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Quando da piccolo guarda la tv trova solo cartoni sponsorizzati dal governo che spiegano “come essere un bravo comunista”. L’Uzbekistan, dove è nato, diventa indipendente dalla Russia, nel 1991, quando Al Goldstein, 37enne, già si è trasferito con la famiglia a Chicago. Quella che è la terza città per popolazione negli USA accoglie il piccolo Al, che riesce bene a distinguersi tra i quasi 3 milioni di abitanti. Prima gli studi, il posto in banca, il sogno dei genitori, e poi la scelta di cambiare completamente direzione per diventare uno startupper seriale. La prima fintech la vende a 250 milioni di dollari, con la seconda nell’immobiliare raccoglie 180 milioni da investitori. La terza, Avant, la porta nel club degli unicorni in soli tre anni con l’idea di offrire prestiti alla “middle class”, dimenticata dalle banche: «Vogliamo diventare nel fintech quello che è Amazon nel retail», spiega Goldstein a Bloomberg.

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Il papà, ingegnere, arrotondava con le pizze

Al ha 8 anni quando la sua famiglia si trasferisce negli Stati Uniti. Suo padre è un ingegnere che vende pizze per portare qualche soldo in più in famiglia. La madre studia per diventare medico. I suoi fanno di tutto per favorire gli studi del figlio: Al si laurea in economia all’Università dell’Illinois. Il mondo della finanza lo accoglie fin da subito, lo aspetta un lavoro come consulente presso la Deutsche Bank. Accetta l’incarico ma non supera il terzo anno: «Quando mal sopporti l’autorità e hai una soglia di attenzione limitata, è difficile che puoi lavorare in un settore tradizionale, come quello bancario», spiega Al. Che, tuttavia, trova il modo di farsi notare dal suo capo, Eric Rychel, poi diventato investitore in due delle sue startup: «Al possiede un istinto naturale nel trovare delle buone opportunità e cavalcarle», spiega Rychel.

La prima startup venduta a 250 milioni

Durante il lavoro in banca Al conosce molti dei “non bancabili”, la middle class, impoverita dalla crisi finanziaria, che cerca in banca un prestito per ripartire. Gli istituti finanziari non sono più disposti a scommettere sulla sua capacità di ripresa, e soprattutto di ripianare i debiti contratti. Allora Al decide, insieme a suo fratello e due amici, di aprire un’attività per offrire denaro con tassi di interesse di gran lunga inferiori rispetto agli istituti finanziari. Il sito è rudimentale, ma è da lì che arrivano la maggior parte delle richieste di prestito. Il business cresce, Al cambia nome (ma non filosofia) all’azienda che diventa CashNetUSA. L’attività viene poi venduta a seguito dell’offerta di un competitor che mette sul piatto $250 milioni.

Avant(i) tutta!

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Con i soldi della prima exit Al decide di approfondire il campo dei prestiti online. Ora niente più negozi fisici, “il lending” è ormai sdoganato con tanti competitor agguerriti. Per creare il business model di Avant chiama due amici che lo hanno aiutato nella sua prima startup, John Su e Paul Zhang. Insieme sviluppano un algoritmo che analizza tutta una serie di parametri dei clienti che richiedono il prestito e promette in pochi step di mettere a disposizione i soldi, tutto senza mai entrare in una filiale o fissare un appuntamento in un ufficio. Il software analizza il rischio del prestito e decide poi gli interessi da applicare, che vanno in media dal 10 fino al 36%. Non è necessario una grossa affidabilità creditizia. I soldi sono garantiti a chi ha un reddito annuale tra i 50 e i 100mila dollari con cifre che in media arrivano agli 8mila dollari:

«I nostri sono clienti che sono stati rifiutati dalle banche. Spesso hanno solo una carta di credito con meno di mille dollari sul conto. Sono quelli che hanno bisogno di soldi per riparare l’auto, fissare la caldaia o affrontare delle spese mediche impreviste. Sono quelli che hanno bisogno di un servizio capace di offrire loro denaro contante in pochi giorni per fronteggiare l’emergenza», spiega Goldestein a Chicago Tribune.

In soli quattro anni, Avant è diventato uno dei più grandi markeplace nel lending a livello mondiale. La startup oggi opera in tre mercati, UK, USA e Canada e ha offerto già prestiti per 3 miliardi di dollari a 450mila clienti.

I numeri buoni fin dall’inizio hanno attirato l’interesse degli investitori (tra cui Peter Thiel, il cofondatore di PayPal). Dall’anno della fondazione a oggi, Al e il team hanno raccolto investimenti pari a 1,78 miliardi. Il più recente di circa un anno (i 325 milioni del round guidato da General Atlantic) ha portato la startup nel club degli unicorni. In soli 4 anni, come svela Fortune.

L’Amazon del fintech (che però licenzia)

Oggi Avant è considerata una delle 10 migliori fintech al mondo. In quattro anni ha tagliato diversi traguardi e ha anche dovuto ridimensionarsi e attuare una politica di contenimento dei costi, licenziando il 30% dello staff, come spiega quest’articolo di The Wall Street Journal. Ciò malgrado Al ha grandi sogni e vuole arricchire il parco delle offerte anche ad altri servizi, come carte di credito, prestiti per finanziare gli acquisti di auto, e mutui: «Vogliamo portare l’azienda a un valore di 100 miliardi di dollari, imitando il modello della Bank of America o di City Group. E soprattutto di Amazon. Puntiamo a diventare per la finanza quello che l’ecommerce di Jeff Bezos rappresenta per il retail», spiega Goldestein.

Consigli da uno startupper seriale

Oltre alle due startup del lending, Al è anche fondatore Pangea Properties, un’agenzia di investimenti immobiliari che possiede più di 7 mila appartamenti tra Chicago, Indianapolis e Baltimora (Al è presidente del consiglio di amministrazione). Chi più di lui può offrire consigli agli startupper?

«Il successo arriva soprattutto a chi sa trovare un mercato adatto al suo prodotto. Dopo la crisi finanziaria, gli istituti finanziari  tradizionali hanno iniziato a limitare l’accesso al credito dei client, ma c’era ancora una grossa domanda di chi era alla ricerca di soluzioni creditizie. Questa è la nicchia di mercato in cui noi abbiamo scelto di inserirci. Trova la tua e assicurati di offrire dei servizi migliori rispetto ai competitor».

Giancarlo Donadio
@giancarlodonad1