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È tutta una questione di punti di vista. Se si guarda dal punto di vista delle fintech, davanti a loro si aprono praterie destinate a essere colonizzate grazie alle potenzialità della tecnologia messa al servizio di pagamenti, prestiti, assicurazioni e investimenti. Se si guarda dal punto di vista delle banche, invece, quello che si para davanti è un mercato consolidato e con moltissime regole da rispettare: un mercato conosciuto, articolato, con milioni di clienti da soddisfare ciascuno con le proprie esigenze. Un cambiamento è necessario: e, sotto traccia, è già stato avviato.

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I disruptor e noi

La seduzione della tecnologia, della capacità dei nuovi strumenti che passano dal cloud e dagli schermi degli smartphone, fa breccia nel cuore di tutti: l’idea di pagare con il telefonino, facendo sparire il contante dalle transazioni, può semplificare la vita e creare anche lo spazio per generare nuovi verticali di business sfruttando i dati che vengono generati da queste app. Ed è proprio questo il punto: “Siamo data company, le banche sono data company” sentenzia Roberto Ferrari, Chief Digital & Innovation Officer di Mediobanca, aprendo così una prospettiva diversa per affrontare questo cambiamento.

Se è vero come dice Ferrari, che parla naturalmente con cognizione di causa, che “i clienti non stanno scappando delle banche”, va preso però al contempo atto che questa situazione di attesa non può durare per sempre. Le banche hanno dalla loro quel patrimonio, in un certo senso immateriale ma di sicuro digitale, di informazioni sulle abitudini, le operazioni, gli interessi dei clienti che possono trasformare in qualcos’altro: sono le stesse informazioni che altri chiamano big data ,di cui tutti sono alla ricerca disperata, che sono già all’interno dei database delle banche e che possono essere impiegati con profitto.

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Non è questione dunque di innovare a tutti i costi, di reinventare sempre la ruota. A volte è necessario semplicemente rivedere un processo attraverso cui si sviluppa la fornitura di un servizio. Renderlo più efficace ed efficiente, traendo magari ispirazione o collaborando con una fintech, per guidare il processo di innovazione tenendo sempre ben presente il rispetto delle regole a cui la finanza è soggetta.

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Il vecchio e il nuovo

C’è poi un altro aspetto da considerare: il fascino della tecnologia non deve trarre in inganno rispetto, però, alla reale natura di alcune novità del panorama fintech. Prendiamo il caso dei pagamenti, che è probabilmente quello che più di tutti può risultare familiare al grande pubblico: da un lato c’è l’esigenza di semplificare il meccanismo, e possibilmente di renderlo il più sicuro possibile, di abbattere i costi per gli utenti e per gli esercenti. Su questo le banche e gli altri istituti finanziari non sono rimasti immobili in questi anni.

 

Un esempio su tutti: Jiffy. Un’app sviluppata da SIA e adottata da moltissime banche, che si appoggia su un meccanismo consolidato come quello del bonifico SEPA (un sistema che consente di trasferire fondi in tutta Europa in modo sicuro) e che funziona a mezzo app per trasferire fondi tra privati o verso gli esercenti con semplicità e costi ridotti. Una tecnologia “nuova” basata su una tecnologia “vecchia”: che funziona, è la stessa alla base di Satispay, che è stata messa in piedi da quelli che sono a tutti gli effetti degli incumbent ma che non si sono tirati indietro difronte alla sfida dell’ammodernamento tecnologico.

La chiosa migliore la propone lo stesso Ferrari al termine del suo intervento: “Le banche devono fare squadra, e devono migliorare il modo in cui comunicano la propria innovazione”, dice il manager di Mediobanca. Ovvero devono migliorare la capacità di comunicare, nel modo più adeguato, quanto di buono stanno facendo e hanno fatto in questi anni.

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