«L’idea di dare vita al Center for Cultural Heritage Technology è nata alcuni anni fa, nel 2018, e prima di approdare alla nuova sede recentemente lanciata ha vissuto una fase di avvio all’interno degli spazi dell’Università Cà Foscari. Ora, dopo anni di esperienza, portiamo a Treviso il nostro know-how negli spazi di H-Farm», racconta la direttrice del Centro, Arianna Traviglia. Il Center for Cultural Heritage Technology, uno dei centri del network nazionale dell’Istituto Italiano di Tecnologia si occupa dello sviluppo di soluzioni tecnologiche per la tutela del patrimonio culturale nei settori della scienza dei materiali, dell’Intelligenza artificiale e della robotica. Grazie alla tecnologia riesce a scovare reperti rimasti sinora nascosti, tesori inesplorati e molto di più in una sinergia tra l’Istituto Italiano di Tecnologia con l’hub internazionale di innovazione e formazione di H-FARM. «Così favoriamo nuove collaborazioni con istituzioni, enti e imprese e rafforziamo l’impegno congiunto nella tutela del patrimonio culturale», spiega la direttrice che ci accompagna negli spazi del centro in questa nuova puntata di Viaggio in Italia.

Da Venezia a Treviso
«Con l’IIT vogliamo trasportare le competenze nell’ambito delle nanotecnologie, dell’informatica, della robotica e delle Life Sciences all’interno dei beni culturali e spingere sulle nuove tecnologie nell’ambito della ricerca per il patrimonio. In questo modo crediamo che le innovazioni escano fuori dai laboratori e diventino utili per le aziende e non solo», spiega la direttrice raccontando il passato “veneziano” del Centro: «Come anticipavo, l’idea di dare vita al Center for Cultural Heritage Technology è nata alcuni anni fa, nel 2018, e prima di approdare alla nuova sede recentemente lanciata ha vissuto una fase di avvio all’interno degli spazi dell’Università Cà Foscari. Avendo cominciato la nostra attività di ricerca a Venezia, lavoriamo già con enti che gestiscono il patrimonio culturale soprattutto, appunto, a Venezia. Con il nostro arrivo a Treviso cerchiamo sempre più collaborazioni con coloro che gestiscono il patrimonio culturale di questa zona ma continuiamo anche ad espandere il nostro contatto diretto con altri soggetti».

In particolare, per la direttrice: «Essere nel cuore dell’ecosistema dell’innovazione del Veneto ci permetterà di avvicinarci ulteriormente al mondo delle imprese, facilitando il trasferimento tecnologico dei risultati della nostra ricerca e creando nuove sinergie per la valorizzazione dei beni culturali attraverso l’innovazione».
Nella nuova sede che si estende per circa 600 metri quadri all’interno dell’edificio denominato “the Donut” nel campus di H-FARM, gli spazi sono suddivisi tra laboratori di chimica, microscopia e robotica, finalizzati alla ricerca scientifica e tecnologica; uffici, spazi riunione e collaborativi.

Che cosa si studia al CCHT
L’attività di ricerca del CCHT risponde a bisogni legati alla conoscenza, protezione e conservazione del patrimonio culturale e artistico, nazionale ed internazionale, valorizzando le competenze tecnologiche di IIT nei settori della scienza dei materiali, intelligenza artificiale e robotica. In particolare, il CCHT mira a implementare le tecnologie esistenti più avanzate e a sviluppare strumenti innovativi ed efficaci. «Tra gli obiettivi c’è quello di spingere sulle nanotecnologie per la protezione del patrimonio culturale ma lavoriamo anche sull’AI e sviluppiamo vari tipi di algoritmi per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale – spiega la direttrice – Per esempio, lo facciamo con lo sviluppo di algoritmi per la scoperta di siti archeologici e scavi clandestini nelle immagini satellitari, anche in collaborazione con le forze dell’ordine, per il contrasto al furto dei beni culturali. Inoltre, utilizziamo programmi per la trascrizione automatica dei documenti d’archivio e per l’uso della robotica nella gestione dei depositi dei musei, che include anche la digitalizzazione automatica degli oggetti e stiamo seguendo anche un altro progetto di robotica per il sito archeologico di Pompei. Qui un robot si muove in autonomia per identificare nuove crepe ed ammaloramenti che possono intervenire sulle strutture murarie antiche».

