Da 19 miliardi di fatturato a 6,7 miliardi di debito in 20 anni: ecco come l’azienda di George Eastman non ha visto il futuro e si è sgretolata
“Chi vorrà mai guardare le sue foto sullo schermo di una tv?” è la risposta che Steven Sasson, giovane ingegnere di Kodak, ha ricevuto dai suoi superiori nel 1973. Steven ha inventato con 10 anni d’anticipo il primo prototipo di fotocamera digitale e la multinazionale leader della fotografia ha chiuso in un cassetto il prototipo del suo ingegnere. Il resto è storia con la Kodak in crisi proprio per l’avanzare delle nuove tecnologie che spazzano via il mondo analogico. E pensare che aveva in casa la soluzione ai suoi mali.
Quando l’innovazione era Kodak: nascita di un colosso
I numeri sono impietosi. E in alcuni casi danno anche nostalgia. Come accade con la Kodak e la sua storia partita ben 128 anni fa proprio da una straordinaria intuizione. Quella di George Eastman che nel 1888 inventa il modo per sostituire alle lastre fotografiche rigide, pellicole sensibili alla luce. «Voglio rendere la macchina fotografica conveniente come una matita» spiegava. E apre la strada a una parabola di successo che vede l’azienda che ha registrato a marchio “Kodak” rivoluzionare il mercato della fotografia, diventandone il leader indiscusso. E pensare che Eastman di mestiere è assicuratore e la fotografia è solo una passione che nasce in lui durante un viaggio a Santo Domingo.
Voglio rendere la macchina fotografica conveniente come una matita
Negli anni la multinazionale sviluppa un modello di business perfetto nel quale fa soldi in ogni step del processo fotografico: c’è il compleanno del tuo bambino e hai bisogno di una macchina Kodak per immortalare il momento. Devi sviluppare le foto? Vai in un centro che le stampa su una carta sempre con il marchio dell’azienda. Nel 1990 la Kodak fattura 19 miliardi l’anno e ha 145mila dipendenti.
Da 19 miliardi di fatturato a 6,7 miliardi di debito in 20 anni
Anno 2012: la multinazionale soccombe al procedere rapido delle tecnologie digitali e chiede l’amministrazione controllata. Un finanziamento di 950 milioni di dollari da Citigroup porta un po’ di respiro, a fronte, tuttavia, di un indebitamento di 6,75 miliardi di dollari.
L’azienda accusa perdite dal 2005. Il 3 settembre del 2013 fine della storia. Si chiude un capitolo, emerge una nuova società che mantiene il marchio storico. Durante le procedure di fallimento vende più di 1000 brevetti, la rete dei 105mila chioschi per sviluppare le foto. Viene chiuso il settore che si occupava proprio delle macchine fotografiche. Insomma una carneficina.
Guardando oggi quello che resta dell’azienda di Rochester, la città dello Stato di New York dove è nata, viene un po’ di nostalgia: 2 miliardi di fatturato e 8mila dipendenti per un gruppo che sotto la guida di Jeffrey J. Clark si è specializzata nella vendita di sensori touch screen, fotocamere digitali, videocamere. Con dei buoni risultati nel 2015 come riporta Yahoo! Finance. Ma lontani anni luce dai fasti di quello che era stata un tempo l’azienda leader della fotografia.
Nel 1973 l’incapacità di vedere il futuro:
la rivoluzione digitale Kodak l’aveva in casa
È chiaro con i se e con i ma non si fa la storia. Eppure torna alla mente quel ragazzo di 24 anni, Steven Sasson che arriva in Kodak e in un esperimento trasforma gli impulsi elettronici in numeri, il processo della digitalizzazione. Costruisce un macchina che in 50 millisecondi cattura un’immagine, in 23 secondi la registra dentro una musicassetta e mostra immagini in bianco e nero.
Ancor prima dei competitor (la Sony Mavica, andrà sul mercato solo nel 1981), aveva in mano il primo prototipo di macchina digitale e avrebbe fatto la storia della sua azienda, l’avrebbe rivoluzionata e con lei tutto il mondo della fotografia: «Era solo una questione di tempo, eppure la Kodak non ha abbracciato mai la mia idea. La mia macchina digitale non ha mai visto la luce» spiega al New York Times che racconta la sua storia.
Pensando a questo ragazzo e all’incapacità dell’azienda di capire la sua innovazione “perché abbiamo sempre fatto così, perché è da decenni che facciamo i soldi in questo modo”, viene in mente una sola parola “suicidio”. Ed è un termine, ironia della sorte, che ricorre nella storia secolare della Kodak. Il suo fondatore George Eastman si è tolto la vita all’età di 77 anni. Sul bigliettino che lascia c’è scritto: «Il mio lavoro è fatto. Perché aspettare?».
La morte di un’idea, di un sogno, di una vita sopraggiunge proprio quando pensiamo che tutto sia già fatto laddove il futuro è ancora tutto da scrivere. E da fotografare.