È cresciuto nelle case popolari di Torino, con i racconti del padre che anche in cassa integrazione non ha mai smesso di credere nel riscatto. E di farlo studiare. Nei giorni più difficili, la sua famiglia viveva grazie ai pacchi della Caritas. «Viva la Caritas, in casa tutto era brandizzato così». Nei weekend vendeva cianfrusaglie al mercato di Porta Palazzo per tirare avanti. Oggi Omar El Hamdani, classe 1992, nato a Napoli da mamma tunisina e papà marocchino, trasferitosi al Nord all’età di quattordici anni, è CEO di due aziende di cybersecurity.

Fin da giovanissimo ha coltivato il sogno di fare impresa. E con due compagni del liceo, appassionati di Informatica come lui, ha iniziato presto a fare l’hacker. Da lì non si è più fermato. «Voglio che la tecnologia migliori la vita delle persone, anche di chi sta indietro».
Guida due realtà nel mondo della sicurezza informatica: è CEO di Shielder s.p.a. e di Sicuranext. «La prima è una boutique specializzata in ethical hacking, punta tutto sulla qualità e sulle competenze delle persone. Cerchiamo di spingere le ragazze e i ragazzi a diventare sempre più forti nella ricerca di vulnerabilità. La seconda, invece, è una società industriale che sviluppa prodotti capaci di proteggere le piccole e medie imprese dagli attacchi cyber. Potremmo dire che la prima azienda prova a rompere le porte per capire come sono fatte, la seconda costruisce cancelli più resistenti».
Tutto è partito anni fa. «Eravamo tre amici al liceo Porporato, psico-linguistico: 1.500 studenti, di cui 1.300 ragazze. Noi tre eravamo gli unici appassionati di informatica e ci siamo uniti in modo abbastanza rocambolesco. Avevamo un sogno: creare un’impresa. Siamo partiti senza un euro, a 22 anni, in un appartamento marcio, seguendo il mito di Adriano Olivetti, che mi ha trasmesso un grande professore al liceo. Avevamo solo un PowerPoint e Dot Beyond ha creduto in noi fin dal giorno zero. Abbiamo raccolto circa un milione e mezzo e ora stiamo crescendo con le nostre forze. Facevamo la gara tra noi a chi era il primo ad arrivare in ufficio e l’ultimo ad andare a casa la sera. E studiavamo il più possibile».
Oggi Omar ha 60 dipendenti per le due aziende, con un’età compresa tra i 19 e i 60 anni, idee chiare e valori. «La mia vita è stata piena di problemi. Mi definisco un figlio del welfare e devo restituire quello che l’Italia mi ha dato. Mia madre ha convinto mio padre a venire a Torino nel 2006. Lui ha iniziato a lavorare nell’indotto della Fiat. Nel 2008 la grande crisi, mio padre viene messo in cassa integrazione e mia madre si ammala. Non potevamo più permetterci una casa: sono arrivati i carabinieri a cacciarci fuori, siamo finiti nelle case popolari. Mia mamma è stata curata dalla sanità pubblica. E anche se non avevamo più niente per vivere, mio padre non ha mai mollato e ha sempre puntato su di noi. Ci ha sempre lasciato lo spazio per studiare. Mia sorella ha fatto il liceo classico, entrambi l’università».

Omar ha frequentato giurisprudenza fino al quarto anno. Non si è ancora laureato, ma promette di farlo presto. «Ho voluto iniziare a lavorare e fare l’imprenditore seriamente per contribuire alla mia famiglia e alla società. Credo che una società sia un ecosistema in cui bisogna partecipare in modo virtuoso, senza lasciare indietro nessuno. Non mi piace il turbocapitalismo, né l’individualismo estremo. Non ho creato un’impresa per fare una exit. Ma intorno a me vedo un egoismo diffuso, ci si dimentica degli altri per la sopravvivenza individuale. Ma non esiste sopravvivenza individuale se non c’è una società che funziona. Penso che la meritocrazia sia importante, che chi merita di più debba guadagnare di più ma senza lasciare indietro nessuno».
Tra i suoi riferimenti c’è spesso Adriano Olivetti. «Ho letto tanto su di lui. Mi ha insegnato che un’impresa non è solo un luogo di lavoro, ma è un luogo di vita. Dove deve esserci bellezza, rispetto, benessere. E un’azienda italiana deve avere il coraggio di pensarsi internazionale, senza sentirsi provinciale».
A questo proposito dice: «Oggi l’Europa, sull’intelligenza artificiale, rischia di vivere il paradosso di Achille e la tartaruga: mentre rincorriamo, gli altri avanzano. Ma io credo che si possa ancora costruire un modello diverso, più umano e più giusto. E che non sia troppo tardi».
Omar è innamorato dell’Italia. Si definisce patriottico. «Ho avuto la fortuna di nascere e crescere nel Paese migliore in cui potessi farlo. Oggi viviamo in un’isola estremamente felice. Ma dobbiamo impegnarci per conservarla. I millennials sono una generazione che diventa sempre più povera e campa con quello che hanno conservato i genitori. Ma la Gen Z e le prossime generazioni, questo surplus non ce l’hanno e questo benessere non ci sarà più se non contribuiamo a crearlo».
Definisce il suo impegno così: «All’età di 22 anni ci siamo messi sotto in modo pesantissimo. La formazione per noi era diventata una cosa essenziale. Avevamo una fame di studio estrema, per poter scalare il più velocemente possibile. All’inizio ci affascinava l’idea di essere pagati per trovare le falle nei sistemi. Una volta abbiamo trovato una falla che permetteva di modificare i messaggi su Telegram. Poi abbiamo capito che in Italia c’era uno spazio enorme e abbiamo lavorato veloci».

Torna il tema dello studio. «Facciamo da un lato tantissima divulgazione e dall’altro tantissima ricerca tecnica, a un livello molto avanzato. Abbiamo anche un podcast per divulgare la sicurezza informatica ai non addetti ai lavori, semplificando concetti complessi. E una volta all’anno organizziamo il Symposium, un momento in cui ragioniamo non più solo dal punto di vista tecnico, ma sociale e politico. Invitiamo esperti, filosofi, e discutiamo dell’impatto della tecnologia sulla società. Crediamo molto nella contaminazione delle competenze».
Intanto l’azienda cresce. Serve oltre 250 imprese. «Siamo usciti dal ginnasio e siamo nella fase adulta» dice scherzando. E punta a espandersi all’estero. «Io voglio continuare a crescere come imprenditore e voglio continuare a studiare. Lo studio è ciò che permette una qualità della vita migliore. Senza lo studio non c’è niente. Da ragazzino ho avuto un po’ di problemi, sono stato anche in casa famiglia. Mi sono trovato in mezzo a ragazzi con passati molto più complessi del mio, ed ero a un bivio: potevo seguirli e vivere di espedienti, oppure continuare a studiare. Ho scelto questa strada grazie a mio padre. E ora continuo a farlo, di sera, nei weekend. Spingo il mio gruppo a studiare, mando loro continuamente i link di cose da leggere, da approfondire. Ci vuole una curiosità folle».
Oggi Omar collabora anche con Next Level, un ente del terzo settore che porta le materie STEM nei quartieri più difficili. «Aiutiamo i giovani a trovare il loro posto nel mondo, anche se il loro mondo è complicato».

