ruolo di Ceo dell’azienda. Ritenuto incapace di contenere i costi di produzione e di strappare le migliori condizioni a fornitori, viene fatto fuori con una telefonata da Musk. Sulla vicenda Business Insider riprende le dichiarazioni di Mike Harrigan, ex vice presidente di Tesla, che ha parole al vetriolo per l’imprenditore: «Musk è quel tipo di capo con cui lavori e non sai se il giorno dopo avrai o meno un lavoro. Appena si convince che non sei adatto a fare una cosa, non c’è alcun modo di fargli cambiare idea», spiega.

Quando Musk licenzia il founder (come accadde a lui in PayPal)

Eberhard viene fatto fuori dalla startup che ha fondato dall’oggi al domani. Destino strano, quello di Musk che si ritrova dai panni della vittima (anche lui è stato defenestrato da PayPal) a quelli del carnefice. Come successore viene scelto Michael Marks, in qualità di Ceo ad interim. Marks ha gestito Flextronics, un fornitore di prodotti di elettronica, e sa come gestire i rapporti con altre aziende e gli aspetti logistici.

Marks avrà il timone per poco tempo. La sua strategia difensiva, volta a contenere i costi e a ridurre le perdite degli investitori, non abbraccia la vision di Musk che punta a cambiare per sempre il volto del settore automobilistico. A questi si aggiungono altri problemi più concreti, il prodotto è in ritardo, il budget sta per finire. Ci sono due strade che si profilano, o la vendita della compagnia o una partnership con un grosso gruppo industriale (questo il piano di Marks). Musk non vuole seguire nessuna delle due strade. Salta anche Marks. Al suo posto va Ze’ ev Drori, che è nei fatti più un esecutore della volontà di Musk che un Ceo indipendente.

Musk, il “tiranno”

Musk lavora molto per migliorare l’immagine dell’azienda sulla stampa. Promette che il primo modello di Tesla sarebbe andato sul mercato nel 2008, a un prezzo accessibile (50mila dollari), mentre svela che Tesla è in procinto di aprire un nuova fabbrica. Ma è fin troppo ottimista, e lo sa.

Per realizzare il suo piano, fa la voce grossa in azienda, “sabati e domeniche a lavoro”, regole ferree in azienda sui risultati, chi non è in linea, può fare le valigie: «Dovete scegliere se vedere di più le vostre famiglie o assistere inermi al fallimento della vostra azienda» è quello che avrebbe detto un giorno al suo personale, secondo la dichiarazione di un ex dipendente, contenuta nel libro di Vance. Musk punta tutto sul contenimento dei costi e su soluzioni per renderlo realizzabile. Se il motore costa 6.500 dollari, bisogna abbassare il prezzo a 3.800. Un atteggiamento giudicato tirannico da molti dipendenti, mentre “giusto” da altri poiché rispecchia la realtà dei fatti. Musk passa le giornate a digitare il nome di Tesla su Google, se vede una cattiva storia, chiede al team del marketing di provare a porre rimedio.

Ed è proprio nel “marketing” che partono le maggiori “epurazioni”, bastava un errore di grammatica in una email per far perdere il posto al “colpevole”. Il clima in azienda non è dei migliori. Nei meeting Musk non vuole ascoltare problemi (che già conosce), ma solo soluzioni: «Se gli dicevi che una scelta era stata fatta perché rispecchiava lo standard che avevamo seguito finora, lui ti cacciava dal meeting, ripetendoti che “non voleva più sentire una frase del genere”».

Musk sa che si avvicinano tempi duri. La Roadster è costata all’azienda 140 milioni, invece dei 25 calcolati nel primo business plan. In una situazione normale, Tesla avrebbe potuto chiedere più soldi agli investitori, ma con la crisi finanziaria, che colpisce più di tutti il settore dell’automotive, non è facile convincere i venture a mettere decine di milioni di dollari per non far morire l’azienda.

2008, l’annus horribilis

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Il 2008 è l’annus horribilis per Musk. I primi lanci fallimentari dei lanciatori di SpaceX, i nove milioni di dollari che restano nelle casse di Tesla, e i problemi personali con sua moglie, dalla quale poi divorzierà.

