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C’è un Paese nel quale per il bitcoin mining si consuma più energia che per tutte le sue case messe insieme. Si tratta dell’Islanda, nuovo Eldorado per le criptovalute. Un Eldorado che però si rivela fragile, mentre gli esperti avvertono delle problematiche legate alla produzione di moneta digitale.

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Allarme sul consumo di energia

Secondo le previsioni, il 2018 sarà l’anno del sorpasso. L‘energia utilizzata per estrarre bitcoin sarà superiore a quella utilizzata dalla popolazione islandese per alimentare le proprie case e gli uffici. Nel corso dell’anno appena cominciato, infatti, la produzione di valuta virtuale dell’Islanda dovrebbe raddoppiare il suo consumo energetico arrivando a circa 100 megawatt. Vale a dire più di quanto i circa 340 mila abitanti della piccola nazione atlantica consumano le unità residenziali.

Come funziona il bitcoin mining

Come risaputo, ogni token (vale a dire l’unità di una criptovaluta), richiede la risoluzione di un complesso puzzle matematico al quale si viene a capo attraverso processi crittografici eseguiti da potenti computer. Chiaramente, più bitcoin si creano più aumenta la difficoltà dei calcoli e più cresce il consumo di energia elettrica. Mano a mano che si va avanti infatti i computer devono essere più potenti per risolvere calcoli sempre più complessi e hanno dunque bisogno di più energia.

Energia e centrali

L’Islanda è diventata una base cruciale per il bitcoin mining. L’isola ha infatti una grande abbondanza di centrali geotermiche e idroelettriche, senza contare le risorse naturali che forniscono enormi quantità di energia necessarie per far funzionare i computer utili all’estrazione di e-currency. Non solo. I prezzi sono bassi e fissi e il raffreddamento naturale per i server sono due attrazioni troppo grandi per i produttori di bitcoin.

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I timori dell’Islanda

In Islanda sono molto preoccupati per la situazione, tanto che Smari McCarthy, deputato del Partito dei pirati, ha presentato una proposta di legge per tassare i profitti del bitcoin mining. Secondo McCarthy, infatti. L’estrazione di criptovalute non porta valore occupazionale o economico all’Islanda. Per questo i produttori dovrebbero accettare una regolamentazione e una tassazione del settore emergente. “Stiamo spendendo centinaia di megawatt per produrre qualcosa che non ha un’esistenza tangibile e un uso reale per gli esseri umani al di fuori del regno della speculazione finanziaria”, ha affermato McCarthy annunciando la richiesta di regolamentazione del settore.

Preoccupazione globale

Ma la preoccupazione sull’impatto ambientale del bitcoin mining non riguarda solo l’Islanda. Gli studiosi delluniversità di Cambridge hanno avvertito sulle possibili gravi conseguenze ambientali a causa dell’estrazione di moneta digitale. Una ricerca di Morgan Stanley sottolinea invece come per creare ciascun token si consumerebbe la stessa quantità di elettricità che una famiglia media americana consuma in due anni. E nei prossimi anni il consumo per il bitcoin mining potrebbe triplicare.