Neocarne, uova 2.0, tecnoformaggi: fondatori e imprenditori del nuovo filone sostenibile non vogliono evangelizzare il mondo ma fornire alternative più buone ed economiche. La scommessa? Vendersi per ciò che non sono
Il punto di partenza è che non vogliono sfornare prodotti per vegani e vegetariani. O meglio: l’idea di fondo non ha affatto uno stampo evangelizzatore. Poi, ma la notizia non sorprende, Patrick Brown e Josh Tetrick fanno entrambi a meno della carne e di tutti i prodotti di origine animale. Anche perché li hanno reinventati. Facendo proprio a meno degli animali.
Il primo, biologo e fisico 60enne laureato a Stanford, ha fondato a Redwood City, California, l’ormai arcinota Impossible Foods con cui ha messo a punto il nonburger, neoburger o burger 2.0. Decidete voi. “Lo facciamo proprio per dare scelta alle persone che amano la carne oltre ogni condizione” ha raccontato.
L’altro, Tetrick, che di anni ne ha 35 ed è un ex borsista Fulbright, ha lanciato tre anni fa la Hampton Creek con cui ha prodotto in laboratorio il nonuovo, neouovo o uovo 2.0. Anche in questo caso, fate un po’ voi. Partendo da quel prodotto di laboratorio produce una nonmaionese, si chiama Just Mayo, che, ha assicurato alla Cnbc, “non è certo per i consumatori supercoscienziosi. La nostra filosofia è che se scopri qualcosa di davvero buono e meno costoso, anche se non gli avresti dato un centesimo, alla fine lo sceglierai”.
Il loro obiettivo, come quello di diverse altre foodtech startup che promettono di rivoluzionare nel giro di qualche anno gli scaffali dei supermercati (alcune ci stanno già riuscendo) e le portate casalinghe, non è dunque convertire il pianeta al veganesimo. Certo, le due giovani aziende sopra citate insieme ad altre sigle come l’altrettanto nota Modern Meadow, quella che stampa in 3D le bistecche sintetiche, Beyond Meat, Unreal Candy, Bright Farms e Nu-teck Salt, rientrano nel movimento per il cibo sostenibile.
C’è business oltre l’etica
Ma la scommessa va oltre l’etica e le preferenze di gusto. Fa (o vorrebbe fare) irruzione sul mercato sfidando faccia a faccia le big company: “Faremo la stessa cosa più gustosa, meno costosa e senza contribuire all’esplosione mondiale della richiesta di carne o di altri derivati animali” sembra essere il messaggio-chiave di questa flottiglia di tecnogastronomi. D’altronde, Nutrire il pianeta non è solo il tema dell’Expo milanese ma anche la sfida che ci aspetta nel prossimo mezzo secolo. È proprio nell’aumento della popolazione mondiale, lanciata oltre i nove miliardi di individui, e una produzione che crescerà del 70% (lo dice la Fao), che i nuovi inventori dei cibi impossibili vedono la loro fetta di business.
La loro sfida non è fare proseliti ma clienti
Le startup, infatti, devono avere senso e un modello coerente su cui crescere. O almeno, lo dicevo, scommettere. A un certo punto la loro sfida non può più essere fare proseliti ma clienti. In questo caso, gente che preferirà uova e carni derivate da piante e vegetali non perché evitino quegli ingredienti nella loro dieta quotidiana ma proprio perché ne vanno ghiotti. C’è un ribaltamento totale, dietro questo assunto.
Sarà una strada difficile. È vero, alcuni risultati messi a segno da Hampton Creek – già sbarcata con Just Mayo e Just Cookies in catene Usa come Whole Foods, Hellmann’s, Chips Ahoy, Walmart, Target e Dollar Tree – fanno ben sperare. Così come i fortissimi investimenti dei soliti guru della Silicon Valley, da Bill Gates a Peter Thiels fino al multimiliardario asiatico Li Ka-shing di Horizons o, più di recente per Modern Meadow, all’impero dei Rockefeller, non faranno mancare i quattrini.
Anche se, come nel caso delle mense di Boeing, HP, Lucasfilms o Google, che servono quei prodotti, c’è ancora un retrogusto vagamente ethic food che invece i fondatori dicono non voler cavalcare per affascinare gli onnivori patentati. “Il burger migliora di settimana in settimana – ha raccontato Brown, al vertice di un team di 50 fra agricoltori, biologi e ricercatori – siamo a un punto in cui non importa se sei uno chef o un imprenditore, non riuscirai comunque a capire cosa stai masticando. In pratica, la carne è talmente simile all’originale che se non ti avvisano pensi di mangiare del vero manzo argentino. E invece è realizzato a partire dall’eme, un complesso chimico contentente un atomo di ferro, presente nell’emoglobina, ricavabile però anche dalle radici dei legumi. Hampton Creek usa invece proteine presenti nel pisello giallo canadese e in una varietà statunitense di sorgo per produrre una replica di uova di gallina.
La vera prova: vendersi per quello che non sono
Per i nuovi inventori del cibo di domani la vera prova, però, non ha nulla a che fare con i laboratori, gli esperimenti, le molecole, gli scienziati, le autorità di controllo. Passa invece dal modo in cui riusciranno a commercializzare quei prodotti e dal successo che questi riscuoteranno fra i consumatori di tutto il mondo, vegetariani, vegani e onnivori che siano. Insomma, le neocarni, le neovuova o il neoformaggio che con gli animali non c’entrano nulla vinceranno la loro scommessa esattamente se non si venderanno in quanto neocarni, neouova o neoformaggi. Se, in qualche modo, convinceranno gli acquirenti senza dover ricorrere al loro carattere alternativo ma s’infileranno, inizialmente in maniera anonima, fra corridoi e scaffali dei supermercati fino ai carrelli. Come fossero – perché proprio quello puntano a essere – un’alternativa fra le tante. Anche se poi, in caso di successo, non sarebbe proprio così, visto il loro carattere salvifico sugli equilibri delle risorse, dai terreni all’acqua, sempre più fuori asse.