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Un podio tutto da raccontare. La premiazione finale al termine del bootcamp di “Seeds for sustainable energy”, svolto a Nairobi dal 2 al 5 maggio, è stata la tappa conclusiva di un percorso ben più lungo, iniziato mesi fa. L’iniziativa, lanciata da Joule, la scuola di Eni per l’impresa, insieme all’associazione no-profit bolognese BeEntrepreneurs, ha chiuso le iscrizioni il 28 febbraio. A quel punto è iniziato il processo di selezione delle dieci migliori startup early-stage dell’Africa orientale tra più di 200 candidate.

Di queste imprese, tre si sono aggiudicate la vittoria finale al programma di formazione organizzato nella sede di E4Impact Entrepreneurship Center a Nairobi. I premi consistono in servizi per il valore di 10mila euro per ogni startup, dedicati allo sviluppo e alla crescita dei progetti imprenditoriali. All’appuntamento hanno preso parte anche tre startup internazionali, scelte tra oltre 300 analizzate, che insieme ai rappresentanti di Eni in Kenya e alle istituzioni italiane nel Paese hanno esaminato la portata innovativa delle soluzioni proposte dalle aziende locali.

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L’importanza dell’agricoltura in Kenya e il perché dell’iniziativa di Joule

L’iniziativa “Seeds for sustainable energy” ha seguito alcune linee guida specifiche, incentrate sull’analisi di mercato delle novità in ambito agricolo, la ricerca di soluzioni tecnologiche in grado di apportare un contributo significativo al settore, promuovendo la sostenibilità in tutta la filiera, e il potenziamento dell’ecosistema dell’innovazione locale, con il coinvolgimento degli stakeholder del luogo.

Il motivo di una simile attenzione al comparto è spiegato dai numeri riguardanti l’economia del Kenya. Secondo l’ultimo report dell’agenzia governativa nazionale Kenya National Bureau of Statistics, il Paese ottiene il 21,2% del suo prodotto interno lordo proprio dall’agricoltura. Una percentuale molto alta, seppure in diminuzione dell’1,6% rispetto all’anno precedente, a causa della siccità, che ha afflitto molte aree riducendo la produzione delle zone coltivate. Non a caso, l’80% dei terreni sono colpiti da fenomeni di degrado e desertificazione.

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In Kenya, dove il 40% del totale della popolazione è impiegata nell’agricoltura, la compagnia italiana ha attivato dal 2021 un progetto che coinvolge a oggi circa 40.000 agricoltori locali. La partnership è finalizzata alla coltivazione su terreni semi-aridi, degradati o abbandonati, di agri-feedstock. Si tratta di materie prime agricole, non in competizione con la filiera alimentare, da cui ricavare oli vegetali. L’olio vegetale viene prodotto nell’impianto che Eni ha inaugurato nel 2022 nel Sud del Paese, più precisamente nella Contea di Makueni, con una capacità di 15mila tonnellate all’anno. L’olio estratto viene poi inviato alla bioraffineria Eni di Gela per produrre biocarburanti.

Iniziative simili sono state avviate anche in Congo, Angola, Mozambico, Ruanda e Costa d’Avorio. Si punta così a inserire i Paesi africani nella filiera della bioraffinazione, alla quale startup e progetti innovativi locali possono contribuire con idee e nuove soluzioni, secondo la logica dell’open innovation. Il programma “Seeds for sustainable energy” ne è un esempio: le aziende vincitrici possono offrire strumenti sia nel ramo agricolo sia nello smaltimento sostenibile dei rifiuti.

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Chi sono e cosa fanno le startup premiate

La prima delle tre imprese ad essersi aggiudicata il grant di 10mila euro si chiama FamerLifeLine Technologies e ha sviluppato un sistema di monitoraggio dello stato delle coltivazioni. La sua tecnologia permette di rendere più rapida la rilevazione di parassiti e malattie nelle piante.

«La nostra startup offre ai piccoli agricoltori la possibilità di arginare la comparsa di parassiti e dalle malattie delle colture», spiega Esther Kimani, fondatrice dell’azienda. Per farlo, specifica, «installiamo nelle tenute un dispositivo capace di catturare le immagini delle coltivazioni e, nel momento in cui dovesse individuare la presenza di un parassita o di una malattia, avvisare subito l’agricoltore via sms. Non mi aspettavo di raggiungere la prima posizione, sono state giornate intense e c’erano molte altre idee davvero valide», prosegue. «Questo risultato rappresenta un incoraggiamento per tutto il team ed è la dimostrazione di come ci siano persone in grado di riconoscere che quello che stiamo facendo ha un impatto reale».

