«Senza pc oggi non si gioca a scacchi. La tradizione preferisce l’incontro di persona, ma è costoso. Nell’ultima edizione abbiamo predisposto una sala analisi post partita con un software di AI, tutto in locale». In altre parole, l’occasione valeva il biglietto, con universitari che sono arrivati in Emilia da tutto il mondo. Dalla Gran Bretagna, dal Giappone e dall’Uzbekistan per citare alcuni Paesi. All’Alma Mater University Chess Tournament di Bologna, come ci ha raccontato Paolo Ciancarini, professore al Dipartimento di Informatica dell’Ateneo, è andata in scena una competizione scacchistica che ha riunito 80 persone suddivise in 18 squadre.

Gli scacchi, banco di prova per l’AI
Chi ha vinto? I padroni di casa, l’Università di Bologna, dopo che lo scorso anno si erano aggiudicati il torneo gli studenti del Politecnico di Eindhoven. Alcuni giocatori erano semi-professionisti e i team più forti avevano due maestri di scacchi. Ogni squadra poteva essere potenziata al massimo da un professore.

In questa competizione storia e tecnologia si intrecciano. «Esiste una grande tradizione di gare scacchistiche tra Oxford e Cambridge. Ma qualcosa di questo tipo non esisteva prima in Europa – ci ha spiegato Ciancarini – e la cosa da evidenziare è che sono venute tutte le grandi università come Sorbona, Yale, Trinity College». In un ambiente che più universitario non si può, con luci soffuse e un clima che stimola la concentrazione, i giocatori hanno disputato le proprie partite a scacchi consapevoli che il post–partita è fondamentale per capire come migliorarsi.

L’AI per capire la mossa migliore
A questo è servita la AI Analysis Room, soluzione sviluppata dallo studente di informatica Alessandro Libralesso. Battezzata ShashGuru, combina le competenze scacchistiche a livello di gran maestro del motore ShashChess, derivato da Stockfish, con la potenza di inferenza del large language model Llama-3.1-8B di Meta. A livello di processori si appoggia a processori Intel Core serie Ultra 200V. Tutto, come anticipato, localmente, senza connessioni a internet. «Questo perché nessun giocatore vorrebbe sbandierate online le proprie analisi».

L’AI e gli scacchi hanno un legame profondo, che ben descrive anche il rapporto tra uomo e macchina. «Gli scacchi sono un gioco di pensiero e anche di guerra – ha spiegato il professore – Turing e Shannon, quando ancora non esisteva il termine intelligenza artificiale, hanno entrambi usato gli scacchi in articoli famosissimi». Il primo, padre dell’informatica scientifica, e il secondo, padre dell’informatica ingegneristica, hanno capito che quella disciplina aveva del potenziale.

AI: imbattibile da tempo sulla scacchiera
«Turing ha scritto un programma per giocare a scacchi, era interessato agli scacchi come manifestazione del pensiero. E infatti il test di Turing prevede una conoscenza scacchistica per capire se si ha a che fare con una macchina oppure no». Per chi non lo sapesse, la macchina ha già battuto l’uomo a scacchi e ancora oggi quel terreno di scontro è utile per testare l’AI. Se vi state chiedendo in quale ambito l’Intelligenza artificiale ha già surclassato noi umani, quello è rappresentato proprio dagli scacchi.

«Oggi esistono programmi addestrati a giocare in maniera aggressiva. In alcuni incontri la macchina ha l’handicap e pur giocando senza torre o senza la donna vince lo stesso. Dal punto di vista della gara non c’è competizione, ma dal punto di vista informatico è un terreno fertile di idee». Come per Shashguru che, stando alle parole del prof, «combina le capacità conversazionali dei modelli linguistici con la precisa analisi strategica e la velocità di calcolo su architettura Intel».

«La cosa importante da dire è che gli scacchi restano un gioco umano. La nostra è una sinergia tra motori scacchistici e LLM», ha puntualizzato Alessandro Palla, Senior Staff Deep Learning Engineer di Intel che ha partecipato al progetto mettendo appunto a disposizione la propria tecnologia. Con l’aumento di utilizzo di soluzioni di AI in molti percepiscono il rischio sostituzione uomo-macchina, ma il professore Ciancarini ha proposto un altro punto di vista.
«Chi insegna di mestiere come me ha di fronte a sè questa situazione: i compiti a casa non hanno senso, dobbiamo proporre gli esami in maniera diversa. Nell’education molti sono in difficoltà». Ma a rischiare di più è chi si fa cullare dall’illusione di un superpotere in mano. «Questa è una tecnologia che separerà la società tra chi la capisce e ci si misura e una grande massa di persone che troverà l’AI come una pantofola comoda. Ma alla fine ne svilirà le competenze».

