Continua la vicenda su fake news, vaccini e free speech
Da settimane nel mondo tech (e non solo) si continua a parlare di Spotify, la piattaforma di musica e podcast in streaming lanciata come startup a Stoccolma quasi 20 anni fa. Tutto ruota attorno a Joe Rogan, il podcaster più famoso e ascoltato e voce del The Joe Rogan Experience. Dopo che un gruppo di scienziati ha chiesto all’azienda svedese di prendere provvedimenti contro determinati episodi in merito a vaccini e coronavirus e dopo che il cantante Neil Young ha deciso di togliersi dalla piattaforma in segno di protesta contro Spotify, la società vive una crisi reputazionale. La situazione non è molto diversa da quanto già visto con altre Big Tech come Facebook e Twitter, dove se alcuni chiedevano la cancellazione di contenuti ritenuti falsi, altri parlavano di censura. Lo stesso sta accadendo in questi giorni: pare che da Spotify siano spariti 70 episodi del The Joe Rogan Experience a seguito di un nuovo colpo inflitto allo show man: nello scorso week end la cantante India Arie ha pubblicato una serie di stories con una sequenza montata di video in cui Joe Rogan utilizza più volte la parola che inizia con la n. Oltre alle accuse di disinformazione c’è dunque ora un’accusa di razzismo.
La linea di Spotify
Joe Rogan ha risposto con un video pubblicato su Instagram, in cui ha parlato di decontestualizzazione per quanto riguarda quel termine utilizzato in tanti anni di conversazioni nel suo show. Sappiamo da Axios che Spotify si è confrontata con Rogan e lo stesso amministratore delegato della società, Daniel Ek, ha spiegato la sua posizione. «Non credo che mettere a tacere Joe sia la risposta. Dovremmo avere linee chiare intorno al contenuto e prendere provvedimenti quando vengono superate, ma silenziare le voci rappresenta una strada scivolosa». Nel frattempo è online un sito che monitora tutti quegli episodi di Joe Rogan non più disponibili su Spotify.
Le origini contro la pirateria
Finora non si era parlato molto di Spotify per quanto riguarda la disinformazione e la moderazione dei contenuti. Anche l’attenzione da parte della politica si è spesso concentrata su Big Tech come Facebook e Twitter. Daniel Ek e Martin Lorentzon sono i fondatori di una piattaforma che ha stravolto le modalità di fruizione dei contenuti audio a livello globale: nel 2006 è iniziato lo sviluppo della piattaforma, lanciata in risposta alla pirateria che colpiva l’industria musicale. «L’unico modo per risolvere il problema era creare un servizio che fosse migliore della pirateria e allo stesso tempo compensasse l’industria musicale», ha detto Ek pochi anni dopo il via a Spotify.
Spotify sostiene abbastanza gli artisti?
Quanto accaduto in questi giorni con Joe Rogan non rappresenta certo il primo incidente per Spotify. Proprio sull’equo compenso è ancora aperto un dibattito tra l’app e gli artisti. La società è sì apprezzata in tutto il mondo per i contenuti che rende disponibili. D’altra parte non sono pochi i cantanti e gruppi che, ben prima del caso Rogan, hanno chiesto una suddivisione più equa dei profitti derivati dalla diffusione delle canzoni. Nel 2014, prima che la piattaforma diventasse così famosa (è arrivata in Italia nel 2013), la star Taylor Swift si era esposta con parole nette: «La musica sta cambiando così velocemente […] che tutto ciò che è nuovo, come Spotify, mi sembra un po’ un grande esperimento. E non sono disposta a contribuire con il lavoro della mia vita a un esperimento che non mi sembra compensare equamente gli scrittori, i produttori, gli artisti e i creatori». Al momento le canzoni di Taylor Swift sono disponibili su Spotify.
Ad oggi si sprecano le previsioni sull’entità del cosiddetto movimento Delete Spotify. Alcuni addirittura suggeriscono che quasi il 20% degli utenti della piattaforma starebbe pensando di abbandonarla (o lo ha in parte già fatto) a seguito di quanto successo. I precedenti – il più noto, quello di Trump bannato da Twitter a cui non è seguito una fuga di utenti – sembrano allontanare un rischio simile per Spotify.
Il free speech
Negli USA l’emittente Fox News ha ospitato il giurista Jonathan Turley il quale ha detto: «La sinistra ha trovato una strategia vincente. Erano i bersagli della censura durante il periodo McCarthy (il cosiddetto maccartismo e la caccia alle streghe durante gli anni Cinquanta che prendeva di mira chiunque fosse sospettato di essere vicino all’Unione Sovietica, ndr). Ma hanno scoperto che se usano le corporation per controllare il discorso pubblico, questo non rientra nel Primo Emendamento». In questa vicenda Spotify è stata costretta ad uscire allo scoperto dal momento che, nel 2020, è stata la società stessa ad essersi aggiudicata in esclusiva per 100 milioni di dollari il programma di Joe Rogan. Come prossima mossa punta a investire una cifra analoga per diffondere contenuti audio di artisti e gruppi appartenenti a gruppi emarginati.