Considerando che «il 95% del cibo che mangiamo viene prodotto da piccoli proprietari terrieri», il prossimo obiettivo di FamerLifeLine, sottolinea Kimani, è l’espansione nell’Africa orientale e in tutto il continente. In vista dei prossimi passi, l’esperienza del bootcamp si è rivelata importante. «Abbiamo ragionato su come potrà essere la nostra azienda da qui a dieci anni, per capire su quali aspetti focalizzarci ora, per lasciare un segno in futuro».

“Vogliamo incoraggiare i piccoli agricoltori in Kenya ad adottare strumenti tecnologici nella loro attività”

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Esther Kimani, fondatrice FamerLifeLine Technologies

È attiva nello stesso comparto anche FarmIt, seconda classificata al programma “Seeds for sustainable energy” di Joule. In particolare, la startup fondata da Allan C’oredo offre soluzioni digitali per migliorare i mezzi di sussistenza degli agricoltori. Grazie a una squadra di esperti, agronomi, imprenditori specializzati nel settore e sviluppatori, FarmIt permette agli utenti di ricevere consigli utili per utilizzare l’agricoltura di precisione e ottimizzare la propria presenza sul mercato, consentendo loro di aumentare le entrate e assorbire in modo migliore gli shock dovuti al cambiamento climatico.

«Negli ultimi otto anni ho lavorato come agronomo e, parlando con diversi piccoli agricoltori, ho visto quali sono le sfide che stanno affrontando», racconta C’oredo. «Ho scelto di impegnarmi per provare a diminuire la povertà che li affligge e ridurre la percentuale di persone che soffrono la fame». Da qui la decisione di fondare FarmIt, che si avvale di «immagini satellitari, intelligenza artificiale e machine learning per ottenere informazioni fondamentali: dal livello dei nutrienti e di acqua nei suoli, alle malattie e infestazioni di parassiti, oltre a offrire un servizio di previsione meteorologiche, fino a due settimane».

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Allan C’oredo, fondatore FarmIt

A oggi, la startup conta quasi 6.800 agricoltori registrati e circa 450 grandi clienti, fra cui scuole, hotel e negozi, e opera in cinque contee del Kenya. Grazie a FarmIt, si legge sul sito, gli utenti iscritti hanno decuplicato i margini e ridotto le perdite post-raccolta. «Abbiamo in programma di migliorare le capacità e semplificare le operazioni sulla nostra piattaforma, per accogliere un numero maggiore di utilizzatori», sottolinea il fondatore. «In questo momento, siamo concentrati a offrire consulenza personale e tagliare i costi di produzione. Vogliamo incoraggiare i piccoli agricoltori ad adottare strumenti tecnologici nella loro attività».

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Il bootcamp, conclude C’oredo, «mi ha aiutato a ridefinire gli obiettivi della startup e le applicazioni che l’intelligenza artificiale può avere nella nostra società». Un aspetto ritenuto centrale anche da Emmanuel Muchule, fondatore di Koch Food Waste Management Champions – terza classificata a “Seeds for sustainable energy”. «Sono stati giorni utili per capire come focalizzarsi sul proprio scopo, senza allontanarsi da esso, e imparare a controllare i rischi di impresa», sostiene Muchule.

Foto Eni Joule Seeds for sustainable energy_Kenya_Nairobi_3_Emmanuel Muchule, fondatore Koch Food Waste Management

Emmanuel Muchule, fondatore Koch Food Waste Management Champions

La sua azienda è in grado di raccogliere e trasformare i rifiuti in prodotti come compost, fertilizzanti, bricchette e olio. «Gestiamo gli sprechi alimentari e attraverso l’impiego di tecnologie, siamo in grado di creare una serie di prodotti ecosostenibili e utili. Nei prossimi due anni la startup punta a crescere, rivolgendosi alle scuole, alle istituzioni e agli hotel del suo Paese». Così come il podio, un percorso tutto da raccontare.