Con la passione per la musica e la tecnologia, ha iniziato facendo siti. La sua idea vincente è stata quella di creare un servizio che permettesse di rendere accessibile tutta la musica del mondo. Senza scaricare nulla
Quando la tua prima azienda la fondi a 14 anni è chiaro che sei destinato a grandi cose. È quello che è successo a Daniel Ek, 33 anni, oggi Ceo di Spotify. Il suo patrimonio raggiunge 400 milioni di dollari e la sua app è arrivata sui telefoni di più di 75 milioni di utenti in tutto il mondo. E precisamente in 59 Paesi, per un fatturato che ha superato il miliardo di dollari nel 2014. Da quando è nata, Spotify non è rimasta ferma. Si è arricchita di nuove funzioni anche attraverso acquisizioni di startup più piccole. Nel solo 2016 l’azienda di Daniel Ek ha acquisito Soundwave, Cord Project e Crowd Album che hanno migliorato la capacità della piattaforma di capire i gusti degli utenti e hanno offerto loro un servizio di messaggistica e di condivisione di foto e video.
La passione per la chitarra. E quella per Fifa
Daniel Ek nasce in Svezia nel 1983. A quattro anni riceve la sua prima chitarra e a cinque il suo primo computer. Non stupisce che poi abbia deciso di fondare un’azienda per coniugare le sue passioni per la musica e la tecnologia. Un altro suo passatempo è giocare a Fifa. Ma per quello non ha ancora progetti imprenditoriali. Si limita a sfidare i suoi dipendenti in azienda.
Google gli dice no, lui decide di diventare un competitor
Cresce a Ragsved, un sobborgo di Stoccolma e comincia subito a realizzare siti internet. Di tanto in tanto insegna anche ai suoi compagni come usare Photoshop e a programmare. Guadagna abbastanza facendo siti, più del padre meccanico e della madre bambinaia. Non è laureato, ma decide di candidarsi per un posto nel motore di ricerca che sarebbe poi diventato il più importante, Google. Viene però escluso: «In quel periodo ero abbastanza ribelle e non accettavo un no come risposta. Così decisi che gli avrei fatto concorrenza. Ovviamente questo si rivelò molto più difficile di quanto pensassi», dice qualche tempo dopo. Trascorre un breve periodo di tempo a Londra durante il quale comincia a tifare Arsenal. Si iscrive all’università ma decide di abbandonare gli studi nel 2004 per fondare Advertigo, una compagnia pubblicitaria. Tra il 2005 e il 2006 è Cto a Stardoll, una commuity di moda per ragazze e Tradera, uno dei servizi di vendite online più popolari in Svezia. Nel 2006 arriva, però, la svolta nella vita di Ek: Advertigo viene acquisita da TradeDoubler e Tradera da eBay.
Le feste, le donne, e la depressione a 23 anni
Per lui è troppo frustrante lavorare alle dipendenze di altri. Ha 23 anni ed è molto ricco. Decide quindi di ritirarsi, secondo quanto riporta il New Yorker nel 2014. Si compra una Ferrari e un grande appartamento a Stoccolma, va in giro per locali e si circonda di amici e belle donne. Fino a che non si rende conto di essere depresso. Tutte le persone che lo cercavano, lo facevano per i suoi soldi e non certo per amicizia.
«Non avevo alcuna idea di come volevo vivere la mia vita», dice. Vende allora la macchina e l’appartamento e si trasferisce a Ragsved, il posto in cui era cresciuto. Lì ha modo di parlare a lungo con Martin Lorentzon, l’imprenditore che aveva comprato la sua compagnia pubblicitaria e in quel periodo era alla ricerca di nuove idee. Insieme guardano all’industria musicale. Ek è innamorato di Napster, il primo servizio esistente di condivisione di file. E vorrebbe applicare quel modello a una radio, in modo da superare il problema della pirateria musicale e poter assecondare le preferenze degli utenti. È così che Daniel Ek decide di mettersi in proprio e di fondare, insieme a Martin Lorentzon, Spotify.
Fonda Spotify nel 2006 come antidoto alla pirateria musicale
L’idea è vincente e forse è ispirata da un incontro, quello con Ludvig Strigeus, il creatore di μTorrent. Ek diviene il Ceo del client di condivisione di file, ma quell’attività sfida troppo le etichette discografiche ed è al limite della legalità. Il suo obiettivo è creare un servizio che permetta agli utenti di ascoltare tutta la musica che desiderano senza scaricarla illegalmente o acquistarla da iTunes.
Il messaggio che vuole far passare Ek è che Spotify è l’antidoto alla pirateria musicale. Il servizio si basa solo sul pagamento di una quota mensile da parte degli iscritti. «È una somma che tutti possono permettersi», dice Ek. La libreria di Spotify è quella più vasta disponibile in rete, molte più canzoni di quelle offerte da Pandora e Slacker. Gli utenti non si rendono conto di tutto il processo che sta dietro a questo immenso streaming musicale e soprattutto del fatto che Spotify assicura anche il pagamento dei diritti ai proprietari dei brani. Per loro è solo un juke-box di grandi potenzialità.
La più grande rivoluzione dopo la registrazione
Daniel Ek con lo streaming legale costruisce la sua fortuna. Molta della cultura di internet che sta dietro alla nascita di Spotify, Ek l’ha attinta dal suo Paese. La Svezia ha avuto la banda larga prima degli Stati Uniti e questo ha modificato in fretta le abitudini dei consumatori. Il fondatore di Spotify è convinto che il futuro sia tutto lì, nella capacità che le società avranno di adeguarsi alle nuove esigenze degli utenti della rete.
Per il momento non ha intenzione di vendere la sua creatura. E non ha nemmeno mai pensato all’idea di farne una public company: «Spotify non sarebbe potuta nemmeno esistere come public company». Ek pensa che quello che è accaduto con la musica riguarderà anche i video. A gennaio 2016 Spotify ha lanciato il servizio di streaming video, anche se non per film e serie tv. La priorità di Ek sembra essere ancora la musica. Lo streaming musicale è per lui la più grande rivoluzione dopo l’invenzione della registrazione.