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L’ascesa delle criptovalute è irrefrenabile e, al netto di paesi che studiano leggi per metterle fuorigioco, sono sempre di più settori, aziende e personaggi che sposano le monete virtuali. L’ultimo passo, per certi versi storico, è la possibilità per gli atleti sportivi di farsi pagare in bitcoin parte o l’intero salario annuale. La novità arriva dalla NBA, con la franchigia più all’avanguardia in assoluto, i Sacramento Kings, pronti a offrire tale opportunità a tutti i dipendenti e i giocatori della società. Ma se i bitcoin sono ormai dappertutto, ci sono altre valute digitali in rampa di lancio nella diffusione degli ambiti d’uso, a partire dai dogecoin.

bitcoin Miner

 

Sacramento Kings, una franchigia all’avanguardia sul mondo cripto

La fiducia della più popolare lega sportiva americana nel mondo cripto affonda le radici nel 2014, quando la stessa franchigia della capitale californiana fu la prima ad accettare i bitcoin per l’acquisto di biglietti e merchandising (inclusi gli hot dog all’interna dell’arena di gioco), grazie alla collaborazione con BitPay, il principale fornitore di servizi di pagamento in bitcoin. E sempre i Kings nel 2018 idearono un programma benefico per minare Ethereum, poi donati per supportare iniziative di educazione tecnologica, mentre ancora loro l’anno scorso hanno lanciato un’applicazione basata sulla blockchain per accedere alle aste che mettevano in palio oggetti di culto sportivi. Adesso arriva lo step ulteriore, con il proprietario Vivek Ranadivé che ha anticipato l’atto formale durante una chiacchierata su Clubhouse: “Lo annuncerò ufficialmente nei prossimi giorni e ogni appartenente alla nostra organizzazione avrà la possibilità di ricevere lo stipendio in bitcoin”.

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Vivek Ranadivé, proprietario dei Sacramento Kings (foto dall’account Twitter @vivek)

 

Un modo per aumentare i ricavi (se va bene)

In attesa dei dettagli, al momento è incerto come saranno pagati i salari, anche se è probabile che chi imboccherà il nuovo corso potrà scegliere la percentuale corrisposta in moneta virtuale. Dubbi da sciogliere ci sono anche su come sarà elargita quest’ultima parte salariale, cioè se in dollari e solo dopo convertita in bitcoin, oppure direttamente in criptovaluta dopo che la stessa franchigia abbia acquistato bitcoin sul mercato. Una mossa, questa, che porterebbe allo stipendio variabile, con la crescita o riduzione dello stesso legato all’andamento dei bitcoin. Scenario che ha vissuto in prima persona durante l’ultima stagione Russell Okung, stella dei Carolina Panthers in NFL e grande sostenitore delle criptomonete (“life, liberty #bitcoin” recita la bio del suo account Twitter), che tramite la startup Strike ha convertito proprio in bitcoin metà dello stipendio annuale (13 milioni di dollari), incrementando così la cifra fino a oltre 20 milioni di dollari in virtù dell’impennata del valore della più nota valuta digitale.

bitcoin

 

La differenza tra bitcoin e dogecoin

Restando alla NBA, c’è un’altra moneta virtuale che sta conquistando spazio ed è dogecoin, che si differenzia per alcuni aspetti dai bitcoin. Entrambe sono generate via estrazione e si scambiano senza necessità di un’autorità centrale, ma al contrario dei bitcoin che sono in numero finito, i dogecoin sono illimitati. Ideato a fine 2013 dai programmatori informatici Billy Markus e Jackson Palmer (all’epoca uno impiegato in IBM e l’altro in Adobe), il sistema Dogecoin è frutto di un gioco e ha come riferimento un meme in cui campeggia un cane shiba inu, una razza giapponese (e del resto doge nello slang americano è una storpiatura di dog). Usata per vari anni come ricompensa per favori e per promuovere iniziative (incluse la raccolta fondi per supportare un pilota della Nascar e un’altra per sostenere la squadra giamaicana di bob alle Olimpiadi invernali di Sochi, in Russia), tra la fine del 2020 e l’inizio dell’anno in corso è scattata l’impennata grazie anche ai tweet entusiasti di Elon Musk che, oltre ad accettare bitcoin per l’acquisto di una Tesla, con il consueto atteggiamento che miscela marketing e divertimento ne ha favorito la conoscenza su larga scala.

elon musk

Mosse di marketing e non solo

Tra i sostenitori dei dogecoin c’è anche Mark Cuban, che nel 1998 ha scommesso su Audionet, trasformata in Broadcast.com e venduta l’anno successiva a Yahoo! per 5,7 miliardi di dollari. Proprietario dal 2000 dei Dallas Mavericks (in cui milita il cestista italiano Nicolò Melli), già nel 2019 Cuban ha consentito ai fan di fare acquisti sul sito della squadra via bitcoin, aggiungendo ora i dogecoin e annunciando nei giorni scorsi che in meno di due anni sono state oltre 20.000 le transazioni effettuate con la moneta digitale, il cui valore si aggira (al momento in cui si scrive) sui 47.503 euro, mentre i dogecoin viaggiano attorno ai 5 centesimi di euro.

Interpellato sul perché della scelta, Cuban non ha trovato motivi validi, spiegando che “a volte nel mondo degli affari bisogna fare scelte in grado di generare un risalto mediatico”, quasi a sottolineare l’intento viziato dal marketing e dalla possibilità personale di puntare su un elemento caratterizzato dall’alta volatilità che negli ultimi anni, specie negli Stati Uniti, è diventato una mania per alcuni e una moda per altri. Bollare il fenomeno solo in questo modo, però, sarebbe un errore e a dimostrarlo sono i fatti, come il contratto di 19 anni da 135 milioni di dollari firmato dai Miami Heat con FTX, piattaforma per lo scambio di criptovalute che sostituirà American Airlines come sponsor e nome dell’arena di gioco della franchigia della Florida.