Lo startupper, con un’analisi lucida e onesta, racconta il suo sogno infranto e cosa gli ha insegnato
Che il fallimento sia una componente spesso necessaria per il successo di una startup, è ormai risaputo. Non si contano gli articoli che ne parlano. Tempo fa è nato anche un sito, StartupOver, che raccontava proprio le storie delle startup che non ce l’hanno fatta, dei fallimenti degli altri.
Più raro è leggere di startupper che ci “mettono la faccia” e hanno il coraggio di confessare in prima persona un proprio “ko”. Ci vuole molto coraggio per farlo, quello che caratterizza la personalità di Jegor Levkovskiy. Ceo oggi di Check Out Tecnologies, la startup che opera nel settore degli smart market (ne parliamo qui), è reduce da un’esperienza meno fortunata. BeMyGuru, un sito che nelle sue intenzioni e degli altri founder, avrebbe aiutato le startup a trovare online i consulenti giusti per il loro business (più di 200 esperti qualificati in macroaree, tra cui finanziamento, prodotto&design, business e marketing).
Nata in un mini incubatore di Verona, BeMyGuru ne ha fatta di strada, dai primi clienti, fino all’ingresso a Luiss Enlabs, con 80mila euro tra cash e servizi. Eppure qualcosa non ha funzionato e il progetto è finito, con pochi soldi, difficoltà nel team, e il disinteresse degli investitori. A distanza di mesi, Jegor ci racconta il suo sogno infranto, in modo lucido e onesto.
BeMyGuru, il modello Copy Cat
Jegor racconta le origini di BeMyGuru, un’idea nata sulla base di un Copy Cat, in gergo imprenditoriale si definiscono così le startup che si originano da modelli di business già esistenti e validati: «BeMyGuru riprende il modello di Clarity.fm (1 milione di euro di finanziamento e un’exit, ndr). Il progetto è stato sviluppato da alcuni ragazzi durante un evento di startup veronese a cui partecipavo. Loro poi hanno abbandonato l’idea e ho avuto il loro assenso a riprenderla. Ho formato il team, sviluppato in sei mesi un MVP e sono arrivati i primi clienti. Entusiasti abbiamo scelto di crescere in un incubatore, Luiss Enlabs, che ha promosso il nostro business. Ci siamo trasferiti a Roma per il percorso di accelerazione», ricorda Jegor.
BeMyGuru è appena nata e sembra aver già tutti gli elementi del successo, un team capace, un’idea chiara (portare la disruption nel mondo della consulenza aziendale, velocizzando i processi e riducendo i costi), l’ingresso in un incubatore prestigioso. E le prime metriche che parlano di una crescita della piattaforma con 530 iscritti e una ventina di consulenza concluse: «Ci sembrava che l’idea funzionasse. Stavamo dando a tutte le startup la possibilità di accedere ai migliori consulenti, cosa che prima era riservata solo a quelle che entravano in percorsi di incubazione».
Quando il pivot conduce al fallimento
Quando entrano in Enlabs le cose iniziano a cambiare rapidamente. I consulenti dell’incubatore mettono in crisi la loro idea: «Ci hanno detto che era fallimentare puntare sulle startup perché non hanno soldi e, se cercano consigli, li vogliono gratis». Jegor e il team allora hanno bisogno di cambiare le carte in tavola. Il target più interessante sembra quello delle PMI che sono aziende già avviate e dispongono di soldi per pagare una consulenza. Intanto, nascono altri problemi interni al team. I ritmi di lavoro sono estenuanti, a questo si aggiunge lo stress per tutti di essersi trasferiti in un’altra città e doversi adattare rapidamente a una nuova vita: «Non ci conoscevamo tutti benissimo. E in un clima di grande stress questo fattore ha finito per avere un’influenza. Investivamo molto tempo nel risolvere beghe tra di noi, mentre avremmo potuto utilizzare quelle energie per risolvere problemi del modello di business», racconta Jegor.
