A 17 anni stupì il mondo con un progetto innovativo. Dopo tre anni di studi e 2 milioni di dollari dal crowdfunding, Boyan Slat è pronto: dal 2016 la sua The Ocean Cleanup inizierà a pulire gli oceani dalla plastica.
Boyan Slat aveva 17 anni quando presentò, per la prima volta, la sua invenzione al mondo. Una macchina “gigante” in grado di pulire gli oceani dalla plastica. Una soluzione per salvare il pianeta, abbattendo costi e salvaguardando la natura. E il mondo lo aveva ascoltato donandogli più di due milioni di dollari in una campagna crowdfunding di grande successo. Un budget che ha permesso a Boyan di sviluppare ancor di più il progetto e di allestire un team di esperti, molti dei quali giovani come lui, per metterlo in pratica. Oggi ha 20 anni e ha fondato un’azienda per fare tutto ciò: The Ocean Cleanup.
Chi è Boyan Slat
Basterebbe ascoltare con attenzione questo discorso accorato di Boyan (classe 1994), a una conferenza Tedx nel 2012, per capire molto della sua personalità e della sua forza d’animo. Ma anche delle sue competenze ingegneristiche e digitali, della sua confidenza con le nuove tecnologie e con il mondo contemporaneo che lo circonda. Eppure quello che colpisce più di ogni altra cosa è la fiducia. Nei propri mezzi, certo; ma anche nell’umanità intera. Con una filosofia ben precisa. Ad ogni sbaglio si può rimediare. L’importante è farlo in tempo. Anche per questo, nel 2014, ha ricevuto il riconoscimento di “United Nations Champions of the Earth”.
Dopo alcune immersioni in Grecia, nel 2011, la vita del giovane olandese è cambiata per sempre. Travolto dalla frustrazione per lo stato di salute del mare («Vedevo più plastica che pesci») decise di fare qualcosa di concreto per invertire un destino che sembrava ineluttabile. Così, dopo aver lasciato gli studi in ingegneria aerospaziale, ha dato vita a The Ocean Cleanup, nel 2013.
Le radici di un problema
Ogni anno entrano nei nostri oceani 8 milioni di tonnellate di plastica che vengono convogliate, a causa di vortici e correnti, in cinque zone principali. Attualmente si stima che ci siano, in giro per le acque della Terra, oltre 5,25 trilioni di pezzi di plastica (in America un trilione è uguale ai nostri 1000 miliardi, fate voi i conti). Una cifra spaventosa. Un terzo è concentrato in quella che viene chiamata “grande chiazza di immondizia del Pacifico” (Great Pacific Garbage Patch).
Negli ultimi 15 anni si è calcolato che, a causa di questo tipo d’inquinamento, siano morti più di un milione di uccelli marini e centinaia di migliaia di mammiferi. La sopravvivenza di numerose specie è a rischio. Compresi animali simbolo come le foche monache hawaiane o le tartarughe marine.
Senza contare i danni economici, ogni anno le aziende che operano nei settori della pesca, della navigazione e del turismo perdono 13 miliardi di dollari per colpa dell’inquinamento, e quelli per la salute: si tratta, infatti,di materiali cancerogeni che vengono ingeriti dai pesci e che poi l’uomo, a sua volta, introduce nell’organismo. Una piaga che, oltre a causare malformazioni varie, aiuta la diffusione di forme devastanti di cancro.
La tecnologia sviluppata da Boyan Slat
Quando l’invenzione venne presentata nel 2012, Boyan affermò che poteva essere fino a 33 volte meno costosa rispetto ai metodi convenzionali di pulizia. Metodi ormai obsoleti e poco efficaci. La sua innovazione fu testata nelle Azzorre e supportata da studi di fattibilità a cui lavorarono una squadra di esperti internazionali in ingegneria, oceanografia, ecologia, diritto marittimo, finanza e riciclo dei rifiuti.
Dopo tre anni il sistema si è evoluto. È stato battezzato come “Ocean Cleanup Array” ed è costituito da un sistema di barriere galleggianti ancorate ai fondali. Sfruttando le correnti marine, queste strutture sono in grado di filtrare i rifiuti per poi raccoglierli in una piattaforma. Un grande contenitore che sarà in grado di stivare una quantità di plastica mai catturata prima. Si parla addirittura della metà del Great Pacific Garbage Patch.
Le barriere occuperanno circa un chilometro e mezzo, senza danneggiare la fauna e la flora degli oceani. Le prime saranno inaugurate nel 2016, nelle acque del Giappone. Ma l’obiettivo finale, ambizioso e per questo ancora più suggestivo, è quello di coprire un’area di oltre cento chilometri entro il 2021. In questo modo si potrebbe pulire la maggior parte dell’Oceano Pacifico.
Il piano futuro di Boyan: trasformare i rifiuti in energia
Ma non è certamente finita qui. Sono entrati a far parte della squadra di Boyan anche alcuni scienziati con un compito preciso: studiare un modo per riciclare il materiale che le barriere andrebbero a raccogliere. Una quantità che, se fosse trasformata in energia, potrebbe portare altri benefici per l’umanità intera «Forse ci vorranno dieci anni per trovare un modo funzionante» dice Boyan «Ma è un’altra sfida che vogliamo vincere». Scommettiamo che ci riuscirà?