In realtà non esiste alcuna solida prova che tutto questo avvenga, niente di troppo convincente che ci dimostri che tutto questo agitarsi non sia altro che spam, milioni di messaggi insistiti sparsi a caso, spesso elementari da un punto di vista del contenuto, destinati nel tempo – più che a disegnare con esattezza il nostro profilo psicometrico (credendo magari a gente che, per esempio, raccontava che disponendo di una manciata di link di chiunque si poteva sapere di quella persona più cose di quante non ne sapesse sua madre) – a finire più verosimilmente nel cestino della carta straccia.
E dopo che ogni giorno per anni un sovranista russo con un nick da stilista o un hacker cinese, un social media manager antieuro o uno spin doctor bestiale avrà provato a convincerci ad aderire alle sue idee, con la medesima solerzia ed efficacia con cui il principe africano prova da anni a convincerci ad accettare qualche milione di dollari sul nostro conto, allora forse ci renderemo conto che il mistero non era poi così misterioso: che i primi e forse gli unici ad avere interesse che tutta questa spazzatura disinformativa non circoli troppo sono proprio le grandi piattaforme, in ossequio al vecchio detto “Garbage in, garbage out”.
Che alla fine si sa, quando la spazzatura diventa troppa poi finisce che la gente si stufa e va da un’altra parte.