E i progetti del CCHT non si estendono solo in Italia ma in tutta Europa e oltre. «Di concerto con altre realtà di ricerca e aziende lavoriamo per attrarre finanziamenti europei – spiega la direttrice – E nel frattempo collaboriamo già con startup nazionali come Re:lab, di Reggio Emilia, che si occupa di interfacce». Ma non solo. «Assieme a una rete di istituzioni e centri di ricerca europei siamo titolari della Missione Archeologica ufficiale in Tunisia, riconosciuta dal Ministero degli Esteri, all’interno di un accordo di collaborazione diretta con l’Istituto del patrimonio tunisino con cui svolgiamo attività sul campo. Lavoriamo anche in altre aree archeologiche italiane, per lo studio del territorio antico e la sua comprensione con l’uso dell’AI e delle immagini satellitari. Favoriamo così l’identificazione automatica di siti archeologici e, dopo averli identificati, facciamo il riscontro a terra».

Una fucina di progetti all’attivo non solo nello sviluppo di strumentazione per la diagnostica -per identificare crepe non visibili su strutture antiche – ma anche nella messa a punto di materiali di restauro più performanti rispetto a quelli di adesso. «Un grosso problema nel mondo del restauro è che i prodotti usati per il restauro non sono spesso nato con quello scopo, ma per altri usi, e sono poi stati riutilizzati nel contesto culturale. Noi, invece, vogliamo creare prodotti specifici per il restauro», precisa Arianna Traviglia.
Il contatto tra ricercatori, aziende e startup
«Nel mio team, composto da circa 35 persone, lavorano ricercatori e ricercatrici esperti ma anche più giovani, come i dottorandi che vengono dall’università e alcuni stagisti. Cerchiamo il contatto con le startup per il trasferimento tecnologico, con l’idea di far diventare la nostra ricerca utile alla società. Per noi, in H-farm, il contatto con le aziende è fondamentale sia nello sviluppo di progetti – anche finanziati con fondi europei – che per far poi utilizzare i nostri prodotti di ricerca nelle aziende, non solo venete. Qui ci troviamo in un posto perfetto per creare relazioni», continua la direttrice.
In questo contesto, gli esperti di conservazione e scienza dei materiali si dedicano all’analisi approfondita dei materiali che compongono i beni culturali come ad esempio vetro, metalli, marmi, dipinti e tessuti, con l’intento di sviluppare rivestimenti protettivi su misura, in grado di garantire la conservazione e la protezione delle opere e dei manufatti nel tempo.

Parallelamente, i ricercatori e le ricercatrici del CCHT, attraverso l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale sono attivi nell’elaborazione di metodi innovativi per automatizzare la trascrizione di testi storici, come i manoscritti dell’Archivio del Museo Correr di Venezia e sono coinvolti in progetti per decifrare segni epigrafici incisi sulle tavolette cuneiformi. Il centro applica tecniche di AI anche all’analisi di immagini satellitari, con l’obiettivo di individuare dall’alto nuovi siti archeologici ancora sepolti sotto terra.
Inoltre, il CCHT è impegnato anche nel campo dell’Art-Crime, attraverso lo sviluppo di due progetti principali. Il primo riguarda la raccolta e l’elaborazione di OSINT (Open Source Intelligence) da fonti online, con l’obiettivo di creare sistemi avanzati per aggregare e organizzare queste informazioni, rendendole accessibili e utilizzabili dalle forze dell’ordine come potenziali evidenze investigative. Il secondo progetto è focalizzato sulla protezione del patrimonio culturale attraverso l’analisi di dati satellitari, utilizzati per individuare scavi archeologici illegali. Questa metodologia è già stata sperimentata con successo in contesti critici come Siria, Egitto e anche in alcune aree del territorio italiano.

Il CCHT infine, contribuisce ad avanzare la frontiera delle applicazioni robotiche nel settore del patrimonio culturale, sviluppando sinergie con altre unità di ricerca di IIT. Tra i progetti più innovativi vi è lo sviluppo di un sistema di digitalizzazione 3D automatizzata del patrimonio culturale mediante robotica e di un prototipo di deposito museale robotizzato, portato avanti all’interno del progetto Casa delle Tecnologie Emergenti di Genova – Opificio digitale per la Cultura, il primo esempio al mondo in questo ambito. Inoltre, il centro collabora alla progettazione di robot per il monitoraggio autonomo di aree archeologiche, con l’obiettivo di supportare la tutela e la sorveglianza del patrimonio in contesti complessi o difficilmente accessibili.
«Per sua natura, l’Istituto Italiano di Tecnologia è votata al trasferimento tecnologico e noi puntiamo a creare startup che portino fuori dal laboratorio i nostri brevetti. Lavoriamo molto su quest’ambito e siamo nati con questa mission, in un contesto dove invece ancora il mondo della ricerca fatica», conclude la direttrice.

