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Spesso ci si concentra sulle diversità visibili di alcuni, senza rendersi conto che ognuno di noi, in modo diverso, in misura diversa, nasconde in sé una diversità invisibile: quei tratti e quelle caratteristiche uniche che appartengono ad ogni individuo, e che raramente emergono in superficie. L’inclusione, quindi, è qualcosa di molto più esteso, che va oltre l’idea di una nicchia di persone considerate diverse in rapporto ad un presunto standard. 

E così, tra visto e non visto, le storie delle rispettive diversità si intrecciano, in famiglia, al lavoro, nei luoghi della socialità. Come quelle dei colleghi del Gruppo Mediobanca Pasquale Abanni (CheBanca!) Costantino Coco (Mediobanca Private Banking), che hanno condiviso la loro esperienza personale al workshop “Visibili e Invisibili: storie di diversità”, organizzato dal Gruppo Mediobanca in collaborazione con l’associazione Mindwork – Wellbeing in progress, per la Four week for inclusion – 4W4I, la grande maratona internazionale dedicata ai temi dell’inclusione e della diversità, in corso fino al 6 dicembre.

In un secondo momento, moderato dalla giornalista Annalisa Monfreda, Olimpia Di Venuta, Mediobanca Group Diversity & Inclusion Manager, Biancamaria Cavallini, psicologa e Board Member & Operations Director di Mindwork, Vera Gheno, sociolinguista si sono confrontate su come creare un clima di rispetto, accoglienza ed accettazione, a partire dal linguaggio, affinché le diversità emergano e vengano riconosciute. 

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Il conforto della condivisione con gli altri

Un giorno, quando mio figlio aveva un anno e mezzo, mi sono accorto che iniziava ad allontanarsi da me. Dopo alcuni controlli, è arrivata la diagnosi di autismo severo-grave, che ha fatto crollare in un secondo tutti i castelli che stavo costruendo per lui come genitore”, ha raccontato Pasquale Abanni (CheBanca!). 

“Per un anno non ne ho parlato con nessuno in ufficio, perché volevo prendermi del tempo per studiare e trovare il modo di comunicare con lui. 

A un certo punto ho deciso però di parlarne: prima con il mio responsabile, poi con i colleghi: fino a quel momento nessuno aveva percepito nulla della sua situazione. Da lì ho cominciato un bellissimo percorso di condivisione, scoprendo che altre persone stavano vivendo la mia stessa storia, direttamente oppure attraverso quella di amici e parenti”. 

“Ho cominciato un bellissimo percorso di condivisione, scoprendo che altre persone stavano vivendo la mia stessa storia, direttamente oppure tramite amici e parenti”

Poco dopo la scelta di creare un’associazione: Progetto Sinapsi, con sede a Roma e a Monza. 

L’obiettivo è quello di “aiutare i genitori a trovare un dialogo con i propri figli, andando oltre gli stereotipi sull’autismo, che si muovono tra due estremi: da un lato la presenza di problemi comportamentali e dallaltro la possibilità di una genialità alla Rain Man. Invece questi ragazzi hanno solo un modo diverso di approcciarsi al mondo: arriviamo alla stessa soluzione, ma percorrendo strade diverse. Sta a noi cercare di incrociare le loro. Io e mio figlio, per esempio, pratichiamo motocross insieme e la prossima estate andremo da Roma a Capo Nord su una Vespa Anni 50”.

Realizzare i sogni superando i limiti posti dall’esterno  

Il viaggio è uno dei tanti fili rossi che legano la storia di Pasquale Abanni a quella di Costantino Coco (Mediobanca Private Banking): pronto a partire alla volta di Israele, nella vita non si è mai fatto fermare dall’improvvisa perdita della vista. “Avevo solo cinque anni e da quel momento sembrava ci fosse per me un percorso già scritto, dalle scuole specializzate che avrei dovuto frequentare al tipo di lavoro a cui sembravo destinato a causa della mia disabilità. Ma io sono ambizioso e fin da piccolo mi sono posto lobiettivo di dimostrare agli altri, che mi ponevano dei limiti, come determinati sogni potessi realizzarli lo stesso”. Così, dopo il liceo classico, si è iscritto alla facoltà di Economia: “L’ambiente accademico non era pronto ad accogliere persone con disabilità visiva, ma insieme abbiamo cercato le soluzioni, man mano che i problemi si presentavano”.