Per la prima volta nella sua carriera imprenditoriale, Musk ha finito i soldi. Allora chiama i principali investitori in Tesla attorno allo stesso tavolo e chiede uno sforzo ulteriore per garantire il futuro dell’azienda: Bill Lee investe 2 milioni, Brin di Google, 500mila. Al round partecipano anche un gruppo di dipendenti di Tesla che firmano assegni per tenere in vita l’azienda, il loro sogno. Musk usa i soldi dei preordini dei clienti, per affrontare le spese ingenti. Si prende un rischio che avrebbe potuto portarlo direttamente in galera.

Allo stesso tempo ricorre ai suoi soldi. Dell acquista una startup in cui ha investito, Everdream, e questo gli fa raccogliere quasi 15 milioni, mentre vende alcune azioni di Solar City, altra azienda della quale possiede delle quote. In totale raccoglie 20 milioni e chiede uno sforzo uguale ai venture che non hanno ancora messo mano al portafoglio. L’impegno di Musk convince i venture. Tesla è salva: «Quello che è successo nel 2008 avrebbe ammazzato chiunque. Ma non Musk che non si è limitato a sopravvivere. Ha continuato a lavorare e a restare concentrato. Proprio l’abilità di non perdere il focus nel bel mezzo di una crisi è il vantaggio che Musk ha verso i suoi competitor», scrive Vance nella biografia.

Gli anni d’oro e l’Ipo

Per superare il momento di crisi, Musk diventa Ceo dell’azienda e assiste all’uscita della Roadster sul mercato nel 2008. In quattro anni, vende oltre 2mila modelli in 31 Paesi, a un prezzo di 108mila dollari. L’auto passa alla storia come la prima macchina elettrica con un autonomia di 300 chilometri.

La strada ora è in ascesa e nel 2010 la società sbarca a Wall Street e raccoglie oltre 200milioni di finanziamento.  Con la ricapitalizzazione si prepara al lancio di Tesla Model S, il secondo modello realizzato dall’azienda (145mila unità vendute al settembre 2016) e riconoscimenti come World Green Car of the Year, nel 2013. L’autonomia aumenta fino a 390 km, mentre la versione 85kWh può raggiungere anche un’autonomia di 502 km.

Il terzo modello è la Model 3 che promette di essere la prima auto elettrica di massa, 200 mila prenotazioni nei primi due giorni, una scommessa da 9 miliardi di dollari. L’auto sarà rilasciata nel 2017.

La fusione con Solar City, il futuro di Tesla

Il futuro di Tesla si chiama Solar City, la società specializzata nella produzione di pannelli solari, di cui Musk detiene il 22% del capitale. Già durante la scorsa estate Musk ha raccontato del suo piano di fondere le due compagnie. Il progetto è stato recentemente approvato dalle assemblee delle società. L’operazione ha un valore di 2.6 miliardi: «Che le due compagine con origini simili e obiettivi siano ancora separate è un incidente della storia», ha scritto Musk. La fusione ha diviso gli analisti. C’è chi come Wall Street la considera come un tentativo di salvare Solar City che è da tempo in perdita con 6,24 miliardi di passività finanziarie. E chi invece loda la vision di Musk che crea così un sistema di energia integrato in cui la casa e le nuove tegole fotovoltaiche, presentate nelle scorse settimane, creano un ambiente che ricarica naturalmente l’auto, in quella che è una vera e propria rivoluzione energetica.

A questo c’è da aggiungere oggi lo spettro delle politiche energetiche di Donald Trump minacciano le aziende di Musk. Secondo Reuters, i sussidi sui veicoli elettrici potrebbero essere tagliati drasticamente dal presidente eletto.

Il nuovo piano di Musk

Oggi Musk possiede il 22% delle azioni di Tesla che hanno un valore oggi di 5,7 miliardi. Malgrado i dubbi che abbiamo sollevato, sembra avere le idee molto chiare sul futuro dell’azienda.

Nel suo piano in quattro punti, parla dei punti cardine del futuro dell’azienda: come i progetti per allargare la produzione di camion autobus, i sistemi di guida automatica da implementare soprattutto dopo le polemiche sul primo incidente mortale con una Tesla. La volontà di “uberizzare” il modello Tesla, creando una flotta di car sharing per consentire agli autisti di avere anche delle fonti di guadagno. E soprattutto il sogno di democratizzare le auto elettriche, abbassare il prezzo e renderle accessibili a tutti.

To be continued…

Giancarlo Donadio
@giancarlodonad1