Viviamo in un’epoca paradossale. Mai così connessi, mai così aggressivi. Scrolliamo feed saturi di indignazione, risentimento, polarizzazione. Una rete fatta di haters per un tempo nel quale – come ha scritto pochi giorni fa Riccardo Luna nel suo nuovo libro – “qualcosa è andato storto”. L’odio fa rumore, la gentilezza no. Eppure è proprio la gentilezza – esercitata, allenata, misurata – a cambiare il percepito delle cose e la qualità delle relazioni. Per le organizzazioni grandi e piccole e per le persone, che poi abitano proprio le organizzazioni.
Una premessa per me necessaria. Perché oggi 13 novembre 2025 è la Giornata mondiale della gentilezza, ossia la World kindness day che abbiamo deciso di celebrare su StartupItalia con una programmazione speciale. La giornata è stata istituita nel 1998 dal World Kindness Movement, network globale nato a Tokyo durante la prima conferenza mondiale sulla gentilezza, che riunì all’epoca organizzazioni di oltre 20 Paesi impegnate nella promozione di valori come empatia, rispetto e solidarietà. Da allora la giornata è riconosciuta e celebrata in oltre 50 Paesi tra cui Italia, Canada, Australia, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti. Ed è celebrata con campagne pubbliche, iniziative aziendali, progetti educativi e attività di volontariato.
Negli ultimi anni la ricerca internazionale ha iniziato a trattare la gentilezza non più come soft skill accessoria, ma come infrastruttura organizzativa. Forbes ha scritto che la gentilezza è ormai un valore essenziale per il successo nel business, capace di ispirare chi lavora, con un investimento minimo e un impatto enorme su clima e performance. Insomma, la gentilezza come vantaggio competitivo perché mostra come i comportamenti empatici aumentino engagement e crescita. Non è buonismo, bensì strategia.
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Persino l’Economist ha dedicato un’analisi a una domanda che sembra persino ingenua: “Should you be nice at work?”. La gentilezza è nell’aria: le aziende pubblicano manifesti sulla cultura della cura, gli editori lanciano manuali manageriali. Tradotto: il tema è entrato nel vocabolario del management. Lo aveva evidenziato tempo addietro anche Emma Seppälä dell’Università di Stanford: pratiche legate alla compassione – dalla loving-kindness meditation ai micro-atti di gentilezza quotidiana – aumentano emozioni positive, capacità di cooperare e resilienza allo stress. La gentilezza, insomma, non è un vezzo caratteriale: è un potenziatore di funzionamento cognitivo e relazionale. Insomma, la gentilezza – declinata in ascolto, cura, attenzione – produce valore misurabile: meno costi di turnover, più creatività, più stabilità. Non più “io contro te” ma “noi insieme”. In fondo tra le righe me l’ha raccontato anche Daniel Goleman, artefice dello sviluppo del concetto sull’intelligenza emotiva col suo bestseller uscito nel lontano 1985 e quanto mai attuale. L’ho intervistato domenica sul Sole24Ore e mi ha ricordato come proprio l’intelligenza emotiva non sia solo riconoscere le emozioni, ma anche saperle esprimere e regolare, proprie e altrui. È la grammatica profonda delle relazioni. Senza gentilezza, l’intelligenza emotiva resta teoria. Con la gentilezza diventa pratica di leadership, di team, di relazione con i clienti.
Per le startup questo ha un impatto diretto. Nella fase in cui il prodotto non è ancora perfetto, il servizio non è definitivo, i processi sono in costruzione, ciò che tiene in piedi la relazione con utenti, collaboratori, investitori è proprio la qualità del legame umano. Una mail gentile dopo un bug, un customer care che ascolta davvero, un founder che si prende il tempo di spiegare, di ringraziare, di chiedere scusa: sono gesti che cambiano il percepito del brand più di qualsiasi campagna perfetta. La gentilezza diventa buffer rispetto all’errore o all’imperfezione. Per le aziende mature e per quelle challenger la sfida è culturale e passa ora dalla misurazione. Significa passare da retoriche muscolari – guerra dei talenti, battaglie di mercato, guerra dei prezzi – a linguaggi e pratiche che riconoscono l’umanità di chi lavora. La gentilezza non è ingenuità. È costruzione paziente di capitale sociale. Per questo oggi serve un salto ulteriore: misurare la gentilezza. Chiederci come founder, manager, team: quanto si sentono ascoltati i nostri clienti esterni o interni? Sono domande che devono entrare nelle survey interne e nelle metriche di customer experience. Gentilezza come indicatore, non solo come hashtag. Il punto è tutto qui: in un mondo che si indurisce, la gentilezza non è decorazione, è infrastruttura. È il modo con cui l’intelligenza emotiva diventa tangibile. È ciò che cambia il percepito delle cose, ripara le crepe della fiducia, ridefinisce la relazione tra startup, aziende e persone. In un ecosistema che sembra premiare chi urla più forte, vincerà chi saprà essere radicalmente, ostinatamente gentile. Misurando quell’ascolto.


