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La lotta dei produttori italiani contro Alibaba comincia con un’accusa forte e chiara: su quel sito più di un prodotto su 2 è contraffatto. Gli industriali italiani non intendono più fare sconti ai cinesi.

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Che i prodotti siano falsi lo dicono gli stessi cinesi

Attenzione però, a fornire il dato che inchioda Alibaba alle sue responsabilità e che mette all’indice come veri e propri falsi almeno il  60% del totale dei suoi prodotti, non sono gli industriali italiani, bensì un rapporto del governo cinese, che mette nero su bianco le allarmanti cifre in questione.

Ed è proprio sulla base di queste informazioni che Indicam, l’istituto di Centromarca (l’associazione italiana dell’industria di marca) per la lotta alla contraffazione e Sistema Moda Italia, che insieme rappresentano 50mila imprese associate e danno lavoro a oltre 400mila persone, si sono rivolti direttamente al governo italiano per chiedere di modificare l’accordo di promozione dei marchi italiani concluso nel 2014 con il portale fondato da Jack Ma.

Cosa diceva l’accordo Italia-Alibaba

L’accordo in questione, firmato a Pechino il 12 giugno 2014 dal governo italiano e dal gruppo Alibaba si basa su un memorandum d’intesa volto a promuovere le opportunità commerciali delle imprese italiane che desiderano entrare nel mercato dei consumi cinesi attraverso le piattaforme di vendite al dettaglio del Gruppo Alibaba, Tmall.com e Tmall.hk (collettivamente, “Tmall”) ed altri strumenti del gruppo.

Secondo l’accordo, nell’arco di 3 anni Alibaba deve fornire alle imprese italiane facilitazioni per una veloce iscrizione alla piattaforma Tmall e un sostegno per la promozione online. Allo stesso tempo, il governo italiano lavora con il gruppo cinese per aiutare le aziende italiane a comprendere appieno le opportunità offerte da questo mercato e le specificità dei suoi consumatori, attraverso l’esperienza di un canale di distribuzione consolidato. L’obiettivo di questa collaborazione è quello di fornire a Tmall le tendenze del retail italiano al fine di realizzare campagne di marketing più mirate ed efficaci per i consumatori cinesi. «Questo accordo è una fantastica opportunità per promuovere i marchi italiani in Cina attraverso un canale di distribuzione efficace e moderno», aveva detto in quell’occasione il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, sottolineando che  i prodotti e le merci italiane avrebbero avuto così la possibilità di raggiungere un numero crescente di consumatori cinesi «che sempre più apprezzano la qualità, la sicurezza e lo stile unico del Made in Italy. Ciò rappresenta anche una grande opportunità per le Pmi italiane – che normalmente, a causa delle loro dimensioni, hanno difficoltà ad espandersi a livello internazionale – per stabilire una presenza su un mercato cinese altamente competitivo ed essere conosciute  per l’eccellenza dei loro prodotti».

“Ma quale accordo, troppi falsi”

Oggi i produttori italiani chiedono di smontare quell’accordo e che almeno fino a quando non avranno eliminato tutte le merci contraffatte dai loro siti, nessuno ne faccia altri con Alibaba e, soprattutto, con Taobao, le piattaforme cinesi di vendita on line che sono «i più grandi veicoli di contraffazione mondiale». A dirlo al Corriere è Claudio Marenzi, presidente di Smi, la Confindustria della moda, associandosi all’appello dei colleghi di Indicam.

Amazon pronta ad accogliere i delusi di Alibaba

Che l’attenzione al mondo del commercio elettronico da parte degli industriali italiani di Centromarca sia molto alta si nota non solo dall’attacco ad Alibaba, ma anche dal fatto che in questi stessi giorni stiano organizzando un incontro con un altro gigante internazionale degli acquisti online, Amazon, con cui si incontreranno a porte chiuse il prossimo 17 febbraio.

Mariachiara Furlò
@mariachiarafur