<div class="at-above-post addthis_tool" data-url="https://thefoodmakers-admin.startupitalia.eu/63752-20190214-far-mangiare-piu-prodotti-vegetariani-bisogna-cambiargli-nome"></div><p>Come fare a rendere più appetibili &#8211; anzi, <strong>appetitosi</strong> – i <strong>prodotti a base vegetale</strong>? Che si tratti del <a href="https://thefoodmakers-admin.startupitalia.eu/63141-20180928-beyond-meat-burger-senza-carne-sbarca-italia">Beyond Burger</a> disponibile da poco anche in Italia, nella catena bolognese Well Done, o della neocarne di <a href="https://thefoodmakers-admin.startupitalia.eu/63586-20190110-ces-2019-impossible-foods-presenta-burger-senza-carne-2-0">Impossible Foods</a> o ancora della non-maionese di <a href="https://thefoodmakers-admin.startupitalia.eu/2634-20150922-la-guerra-della-maionese-protetta-dal-re-si-allarga-al-belgio">Hampton Creek</a>, il problema rimane uno: <strong>svincolarli dal mondo del “senza”</strong>. Cioè dalla convinzione che, per le masse non certo per le nicchie più interessate e schierate, il fatto che un prodotto sia “<strong>senza carne</strong>”, “<strong>senza proteine animali</strong>” o senza qualsiasi altro ingrediente o materia prima sia <em>tout court</em> un motivo di scelta. <strong>Purtroppo non lo è</strong>. Almeno, sembra proprio non possa esserlo per questo genere di <strong>neocibi</strong> che promettono, almeno in teoria, di limitare<strong> l’impatto dell’allevamento sull&#8217;ambiente</strong> con ricadute importanti sia per quanto riguarda le <strong>emissioni di gas serra</strong> che per l’uso (lo spreco) di risorse come acqua e suolo.</p>
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<h2>Il problema di etichette e del mondo del &#8220;senza&#8221;</h2>
<p>Lo spiega molto bene un articolo della <a href="https://www.npr.org/sections/thesalt/2019/02/10/692114918/how-to-get-meat-eaters-to-eat-more-plant-based-foods-make-their-mouths-water?t=1549876688210&amp;fbclid=IwAR1SuGMYGZ0h2a62gzGpiOLm7XbKOZSirkrFS-dZPCxQgTzil4D8_bcezh0"><em>Npr</em></a>, ripartendo anche dall’invito di Beyoncé a mangiare meno carne per aiutare il futuro del pianeta: “<em>Se sei un onnivoro alle prese con un menu può essere complesso, per il futuro del pianeta, competere con <strong>l’attrattività di un grosso e succoso burger</strong></em>”. Magari non per tutti, anzi, ma per la stragrande maggioranza degli avventori questo può rivelarsi uno <strong>scoglio invalicabile</strong>. Come fare, dunque, a saltare questo ostacolo. In gran parte, dicono alcuni esperti, il problema potrebbe ruotare intorno al contesto linguistico.</p>
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<p>“<em>Il linguaggio per la carne, e il manzo in particolare, suona semplicemente più attraente</em>” spiega <strong>Daniel Vennard</strong>, capo del <strong>Better Buying Lab</strong>. Etichette come “<strong>meat free</strong>”, “<strong>vegano</strong>” o “<strong>vegetariano</strong>” tendono a spegnere l’appetito dei consumatori: “<em>Le persone non creano associazioni positive con ciò che stanno per assaggiare e dunque tendono a non sceglierle</em>”. Se lo dice uno il cui lavoro è lavorare con le società alimentari, con economisti comportamentali ed esperti di marketing per trovare modi per far mangiare le persone in modo più sostenibile, c’è da crederci.</p>
<h2>La soluzione per spingere le persone a mangiare in modo vario</h2>
<p><strong>Dunque quale potrebbe essere la soluzione?</strong> Secondo un nuovo rapporto dello stesso Better Buying Lab, è molto semplice: concentrarsi meno sul fatto che un certo prodotto sia senza carne o su altri aspetti salutari della sua composizione vegetale – approccio che fa pensare ai consumatori che stiano per perdersi qualcosa – e spingere più sul loro <strong>sapore</strong>, sulla <strong>provenienza</strong>, sul <strong>gusto</strong>, in modo da “<em>solleticare il critico gastronomico che è in noi</em>”, come spiega Vennard.</p>
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<p>L’obiettivo, infatti, non dev’essere certo quello di <strong>convertire milioni di persone al vegetarianesimo o veganesimo</strong> ma solo a proporre con maggiore frequenza nel loro regime alimentare opzioni vegetali. La produzione di carne rossa è clamorosamente energivora, specialmente quando non è condotta secondo le regole e i protocolli. Stando ai calcoli del<strong> World Resource Institute</strong>, se il consumatore medio (che ovviamente non esiste in quanto tale: al mondo c’è chi mangia troppa carne e chi troppo poca) sulla Terra evitasse il <strong>30% di carne</strong> a favore di diverse opzioni, si potrebbe ottenere un taglio delle emissioni dall’agricoltura da qui al 2050 <strong>pari alla metà di quelle attuali</strong>. Un cambiamento culturale significativo considerando che le emissioni di questo tipo pesano fino al 25% su quelle complessive globali.</p>
<h2>Gli esperimenti</h2>
<p>Per spingere le persone a questa svelta, il Better Buying Lab ha condotto degli <strong>esperimenti</strong> con diverse compagnie nel Regno Unito e negli Stati Uniti, inclusa la catena di fast food Panera Bread. La “<strong>Vegetarian Black Bean Soup</strong>”, etichettata come “a basso contenuto di grassi”, ha per esempio visto un incremento notevole nelle vendite – circa il 13% &#8211; quando il nome è stato trasformato in “<strong>Cuban black bean soup</strong>” in 18 negozi di Los Angeles e californiani. Il semplice aggettivo “<strong><em>cubano</em></strong>” dev’essere riuscito a far venire l’acquolina in bocca a più acquirenti, col suo retroterra di spezie e di calore. Risultati ancora più significativi per il test condotto con Sainsbury’s, in Gran Bretagna: quando la catena ha ribattezzato il suo “<strong>Meat-free sausage and mash</strong>” in “<strong>Cumberland-spiced veggie sausage and mash</strong>” le vendite sono schizzate del 76%.</p>
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<h2>Il peso del linguaggio nelle scelte</h2>
<p>Insomma, il linguaggio utilizzato può avere un<strong> peso enorme</strong> nelle scelte delle persone, che spesso prima di acquistare oppure ordinare tendono a immaginare, quasi con una simulazione mentale, come quella certa pietanza risulterà una volta gustata. Il primo fronte di suggestione è ovviamente la <strong>descrizione</strong>, un punto su cui chi produce e vende prodotti vegetariani e vegani è stato negli anni estremamente carente. Non è un caso che la stessa catena Panera stia pensando di modificare molti altri nomi dei propri piatti inserendo riferimenti come “grigliato”, “tostato”, “toscano” (in barba al dramma dell&#8217;<em>italian sounding</em>) e così via.</p>
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Per far mangiare più prodotti vegetariani bisogna cambiargli il nome

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L’indagine del Better buying Lab e gli esperimenti che hanno condotto a un aumento delle vendite semplicemente svincolandosi dalla logica del “senza carne”

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