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Da tempo se ne parla e pare siamo in dirittura d’arrivo. L’euro digitale sta per entrare nelle nostre tasche. I rumor parlano di fine giugno per la prima fase di sperimentazione.  Prima di andare avanti, facciamo chiarezza su tre punti: 1) non è una criptovaluta; 2) verrà emesso dalla BCE; 3) sono la versione digitale della moneta fiat.

Per comprendere meglio cos’è l’euro digitale e come noi europei potremmo utilizzarlo e perché rappresenta una rivoluzione nelle nostra relazione con la finanza, abbiamo raggiunto Matteo Rizzi, fintech investor e autore di “Talenti & Ribelli” (Hoepli 2019): «Non si tratta di una criptovaluta, ma di una vera e propria piattaforma decentralizzata dove Stablecoin backed currencies, come l’euro digitale appunto, potranno servire per prestiti da persona a persona senza limitazioni geografiche», spiega Rizzi.

Matteo Rizzi euro digitale

Partiamo da DEFI e dalle stablecoin

Per comprendere bene cos’è l’euro digitale bisogna partire da un acronimo, ovvero DeFi, che sta per finanza decentralizzata che secondo gli esperti avrà un potenziale incredibile per innovare l’infrastruttura dei servizi finanziari. Per spiegarci i vantaggi della finanza decentralizzata, Rizzi parte da un esempio, tratto dalla sua esperienza:

«Qualche tempo fa ho avuto l’idea di differenziare ulteriormente i miei investimenti. In qualità di “fintech guy” ho cercato delle opportunità inizialmente su piattaforme di lending. Avrei voluto, per esempio, investire nell’italiana Borsa del Credito, ma non potevo farlo perché non risiedo in Italia. Per lo stesso motivo non ho potuto investire in Kiva.org (altra piattaforma lending di San Francisco, ndr)».

I suoi problemi e quelli di altre persone intenzionati a diversificare gli investimenti come lui, sarebbero risolti proprio da piattaforme di finanza decentralizzata:

«Immagina una piattaforma che permette a chiunque e ad ogni azienda di prestare o chiedere in prestito soldi, usando una criptovaluta che, a differenza dei bitcoin, ha il valore di una moneta legale».

Questa tipologia di valuta digitale si chiama stablecoin ed è proprio questo che sarà l’euro digitale. Come le criptovalute, le stablecoin sono decentrate. Tuttavia, a differenza di bitcoin o affini, ancorano il loro valore a un asset solido, come l’euro nel caso specifico, evitando di essere soggette alle oscillazioni e alla volatilità delle altre crypto. 

Come potremo usare l’euro digitale?

La più grande novità dell’euro digitale è che potremo depositare denaro direttamente presso la BCE, al di fuori delle banche commerciali. L’obiettivo non è quello di sostituire i contanti, ma di integrarli.  Con ogni probabilità, per usare la moneta digitale sarà necessario aprire un portafoglio online, un po’ come avviene, con le crypto oggi, attraverso una apposita applicazione. 

Ma che usi potremmo farne? Uno dei primi usi che potremmo farne è proprio quello contenuto nell’esempio precedente di Rizzi:

«Gli Italiani conoscono da pochi anni forme alternative di investimento tipo Borsa del Credito, Walliance, o Credimi, ad esempio. Immaginate lo stesso tipo di piattaforma ma accessibile anche da investitori stranieri ed in qualunque valuta (e viceversa, per investitori italiani che potranno accedere a qualunque mercato). Questo è un esempio concreto».

Tuttavia, si aprono altri scenari molto interessanti, anche per le startup vincitrici di bandi europei che si vedranno accreditare i fondi direttamente, evitando tutta la trafile burocratica per ottenerli.

Più in generale, l’euro digitale promette due benefici, snellire le procedure di erogazione di fondi/bonus e promuovere ancora di più in Europa la digitalizzazione dei pagamenti.

Tra i rischi, la mancanza di educazione finanziaria

Gli scenari sono tanti e anche i nodi da sciogliere, come i vincoli dell’uso dell’euro digitale, ovvero per quali attività sarà possibile usarlo, e i limiti di spesa, che è prevedibile ci saranno. 

«È il futuro non ho dubbi. Tuttavia ci sono pericoli, ovvero, I rischi sono quelli di tutte le innovazioni. Il destino dell’euro digitale dipenderà dalla velocità di adozione della piattaforma e (forse il rischio maggiore) dalla necessità di un’educazione finanziaria delle persone, che oggi manca», conclude Rizzi.