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Lo specificano subito con molta umiltà che si tratta di una quota minoritaria, ma per capire il valore che sta dietro all’operazione di investimento del colosso assicurativo Allianz sulla startup italiana MoneyFarm basta dire che a darne notizia prima di tutti è stato il Financial Times. Un altro round milionario a meno di un anno da quello, impressionante, di 16 milioni di euro chiuso con i londinesi di Cabot Square Capital e United Ventures di Massimiliano Magrini.
Cosa sappiamo. Sappiamo che non si tratta di quote liberate ma di un aumento di capitale. Non è dato sapere se e quanto è fondata l’indiscrezione del Financial Times, che stima il valore dell’operazione in 7 milioni di dollari. E non sappiamo, soprattutto, il valore delle quote acquisite da Allianz. Anche se, probabilmente, per quanto minoritaria probabilmente, vista la crescita di MoneyFarm, per noi di Startupitalia! è stimabile tra il 5 e l’8%. Tradotto, prendendo per vera l’indiscrezione di FT MoneyFarm vale davvero tanto: almeno 70 milioni di euro. Abbiamo intervistato il presidente della startup, Paolo Galvani.

paolo-galvani

L’inarrestabile corsa di MoneyFarm

Ma come, vi abbiamo premiato miglior startup fintech del 2015 e ora ci fate questa sorpresa?
«E’ un progetto al quale abbiamo lavorato per un po’ di tempo. Non è facile per una startup aprire una conversazione e portarla avanti con un grosso gruppo. E devo dire che siamo davvero soddisfatti dell’arrivo di Allianz nel nostro capitale».

Vi hanno cercato loro o voi?
«Ci han cercato loro. Poco più di un anno fa. Ero a una conferenza e alla fine del mio intervento una persona di Allianz Venture mi ha avvicinato dicendomi che facevamo delle cose che sono interessanti e da lì abbiamo iniziato a dialogare».

Quindi prima del round di novembre?
«Sì, il round era già praticamente fatto».

Perché Allianz ha scelto MoneyFarm?
«Credo che la cosa importante dietro questa operazione è la prospettiva di fatto un progetto di innovazione nel mondo del wealth management partito non dal mondo tradizionale ma dalle startup è entrato nella sfera di riflessione dei grossi player… una cosa che nasce da una mia idea…. Questo è il punto molto importante oggi. Questa cosa genererà una serie di derivazioni.. a fianco di una linea che è la linea iniziale di offrire un prodotto retail ci sono una serie di progetti complementari e inizi a capire come si sviluppano… è interessante vedere com’è, farlo con il più grosso gruppo assicurativo al mondo»

Quanto vale il round chiuso con Allianz

Vi hanno dato solo dei soldi o servizi? Il Financial Times ha scritto 7 milioni di dollari, ma so già che non mi confermerai né l’importo né le quote. A proposito, avete liberato quote o avete fatto un aumento di capitale?
«Non posso confermare nulla, ma posso dirti che si è trattato di un aumento di capitale. Ma non è solo una questione di soldi, davvero».

Cioè?
«La cosa interessante nel modello Allianz è che loro quando fanno un investimento, quando sono interessati a entrare in un progetto, valutano anche l’aspetto della partnership, ovvero a fianco al venture si individua una società del gruppo che possa sviluppare progetti specifici con la società oggetto di investimento. Nel caso specifico il partner è stato individuato in Allianz Global Investors».

Volete fare la nuova Betterment?
«Non abbiamo ancora identificato in maniera precisa l’ambito su cui andremo a lavorare sulla partnership. Noi ci stavamo un po’ pensando, però voglio essere chiaro su una cosa…»

Dì pure..
«E’ un’operazione importante, ma non c’è nulla che va impattare l’indipendenza del progetto base di MoneyFarm, ma non è che “siamo diventati allianz”. Certo, abbiamo la possibilità di esplorare modelli complementari a quello che abbiamo fatto fino ad oggi, ma Moneyfarm nasce come business to consumer e robo advisor»

L’open innovation secondo Allianz

Hai già preso contatti con il loro innovation manager? Qual è la strategia di innovazione di Allianz?
«Loro sono bravi, hanno di fatto sviluppato due linee di crescita e di investimento dal lato dell’innovazione. Una linea interna e quindi identità che lavorano con una serie di hub all’innovazione interna, hanno incubatori a Monaco, Londra e tanti altri in giro per il mondo. E poi hanno una unit di corporate venture che serve per costruire delle partnership in settori che risultano strategici nello sviluppo tecnologico e del mercato»

Quindi quella chiusa con voi è un po’ un’operazione di open innovation?
«Per certi aspetti sì. E’ un ottimo modo per i grandi gruppi di innovare»

Puoi dircelo, dai, i tedeschi vogliono sfruttare le incertezze di brexit per portarvi via da Londra…
(sorride) «Ma quella è più una partita tra Berlino e Londra. Berlino sta facendo la corte a tutto il mondo fintech. Comunque noi siamo a Londra, e a Milano e a Cagliari, e non c’è niente che oggi possa portarci da un’altra parte».

