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Posiamo uno sguardo troppo trascurato sulle parole: oltre a creare spesso danni, questa inconsapevolezza impedisce al linguaggio di esercitare la sua forza trasformativa e rivoluzionaria, che potrebbe invece far germogliare grandi cambiamenti. Allo stesso modo, dovremmo rivolgere la nostra attenzione anche su tanti altri aspetti della nostra vita e della nostra società, per scoprire e valorizzare quelle diversità, visibili ed invisibili, che incontriamo ogni giorno.

Questo è il cuore della riflessione emersa al workshop “Una mappa per progettare nuovi linguaggi dellinclusione”, organizzato da Unstoppable Women in collaborazione con Mediobanca per la tappa finale dello Startupitalia Open Summit che si è tenuto il 13 dicembre all’Università Bocconi di Milano.

Protagoniste dell’incontro, moderato dalla giornalista Paola Centomo, sono state Alexa Pantanella, esperta di linguaggi inclusivi che sostiene le aziende nel diventare più eque; Dajana Gioffrè, psicologa visionaria che lavora per costruire un web completamente accessibile; Florencia Andreola ed Azzurra Muzzonigro, ricercatrici che, attraverso la pianificazione urbana, puntano a progettare città che rappresentino finalmente lo sguardo di tutti e tutte.

Parole che costruiscono la realtà

“David Foster Wallace diceva che la lingua per noi è come l’acqua per i pesci: non ci facciamo più caso, la diamo per scontata. Parlare è come muovere i muscoli del corpo: lo facciamo, poggiandoci su automatismi ed abitudini ancestrali, riproducendo senza accorgercene battute, espressioni e modi di dire profondamente radicati nella nostra cultura. Dovremmo invece allenarci a leggere i sottotesti, per accorgerci degli effetti che stiamo producendo, o anche subendo, con le nostre parole”, ha esordito Alexa Pantanella, founder di Diversity&Inclusion Speaking, autrice del saggio Ben detto.

Foto Alexa Pantanella Bio

A proposito di luoghi comuni, troppo spesso si crede che verba volant, scripta manent:

“In realtà anche le parole dette non vanno via: soprattutto quelle che ci identificano, e spesso ci incasellano, restano nella memoria. Le parole sono oggetti fisici, un plancton che nutre noi stessi e le nostre relazioni: diventiamo quello che inconsapevolmente assimiliamo e riproduciamo”.

Lo schwa può essere una strada per rendere la nostra lingua più inclusiva?

“Non credo esista un’unica soluzione giusta: ce ne sono diverse, tutte da valutare e sperimentare”, ha concluso Alexa Pantanella. “In questo momento tutte le lingue romanze, non solo l’italiano, stanno cercando un modo per uscire dallo schema maschile-femminile: è un’esigenza transculturale che va colta, non si può ignorare”. 

Barriere digitali e barriere culturali

“Gli stereotipi sono molto forti quando si parla di disabilità”, ha sottolineato Dajana Gioffrè, Chief Visionary Officer di Accessiway, startup nata per rendere il web più accessibile. Oggi il 15-20% degli utenti fa fatica a navigare online, perché i siti pullulano di ostacoli e sbarramenti virtuali per chi ha una disabilità, che può essere visiva, cognitiva o motoria. “La tecnologia nella nostra epoca non dovrebbe essere un ostacolo, ma un supporto. Invece le barriere digitali sono un prodotto delle barriere culturali, e viceversa: si progetta il web avendo in mente come utilizzatore finale un prototipo ideale di uomo. Ma la normalità non esiste, ognuno ha le sue peculiarità”.

web accessibile

Un esempio su tutti: “I non vedenti usano gli screen reader per navigare, che traducono in sonoro quello che c’è scritto sullo schermo. Ma il sito deve essere accessibile, altrimenti la voce rimane muta”.

Città a misura di tutti

“Lo sguardo di chi vuole creare una realtà davvero inclusiva deve abbracciare le nostre città nella loro interezza”, hanno sottolineato Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, autrici del saggio Milano Atlante di genere, in cui si mettono in luce i tanti limiti che le donne incontrano nei contesti urbani, tendenzialmente fino a oggi progettati sui bisogni degli uomini e sulle loro abitudini lavorative. “Bisogna ripensare la progettazione dei centri abitati e mettere al centro anche altre esigenze, in primis quelle di chi si muove per svolgere lavori di cura, compiendo spostamenti più brevi e concatenati, spesso a piedi o con i mezzi pubblici”. C’è poi l’importante tema della sicurezza: “Il 36,6% delle donne in Italia non esce la sera, perché ha paura, contro l’8% degli uomini”. 

Da Vienna a Barcellona, in Europa si possono trovare vari esempi di città che si stanno muovendo in una direzione più inclusiva, sperimentando progetti pilota di vario tipo: cohousing, parchi e aree verdi, abbattimento delle barriere architettoniche, spazi pubblici condivisi. “Cogliendo gli input arrivati anche dalla pandemia, riflettiamo sulla cosiddetta città dei 15 minuti o città di prossimità, in cui è possibile raggiungere tutti i servizi primari compiendo un percorso a piedi della durata massima di un quarto d’ora”.

atlante genere1

Il punto di partenza per trasformare i centri urbani è lasciare che siano i cittadini stessi a prendersene cura, attraverso gruppi di cittadinanza attiva, e favorire il dialogo con le istituzioni. Da qui nasce il progetto “Her Walks”, organizzato da Sex & the City, associazione di promozione sociale fondata nel 2022 da Florencia Andreola e Azzurra Muzzonigro, in collaborazione con il Comune di Milano: “L’idea è quella di organizzare delle camminate insieme alle donne residenti nei vari quartieri, a partire da quello di Niguarda, per vedere quali sono le criticità che incontrano lungo i loro percorsi abituali e definire insieme delle proposte migliorative”.

Un’iniziativa che si ispira anche a quella che diceva l’antropologa Jane Jacobs: “Nessuno troverà ciò che funziona meglio per le nostre città, né manipolando modelli in scala, né inventando città da sogno. Bisogna uscire e camminare”.

“Queste passeggiate esplorative possono essere una pratica e uno strumento metodologico utile ad incorporare una prospettiva di genere nella progettazione dello spazio urbano”, hanno concluso Andreola e Muzzonigro. “Aiutare le donne ad appropriarsi degli spazi pubblici significa disegnare una città inclusiva per tutti, perché esse sono spesso portatrici di esigenze diversificate e punti di vista altrui, come quelli di bambini, anziani o persone con una disabilità. Ascoltiamole: avremo così dei centri urbani non più pensati solo per uomini di una certa età, che escono di casa al mattino e rientrano la sera per andare al lavoro”.

Dal linguaggio alla navigazione web, passando per la progettazione urbana: il workshop organizzato da Unstoppable Women in collaborazione con Mediobanca ha messo in luce come in ogni ambito, sia della vita privata sia della società nel suo complesso, la strada verso una vera inclusione passi dall’attenzione verso le esigenze di tutti e ancor più dalla valorizzazione di quelle diversità, più o meno visibili, che appartengono a ognuno di noi.