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In principio c’era il petrolio, nero, viscoso. shutterstock 156893447Poi arrivarono le trivelle, i petrolieri, le raffinerie e la Standard Oil. Il resto, come si dice, è storia.

Un’economia – magari un filo inquinante – che domina da oltre un secolo le sorti del mondo. Si sono combattute guerre, sono caduti governi, il mondo si è sporcato. Il tutto per l’oro nero.

 

Big data

Oggi si afferma una nuova forma di ricchezza. Quella dei dati, anzi dei grandi dati (big data in gergo).

Il concetto è piuttosto semplice. Ogni giorno chiunque di noi lascia una scia, più o meno grande, di sé in rete. Foto, articoli pubblicati, articoli condivisi, like a pagine Facebook, ecc. Una collezione di informazioni che definiscono i nostri gusti, le nostre preferenze, ciò che amiamo o odiamo, ma in una chiave un filo più filosofica, i nostri sogni, timori, speranze, paure. Tutta questa galassia di dati vengono minuziosamente raccolti, classificati, standardizzati, aggregati per singoli grappoli (o cluster) e infine valorizzati.

 

Raffinerie moderne

I dati grezzi, paragonabili al petrolio appena estratto, hanno un valore relativamente basso. Il loro valore, al pari di quello del petrolio, aumenta mano a mano che esistono strumenti, macchine e sistemi capaci di valorizzarli (ci si ricordi che in origine l’unica funzione del petrolio era venderlo come unguento, e solo in seguito si cominciò a usarlo come combustibile bruciandolo direttamente, poi arrivò il signor Diesel…).

Dieci anni fa parlare di big data era prematuro. Al più ci poteva venire in mente la Cia che ci spiava, oppure la nostra banca che sapeva tutto, più o meno, di noi. Oggi questi dati (in continuo aumento, perché ognuno di noi è un naturale produttore di dati, che lo voglia oppure no) sono il nuovo oro nero. Non inquinano (non direttamente almeno), sono trasportabili a costi ridotti e sono di tutti (di tutti quelli che li acquisiscono e sanno utilizzarli, diciamo). L’Economist alcune settimana fa riportava una interessante vignetta corredata di articolo proprio su questo tema.

 

Standard Oil reloaded

Chi sono i nuovi “giganti” del petrolio digitale? Alphabet (il genitore di Google), Amazon, Apple, Facebook e Microsoft. Messe insieme valgono circa 25 miliardi di dollari in profitti nel primo quarto del 2017. Amazon cattura quasi la metà dei dollari spesi on line negli States. Google e Facebook hanno rappresentano la quasi totalità dei guadagni in pubblicità digitale in America l’anno scorso. Possono essere frammentati? Come si fece ai tempi per la Standard Oil? Semplicemente no. Una gestione del genere è molto più massiva e integrata nella vita di tutti i giorni di ogni cittadino e istituzione di quanto non si voglia ammettere. Cosa centrano i big data con la FinTech? Semplice, tutto.

 

Big data e FinTech

Facciamo un paio di esempi pratici. Le mie scelte su cosa posso o meno trovare interessante, in ambito di investimenti per esempio, sono materiale di studio per un consulente finanziario. Tuttavia la consulenza finanziaria sempre più spesso comincia ad avvicinarsi ai robot (nulla di esotico stile HAL di 2001: Odissea nello spazio). I consulenti finanziari umani costano. Costano sui bilanci delle banche, costano quando vanno in pensione. I bot non costano nulla, o meglio non costano quanto i loro corrispettivi umani. E la loro efficienza nell’analizzare i dati del mercato, prevedere le variazioni o micro trend, sono un valore aggiunto che ogni istituzione finanziaria dovrebbe valutare positivamente.

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Tra le tante funzioni possiamo elencare brevemente: identificazioni di frodi o comportamenti che possano mirare a frodi, calcolo dei rischio di un portafoglio in pochi minuti, tracciare soluzioni di vendita in tempo reale per gli utenti. Quest’ultima soluzione può essere sviluppata legando la raccolta di dati in rete a quella offline (chip Rfid, cellulari, gps, ecc…). Le vecchie realtà finanziarie come banche e le assicurazioni, possono competere con questo nuovo approccio di valorizzazione dei dati, da parte della FinTech? In poche parole no. Consideriamo che la maggior parte del mondo non ha un rating creditizio. E spesso le vecchie banche si affidano a standard di analisi obsoleti. È positivo sapere che i nuovi prestatori di credito usano tutti le nuove realtà sociali quali social media che generano big data. Un altro approccio interessante dei big data nel FinTech sono l’integrazione di Api (una breve lista dei fenomeni più interessanti).

 

Pubblica amministrazione e FinTech

Ci sono anche dei rischi, come ogni nuovo approccio alla tecnologia.

Uno dei temi di maggior interesse sono la sicurezza e le leggi o regolamenti che implicano la protezione dei dati. Proprio le istituzioni e le realtà accademiche sono molto interessate a comprendere la realtà della FinTech e tutte le sue positive sfaccettature che saranno di beneficio per la società civile. A partire da martedì 13 giugno, per 4 martedì , si terranno dei workshop, che modererò, in vista della Fintech Design Marathon con esperti accademici del PoliMi e startup di successo del settore FinTech che si confronteranno per comprendere meglio come questo scenario si stia evolvendo in Italia. Primo appuntamento domani alle 17.30 a Palazzo della Regione.