“Sento che c’è una paura inconscia della diversità, una specie di blocco che si manifesta al primo impatto, cerco di aiutare gli altri a superare questo imbarazzo iniziale”

Coco ha mantenuto questo stesso approccio anche al lavoro: “Fare squadra, mettendo a proprio agio le persone. Sento che c’è una paura inconscia della diversità, una specie di blocco che si manifesta al primo impatto, quindi cerco di aiutare gli altri a superare questo imbarazzo iniziale e a capire come possiamo interagire al meglio. Per esempio, spesso non ci si rende conto di quanto sia importante la comunicazione non verbale, che io invece non posso percepire, e di quanto possa essere difficile verbalizzare le emozioni e i pensieri che di solito si manifestano attraverso i gesti e le espressioni del viso”.

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Il ruolo delle parole nella percezione della realtà

“Come sostiene Thelmo Pievan (filosofo, ndr), il nostro corpo è programmato per avere paura di fronte all’ignoto: per questo è importante creare conoscenza”, ha concordato la linguista Vera Gheno. Un ruolo fondamentale in questo senso è svolto dalle parole con cui parliamo della diversità, influenzandone la percezione: “A scuola non basta insegnare l’educazione formale all’uso del linguaggio. Oltre alla grammatica e all’ortografia, dobbiamo riflettere sul ruolo che hanno le parole nella società: in che modo la realtà influisce sulla lingua, e viceversa?”.

Paura, vergogna, timore del giudizio altrui sono solo alcuni dei motivi per cui si fa fatica a mostrarsi per ciò che si è. “Diversity, invece, vuol dire varietà: siamo tutti portatori di diversità, solo che alcune di queste vengono giudicate negativamente. Serve un’opera di sensibilizzazione costante, che venga portata avanti anche in altri luoghi, dopo la scuola”. 

Libertà di esprimere la propria autenticità  

Le aziende in primis hanno il dovere di contribuire a creare un clima di rispetto, accoglienza ed accettazione, in cui sia garantita la sicurezza psicologica necessaria per poter esprimere la propria autenticità. “Il punto cruciale è la libertà: dobbiamo sentirci liberi di scegliere di portare noi stessi sul posto di lavoro, senza il timore di essere derisi, umiliati o semplicemente non accolti”, ha aggiunto Biancamaria Cavallini psicologa e Board Member & Operations Director di Mindwork. “Affinché questa condizione si crei, bisogna lavorare sulla cultura organizzativa, mettendo in conto un processo lungo, perché tanti ingranaggi sono già oliati e ci vuole tempo per cambiare. Ma dobbiamo imparare ad uscire dal nostro punto di vista ed assumere quello altrui. Cominciamo a chiedere e fare domande all’altra persona, invece di voler affermare noi stessi”. 

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Saper ascoltare è un dono? No, si impara

Creare un ambiente senza discriminazioni, in cui trovare il coraggio di esporsi, è importante non solo per il singolo, ma anche per il gruppo di appartenenza, perché le fragilità altrui sono il nostro specchio”, ha spiegato Olimpia Di Venuta, Mediobanca Group Diversity & Inclusion Manager. Un obiettivo che non deve essere appannaggio solo dell’ufficio risorse umane, ma deve coinvolgere l’intera azienda, attraverso strumenti diversi, come percorsi formativi, eventi di sensibilizzazione, ascolto attivo, attraverso focus group e questionari. Saper ascoltare non è un dono, come molti credono? “No, è qualcosa che si impara, lavorando per esempio sulla leadership, che non deve essere necessariamente autocratica e direttiva, ma deve fondarsi sull’ascolto attivo e sulla capacità di collaborazione. Il successo del singolo è il successo del gruppo”. 

“La leadership non deve essere una guida autocratica e direttiva, ma deve fondarsi su ascolto attivo e capacità di collaborazione” 

Tra le varie iniziative, il Gruppo Mediobanca ha dato il via al progetto “toDEI”, ideato per promuovere valori come diversità, equità e inclusione. “Un aspetto su cui stiamo lavorando molto è quello delle differenze di genere, perché nel sistema bancario sono ancora molto evidenti”.

A questo proposito, l’introduzione delle quote rosa nella nostra società, secondo Vera Gheno, è necessaria: “Almeno in una fase iniziale, credo siano il modo giusto per gestire una situazione che altrimenti tende a tornare all’uniformità”. Un lavoro lungo, da svolgere con lo sguardo rivolto al futuro. “Chi pianta i datteri non mangerà i datteri, recita un proverbio africano. Pensiamo alle generazioni future”.