Keep calm and remain in London

A proposito di Londra, è vero che lì funziona tutto alla grande e che per ottenere un’autorizzazione dell’FCA ci vuole pochissimo tempo?
«Per ottenerla con Moneyfarm è passato n po’ di più di quello che ci aspettavamo, più o meno sei sette mesi»

Quasi quanto i tempi della Banca d’Italia…
«Qualcosa in meno».

E in cosa, allora, è davvero diversa Londra rispetto all’Italia?
«Diciamo che in Inghilterra c’è un impulso all’innovazione, ai progetti di innovazione, molto importante da parte del regulator. Una grande proattività. Il terreno ideale per le startup, soprattutto quelle che operano in campo finanziario».

Hai detto terreno… anche all’Italia basterebbe, ad esempio, una sandbox?
«In realtà secondo me ci sono 3 elementi su cui l’Italia dovrebbe lavorare. Noi un po’ per storia e un po’ per bisogno di sistema registriamo la necessità di innovare i financial services, ma…»

Ma?
«Ci devono essere una serie di attori che facciano da collante».

Il ruolo delle banche (e dei soldi) per il fintech

Parli delle banche?
«Aspettarsi che le banche lo facciano è difficile. Neanche a Londra succede. Non è che le banche ti vengano a cercare. Sfatiamo questo mito. Serve una community forte, serve il coinvolgimento del regulator, e soprattutto, la terza cosa che in Italia ancora non c’è è il capitale. Quando immagini iniziative come la nostra o comunque in campo fintech difficilmente riesci a fare cose senza capitale. Il primo round ti serve per impostare il modello, poi c’è un’altra fase, come per noi, per vedere come questa cosa si sviluppa. E questa è quella parte per capire. Noi non avremmo mai potuto fare in Italia il round che abbiamo fatto a Londra».

A proposito del round, lo ricordiamo, voi avete chiuso nel novembre 2015 un round da 16 milioni di euro. Dici che per crescere c’è bisogno di capitali, giusto. La domanda è forse banale, ma… per farci cosa?
«Diamo per scontato che stai lavorando qualcosa che in sé è un elemento di cambiamento profondo del sistema. Stai facendo qualcosa che è davvero disruptive. Quindi all’inizio investire è il “commitment” per dimostrare che ci credi fino in fondo. Da quello che ho visto in generale nella nostra esperienza di fronte agli investitori colpisce sempre il team. Nel nostro caso con skills ed esperienze davvero complementari, che coprono vari e diversi aspetti del portare avanti un progetti. Senza un buon team anche la migliore delle idee non passa nel modo di vedere di un investitore. Quando c’è il team l’investitore dice “questi ce la possono fare”».

Tutti i numeri di MoneyFarm

In quanti siete oggi a MoneyFarm?
«Siamo partiti in due, io e Giovanni Daprà. Poi siam diventati cinque e man mano che le cose crescono e man mano che arrivano i fondi ti allarghi, cercando di riempire le varie caselle vuote nell’organico del team».

Tutti italiani?
«Dipende da che paese sei, da quanti soldi hai raccolto. In Italia per alcuni versi è difficile trovare certi tipi di professionalità e poi soprattutto devi avere i soldi per assumerli».

Hanno proprie quote all’interno della società?
«Tutte le persone che lavorano in Moneyfarm hanno le stock option, una volta che hai passato lo stage hai già una piccola quota, poi ne distribuiamo altre a seconda anche del livello di seniority. E questa delle stock è una cosa che è più facile a dirsi che a farsi, al di là dell’aspetto di implementazionee, il fatto di avere comunque una piccola quota, di far percepire il valore di questa cosa, incontra ancora molte resistenze nella community delle startup».

Insider: tutto faceva pensare che Galvani fosse a Londra, e invece era a Monaco. Mentre lo intervistiamo telefonicamente è impegnato col check out in hotel.

Ah ma allora sei a Monaco. Hai detto prima che non se ne parla di pensare di spostare Moneyfarm da dove si trova, ma a questo punto una quarta sede a Monaco a quando?
(sorride) «Sicuramente non subito e non entro il 2016».

Aldo V. Pecora
@aldopecora