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Biometano, ovvero come produrre elettricità e calore dagli scarti agricoli e zootecnici

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Energia rinnovabile a emissioni ridotte in grado di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili: ecco perché Bruxelles (e Roma) ci stanno puntando forte

Energia rinnovabile a emissioni ridotte in grado di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili: ecco perché Bruxelles (e Roma) ci stanno puntando forte

ECONOMY
Food Tech
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Antonio Piemontese
15 dic 2022

Produrre elettricità, calore e biocombustibili a partire da letame, scarti agricoli e frazione umida dei rifiuti urbani, massimizzando il recupero di materia e nutrienti. Biogas e biometano entreranno sempre più nel mix energetico italiano e continentale. Energia rinnovabile, a emissioni di gas serra ridotte rispetto al gas naturale e in grado di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili: ecco perché Bruxelles (e Roma) ci stanno puntando forte, nell’ottica di un approccio sempre più circolare ai sistemi produttivi agroalimentari, e del contrasto alla crisi energetica.

I numeri del biometano

A fine 2021 erano 19.654 gli impianti europei destinati alla digestione anaerobica, di cui 18.774 per la produzione di biogas e i restanti 880 di biometano (fonte dati: rapporto EBA, European Biogas Association, 2021). La produzione complessiva di biogas e biometano nel 2021 ha raggiunto 18,4 miliardi di metri cubi equivalenti, quantitativo che rappresenta circa il 4,5% del consumo di gas naturale sul continente.

A livello italiano, a fine 2020, sono stati censiti 1.983 impianti di digestione anaerobica, di cui circa 35 già finalizzati alla produzione di biometano (fonte: Atlaimpianti – GSE).  Attualmente, secondo Snam, il nostro Paese è il terzo produttore mondiale di biogas, con oltre 2,8 miliardi di metri cubi equivalenti.

Ma scendiamo più nel dettaglio. 

“Il biogas è ottenuto tramite il processo naturale di digestione anaerobica, cioè tramite la degradazione di biomasse organiche da parte di microorganismi in assenza di ossigeno. Il biogas è costituito per circa il 55% da metano e per il resto da anidride carbonica” spiega Mirco Garuti, ricercatore al CRPA (Centro Ricerche Produzioni Animali ) di Reggio Emilia.

Il biogas può essere utilizzato per produrre energia elettrica e calore tramite impianti di cogenerazione oppure purificato ad un livello tale da essere immesso nella rete del gas naturale come biometano. Non solo: una volta nella rete del gas naturale, il biometano può essere distribuito, stoccato e utilizzato anche dopo mesi, con il vantaggio di utilizzare un’infrastruttura che già esiste.

“Per ottenere biometano dal biogas è necessario separare la CO2 tramite processi chimici o chimico-fisici che vanno sotto il nome di “upgrading”; il biometano ottenuto può essere immesso nella rete distributiva e di stoccaggio del gas naturale e può essere impiegato come carburante per autotrazione ma anche per altri usi industriali per la produzione di energia elettrica e calore”. Trascurabili le differenze con il normale metano: “Chimicamente la molecola è del tutto assimilabile al gas naturale, con il vantaggio di non doverlo estrarre da fonti fossili non rinnovabili”.  Non solo. “Si tratta di una fonte programmabile e il residuo, che prende il nome di ‘digestato’, è un ottimo fertilizzante ricco di azoto e altri elementi nutritivi per le piante”.

“Il grande vantaggio di biogas e biometano”, prosegue Garuti, “è che si tratta di energia democratica, diffusa su tutto il territorio nazionale il cui modello di produzione si può estendere anche ai Paesi in via di sviluppo”. 

Attualmente, in Italia, le regioni con più impianti di biogas sono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, quelle, cioè, in cui è maggiore la presenza di stalle e allevamenti zootecnici.

Mirco Garuti, ricercatore al CRPA di Reggio Emilia.
Mirco Garuti, ricercatore al CRPA di Reggio Emilia.

Chi sono i produttori di biogas e biometano?

Ma chi produce biogas e biometano? “Le forme sono diversificate – riprende Garuti – Per il biogas, a oggi in Italia la forma più tipica è un’azienda agricola solitamente associata ad allevamento zootecnico che opera un investimento per valorizzare residui agricoli ed effluenti zootecnici”.

Ma c’è interesse anche da parte di grandi realtà. Come nel caso del progetto “Biometano di filiera”, avviato dal gruppo Granarolo assieme alla Confederazione italiana dei bieticoltori (Cgbi, che rappresenta 5.200 aziende agricole e zootecniche italiane). Obiettivo: realizzare dieci nuovi impianti di biometano nell’arco di tre anni in Emilia-Romagna, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Puglia per produrre 30 milioni di metri cubi di biometano agricolo all’anno, evitando l’emissione in atmosfera di 60mila tonnellate di anidride carbonica.

Al contempo si punta a mettere sul mercato circa 500mila tonnellate all’anno di digestato. L’investimento totale, riporta Il Sole 24 ore, è stimato in 70 milioni di euro, in parte finanziato con i fondi del PNRR. Gli impianti consentiranno di ridurre i costi di fornitura energetica e valorizzare ciò che fino a oggi sono scarti, abbattendo i costi di produzione e recuperando competitività.

Biometano, la normativa

L’Unione Europea ha una strategia sul biometano contenuta nel piano RePowerEU. Anche il governo italiano ha licenziato a settembre la normativa biometano ter, che favorisce la riconversione degli impianti di biogas agricolo già esistenti e la realizzazione di nuovi. Si tratta di una partita da 1,7 miliardi di euro. A breve i decreti attuativi, che definiranno i dettagli: potrebbero arrivare entro la fine del 2022.


 

Tags: #ALLEVAMENTI #BIOMETANO #ENERGIA #GAS
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