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La Blockchain, il meccanismo alla base dei Bitcoin, ma non solo, può essere utile a governi e amministrazioni statali? La risposta è un netto sì. La logica, come noto, è quella di una rete di computer dove alcuni nodi in particolare si occupano di certificare ciò che accade su quell’autostrada condivisa, garantendo la sicurezza in virtù della stessa architettura peer-to-peer. E rendendo così impossibile prenderne il controllo fino a creare una sorta di registro aperto e condiviso, garantito da quegli stessi nodi. Rapidità, trasparenza, sicurezza.

In Ucraina, per esempio, il ministro delle Finanze ha annunciato lo scorso luglio che vorrebbe sfruttare il meccanismo per vendere asset di Stato in modo efficiente e senza intrallazzi. Ma sono molti i Paesi che hanno già messo in cantiere, o annunciato di volerlo fare, simili iniziative. In grado cioè di appoggiarsi al sistema che finora ha mosso i Bitcoin ma in futuro – lo testimoniano anche i numerosi progetti degli istituti finanziari – potrà entrare nei gangli della pubblica amministrazione.

Archivi di Stato, catasti e trasparenza

Come ha ricordato William Mougayar su CoinDesk, lo Stato americano del Delaware, non proprio un esempio di trasparenza fiscale in quanto un paradiso fiscale e pur tuttavia sede legale della stragrande maggioranza delle aziende hi-tech del Paese, ha un programma dedicato. Si chiama “Delaware is open for blockchain business”. I punti in agenda per ora sono due: gli archivi di Stato saranno distribuiti in questo modo così come le informazioni societarie sulle aziende che hanno sede nello Stato.

A Singapore il governo intende invece utilizzare la Blockchain per proteggere le banche dalle speculazioni dei trader e delle compagnie private, per esempio rispetto alle false fatturazioni. Ogni documento di pagamento avrà un’unica impronta e sarà quello il suo identificativo, non una quantità di dati facilmente falsificabili o sovrapponibili da istituto a istituto.

In fondo gli utilizzi ruotano intorno alla sicurezza delle transazioni, che è poi il cuore della Blockchain. Se in Russia intendono utilizzarla per snellire le transazioni fra privati, banche e amministrazione pubblica, in Georgia lo strumento sembra più utile a un’operazione di trasparenza per accreditarsi sui mercati internazionali. Quella che fa leva sul catasto, da sottrarre alle influenze della corruzione. Sempre sul registro delle terre e delle abitazioni punta il progetto in corso in 28 comunità ghanesi.

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Cittadinanza digitale, immobili e borse di studio

L’Estonia è come noto un caso a se stante, visto il suo ormai consolidato programma di e-residency per consentire a chiunque di diventare “cittadino in remoto” e fare affari in quel Paese. O meglio, attraverso i suoi servizi digitali. Bene, buona parte di questi servizi fa già leva sulla Blockchain o su logiche simili.

Chiudono la rassegna Svezia, Corea del Sud e Regno Unito. La prima vuole far traslocare tutte le transazioni immobiliari che saranno formalizzate nel Paese sulla Blockchain una volta che venditore e acquirente hanno firmato il contratto. Questo è forse uno dei programmi più ambiziosi perché punta a rimpiazzare il ruolo di figure professionali storicamente di garanzia come quella dei notai che tuttavia propongono spesso tariffe elevate e non sono ovviamente esenti da frodi e inganni. In fondo, la Blockchain è esattamente un registro aperto che si garantisce da solo, senza terze parti. Questo il connotato che spaventa di più chiunque occupi una posizione di “certificazione”.

La seconda dice di voler spingere le banche a sfornare progetti che ne utilizzino le potenzialità (ma in Europa molti istituti sono già avanti, basti pensare a Santander, Barclays e al consorzio R3) mentre la Gran Bretagna vuole sfruttarla per monitorare prestiti, borse di studio e concessioni di vario tipo per difendersi da abusi e frodi. Ma in un incontro dello scorso luglio fra l’amministrazione e gli addetti ai lavori dal mondo finanziario e della consulenza sono saltati fuori anche altri settori come la salute e l’identità.

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Cosa ci si può fare

Insomma, gli ambiti in cui il meccanismo può tornare utile sono moltissimi. Da quello delle verifiche (licenze, transazioni, processi e permessi di vario genere) alla transazioni vere e proprie di denaro (ma anche di titoli e altri tipi di asset, comprese case e beni mobili) fino alle certificazioni di proprietà (terre, abitazioni, titoli, brevetti) e delle identità. Per condurci al voto alla estone. Esistono per esempio diversi progetti e applicazioni, da Democracy Earth all’australiana MiVote, che puntano proprio sulla Blockchain per identificare gli elettori e gestire le procedure di voto. Molto meglio del famoso dito indice intinto nell’inchiostro o di un timbro su un vecchio certificato elettorale.