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A pochi giorni dal lockdown italiano, l’Università di Harvard monitorò, con metodologia scientifica, lo stato psicologico del nostro Paese e non ebbe timori a dire che l’emergenza sanitaria si sarebbe presto trasformata in emergenza psicologica: parlò, la celebre università, di emergenza sociale, dello stress collettivo di un’intera nazione, ma parlò soprattutto della moltitudine di emergenze personali, domestiche, individuali espresse da ciascuno di noi, la cui singola vita è oggi intrappolata in un isolamento e una sospensione mai sperimentati prima.

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SipemSos, il supporto arriva dagli psicologi dell’emergenza

A quanti non reggono il dolore, lo stress, la confusione di questo momento stanno prestando soccorso i volontari e le volontarie della SipemSos, la Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza Social Support, un team di psicologi e personale socio-sanitario che da vent’anni, dentro la Protezione Civile, lavora in tutta Italia nelle situazioni di emergenza, appunto (info su www.sipemsos.org). I suoi tanti volontari hanno prestato soccorso dopo il terremoto dell’Aquila, nel 2009, dell’Emilia Romagna, nel 2012 e quello di Amatrice nel 2016, così come dopo l’incidente ferroviario di Pioltello o il crollo del Ponte Morandi  a Genova, dove sono intervenute le strutture regionali.

 

Oggi sono tutti mobilitati sul Covid-19.  “A differenza delle altre emergenze, dove interveniamo fisicamente sul posto, questa volta il nostro terreno di intervento è rappresentato soprattutto dalla comunicazione telefonica e digitale”, dice Elena Zito, psicologa varesina che da qualche anno vive nella campagna marchigiana da dove segue la comunicazione per SipemSos, raccontando come ogni emergenza sia un mondo a parte e dunque richieda strategie diverse. “In questo caso, la necessità assoluta del distanziamento ci fa agire per lo più attraverso lo smartphone. L’emergenza psicologica a cui diamo risposta è quella di quanti lavorano in ospedale nella condizioni che ormai tutti conosciamo o di chi ha un parente ricoverato, ma è soprattutto di cittadini in isolamento sociale, dallo studente fuori sede angosciato perché lontano dalla famiglia in un luogo in cui non ha radici all’anziano che ha perso improvvisamente tutti i suoi riferimenti di vita. Spesso sono proprio i cittadini a cercarci, attraverso numeri verdi o linee telefoniche sempre aperte, in altri casi siano noi a chiamarli dopo che ci è giunta una richiesta di aiuto: il nostro compito, a quel punto, è aiutarli a gestire i loro stati emotivi, a prenderne consapevolezza e ad attivare la resilienza, ovvero la capacità di adattarsi al cambiamento improvviso e di affrontare in maniera quanto più possibile positiva l’evento traumatico”.

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L’importanza di costruire un dialogo

Spiega che, tecnicamente, il loro è una sorta di primo soccorso psicologico: “L’obiettivo di noi psicologici dell’emergenza non è prenderci carico delle persone: la maggior parte di noi compie un massimo di tre colloqui telefonici, quindi cerca di indirizzarle agli specialisti delle strutture sul territorio. Certo, quei colloqui sono importantissimi: noi operatori dell’emergenza siamo soliti lavorare vicini, fisicamente, alle persone in difficoltà; in questi casi operiamo in assenza di prossimità e dunque, visto che le parole prendono il posto del contatto fisico e dei gesti, costruire il dialogo adeguato è ancora più cruciale, mentre lo stesso tono di voce, le pause, i silenzi diventano protagonisti del soccorso”.

 

Psicologo d’emergenza, un mestiere nato di recente

Gli specialisti dell’emergenza insegnano, in modo molto pragmatico, a gestire la mole emotiva che la pandemia genera in ciascuno perché, come dicono, per non farsi travolgere dalle emozioni più forti può essere sufficiente conoscerle: così, a proposito della rabbia, emozione molto diffusa ma ancora poco indagata, spiegano che la proviamo verso eventi inaccettabili e persone che riteniamo responsabili di essi e a volte è associata alla tristezza e al senso di impotenza. “La rabbia innesca altra rabbia se sfogata sugli altri: meglio scaricarla con l’esercizio fisico o convertire la sua intensa energia in azioni per dare aiuto alla comunità, sapendo anche che se si accetta il senso di impotenza la rabbia perderà la sua intensità”, consiglia  Guendalina Grossi, psicologa ventottenne di Genova con un master in Psicologia dell’emergenza e Psicotraumatologia, lei stessa del team Comunicazione. La Psicologia dell’emergenza, racconta lei, è una disciplina abbastanza recente, che nasce da varie aree della teoria e della pratica psicologica, come la psicologia del lavoro, la psicologia sociale, la psicologia dello sviluppo ma che richiede di adattarsi a contesti non sempre canonici. “Io, per esempio, non ho mai pensato che avrei lavorato al chiuso, in uno studio: piuttosto mi ha sempre appassionato l’idea di operare, in termini molto veloci ed estremamente operativi, in contesti difficili e anomali dove le persone sono in forte stress e lo psicologo va in loro soccorso quando loro stesse non riescono ancora a chiedere un chiaro aiuto psicologico. E poi amo l’idea di operare in un team multidisciplinare, come effettivamente facciamo noi psicologi, che interveniamo insieme a medici, infermieri, alle forze dell’ordine… naturalmente mettendo sempre in atto dei precisi protocolli di intervento”.

Se volete entrare a far parte del Sipem Sos, su www, sipemosos.org scegliete dal menu Sedi Regionali la vostra e contattate il referente per inviare la domanda. Se non c’è, potete cercare la regione più vicina o contattare la SipemSos direttamente: è consentito fare domanda anche se siete studenti e non avete ancora completato la vostra formazione.