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Pandemia, lockdown, terremoto nelle finanze personali ma anche, in certi casi, risparmi inattesi. E poi l’autentica invasione di applicazioni e piattaforme fintech per fare praticamente qualsiasi cosa: investire, risparmiare, acquistare criptovalute, fare trading a livelli spesso semi-professionali senza averne le competenze. Trade Republic, piattaforma di investimento e risparmio leader in Europa, ha commissionato un’indagine quantitativa all’istituto di ricerca indipendente Censuswide. L’obiettivo è appunto  indagare propensioni e comportamenti degli italiani nei confronti di un tema così importante come quello degli investimenti post-pandemia.

Un clima contraddittorio sugli investimenti

Il clima è abbastanza contraddittorio: se oltre sei intervistati su dieci (65%) hanno affermato che investire dovrebbe essere accessibile a tutti e non solo ai professionisti, è infatti altrettanto vero che il 47% di loro ha concordato sul fatto che muoversi in questo mondo sia troppo complesso. Questa è probabilmente la ragione per cui il campione analizzato sembra dividersi in due fazioni. Da una parte chi afferma di affidarsi ai consigli di professionisti esperti per prendere decisioni di investimento – soprattutto al Centro e nelle isole – dall’altra chi invece si informa e prende decisioni di investimento in modo indipendente – al Nord.

Non tutta Italia investe allo stesso modo

Le differenze regionali sembrano infatti importanti: quando interrogati sul livello di conoscenza dell’argomento, i 2mila italiani del campione Censuswide hanno dato risposte differenti proprio in base alla residenza. A dichiararsi i più preparati sono gli abitanti del Sud Italia, dove il 39% di coloro che ha risposto afferma di sentirsi competente sul tema “investimenti”.

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Quanto ai risparmi, a livello nazionale un italiano su due ha dichiarato che una delle principali ragioni che spinge a mettere da parte soldi e altri titoli è costruire un progetto a lungo termine come l’acquisto di una casa, la preparazione al pensionamento, l’assicurazione sulla vita e così via. Il 40% risparmia invece per far fronte alle piccole emergenze quotidiane. Gli investitori che risparmiano di più risultano essere nel Centro Italia, dove l’86% degli italiani dichiara di riuscire a risparmiare una piccola cifra ogni mese.

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In termini di investimenti puri, invece, solo il 44% degli abitanti delle due principali isole italiane ha investito in passato. Discorso diverso invece per Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta: la stessa percentuale tende infatti a crescere fino a superare il 60% se si prendono in considerazione i rispondenti del Nord-ovest italiano. A livello nazionale la percentuale si attesta invece al 55%.

Gli investimenti non sono per sempre

Eppure l’investimento si configura come una stagione momentanea della vita che a un certo punto, per difficoltà, costi o incertezze, si interrompe. Più o meno una persona su tre ha infatti affermato che sarebbe più propenso a riprendere a investire se avesse la possibilità di apprendere di più sull’argomento. Questa tendenza è particolarmente sentita nelle regioni del Nord-Ovest (37%). Per quanto riguarda invece le prospettive future, la percentuale più alta di rispondenti che stanno considerando di iniziare nuovamente a investire viene dalle regioni del Nord- Est (29%), nonostante – di nuovo – una percentuale quasi analoga (26%) dichiari di non sentirsi abbastanza preparato sull’argomento.

Canova: “Educazione finanziaria già a scuola”

Appare dunque lampante il bisogno di diffusa educazione finanziaria, specialmente in una fase così ricca di incertezze da una parte e moltiplicazione di strumenti e prodotti dall’altra: “Andrebbe introdotta e con obbligo, ne sono convinto sostenitore” spiega a StartupItalia l’economista Luciano Canova,  divulgatore scientifico, docente di Economia comportamentale alla Scuola Enrico Mattei e attivissimo influencer social sui temi del risparmio, degli investimenti e della competenza finanziaria. “Qualcosa si è cominciato a fare con l’ora di educazione civica ma molto può essere fatto e sono fiducioso. I benefici della divulgazione social sono invece chiaramente quelli di portare temi a volte percepiti con ostilità al grande pubblico. Insomma, un cavallo di Troia per l’attenzione e il coinvolgimento. I rischi sono l’eccessiva semplificazione, se non si specifica che oltre la divulgazione ci deve essere lo studio, e a volte la tossicità del dialogo social, che polarizza e non fa emergere un clima positivo di fiducia”.

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Gli strumenti per investire, dalle banche alle piattaforme neo broker

Regione che vai, piattaforma e modalità d’investimento che trovi: se al Nord persiste una forte preferenza per gli istituiti bancari e i broker tradizionali (scelti dal 67% degli intervistati), è nel Sud Italia che si trova la percentuale più alta di conti di investimento aperti su piattaforme di neo broker (22%). Anche i siti specializzati nel trading di criptovalute rappresentano uno strumento importante, scelto ad esempio dal 42% di sardi e siciliani. “Oggi investire tramite app, con rischi e vantaggi, è molto semplice e un paese che usa poco (relativamente) il digitale per la sua struttura demografica è penalizzato – aggiunge Canova – va poi detto che il mito degli italiani risparmiatori è da rivedere: nel ‘95 eravamo primi tra i paesi Ocse con il 16% del reddito disponibile risparmiato ma gli anni della crisi hanno eroso questa capacità e ora siamo a tassi inferiori a Germania e altri paesi. Ovviamente la stagnazione economica non aiuta. In ultimo, c’è culturalmente l’idea dell’accantonamento prudente, o dell’acquisto della casa, ma molto meno quello dell’investimento in azioni o titoli”.

Investimenti o speculazioni?

C’è insomma una certa confusione fra investimento, risparmio e (talvolta perfino legittima) speculazione. Quali sono le dinamiche che più hanno influenzato questo caos? “In generale a volte c’è una connotazione negativa verso parole senza che ci sia un pensiero – conclude Canova – mi riferisco già a ‘finanza‘, che è strumento fondamentale di finanziamento di idee innovative e poderoso elemento di mobilità sociale ma che, chissà perché, fa pensare subito al lato oscuro della Forza. In sé la parola speculazione fa semplicemente riferimento a una strategia volta a ottenere un guadagno da una differenza di prezzo: quindi c’è una componente speculativa molto naturale nell’investimento. I problemi sono due: la retorica non basata sui dati che presenta le banche o i trader come brutti e cattivi (la crisi del 2008 ha morso anche a livello di percezione) e poi, effettivamente, quei movimenti speculativi che non hanno dietro fondamentali di domanda e offerta, il che gonfia prezzi e aumenta volatilità perdendo di vista un concetto chiave, cioè il valore fondamentale di un’azione o di un’impresa. Serve come sempre un approccio non binario e che per lo meno parta dalle definizioni”. E serve un sacco di competenza finanziaria in più, per tutti.