Il nuovo modello di business che punta alle PMI non porta, tuttavia, i risultati sperati: «Ci siamo resi conto che c’era un problema di natura “culturale”. L’imprenditore medio italiano va da un consulente che gli ha consigliato un amico, magari meno bravo, invece di rivolgersi a uno bravissimo che può contattare online». Jegor e il team si rendono conto che proseguendo lungo questa strada c’è il rischio di snaturare la startup che sarebbe diventata troppo simile a una società di consulenza, le stesse che con BeMyGuru avrebbero voluto rivoluzionare. Intanto si avvicina l’Investor Day, il giorno in cui le startup di Enlabs si confrontano con gli investitori.
Tre appuntamenti al giorno senza risultati
All’Investor Day arrivano con pochi risultati da mostrare. A dire il vero, il fatturato è in crescita, ma non sembra abbastanza per gli investitori. Jegor fa tre appuntamenti al giorno, gli dicono che lo avrebbero richiamato la settimana dopo. Ma non lo fanno. Intanto, i soldi finiscono e il team inizia a sfaldarsi. Un membro decide di lasciare per entrare in un altro progetto: «Passavano settimane e mesi, ma poche erano le novità. Senza soldi non potevi fare tanto, tipo realizzare campagne pubblicitarie, migliorare il prodotto. Ti restava solo la possibilità di alzare la cornetta del telefono e contattare aziende, ma non è una soluzione poco lungimirante. Intanto, il livello di stress aumentava, c’era un affitto da pagare. Il traguardo appariva sempre più lontano».
A questo si aggiungono altri dubbi, come quello sulla scelta di entrare in un incubatore quando non si è forse ancora pronti: «Iniziavamo a chiederci se non fosse stato meglio cercare l’investimento di cui avevamo bisogno (150mila euro, come da business plan) e solo in un secondo momento lanciarci in un percorso di accelerazione. Ma erano dubbi che non portavano da nessuna parte».
Senza soldi e in mancanza di metriche e di un modello di business definito, l’avventura di BeMyGuru, così come è stata pensata volge al capolinea. Il sogno di rivoluzionare il mondo della consulenza aziendale si infrange di fronte alla durezza della realtà: «Si soffre, ma bisogna poi essere sufficientemente realisti per capire gli errori e andare avanti. Se continui a vivere nel passato, investi male il tuo tempo. Tempo che dovresti usare per capire come fare meglio».
La dura lezione del fallimento
Jegor condivide le lezioni che ha imparato dal suo “passo falso”. Abbiamo provato a riassumerle in punti.
Il team è la risorsa più importante. «Conoscetevi bene prima di iniziare un percorso di accelerazione. Molto spesso si inizia a fare business con qualcuno solo perché ci è amico. Questo è il primo passo per fallire. Nel business bisogna cercare persone che sanno fare le cose e trascorrere del tempo con loro per creare la giusta atmosfera di collaborazione».
Gli investimenti servono se sai farli fruttare. «Personalmente non amo quelle startup che vivono con i soldi degli investitori. Se ti finanziano con 1, devi essere capace di trasformarlo in 1,1. Per farlo ci vogliono delle precondizioni. Una di queste è un business plan fatto bene, per avere una percezione chiare dei costi e del fatturato. E capire quanto capitale stai bruciando».
Metriche e metodologia lean. «Una startup deve segnare giorno dopo giorno quali azioni compie per trovare clienti, quelle che sono funzionanti e quelle che funzionano meno. Per capirlo deve andare subito sul mercato in modo lean, senza rinchiudersi in laboratorio e pensare di realizzare il prodotto perfetto. Meglio fare un prototipo e cercare continuamente feedback, cambiarlo in corsa, creando una sana collaborazione tra l’idea e il cliente finale».
La nuova avventura di Jegor: CheckOut Technologies
Nato in Unione Sovietica, Ucraina, Jegor si è trasferito in Italia all’età di sei anni con sua madre. Si diploma in elettronica e telecomunicazione. Durante il percorso di studi deve affrontare il primo grosso ostacolo della sua vita. La madre viene truffata e lui a 15 anni va a lavorare in fabbrica per pagare i creditori. Un’adolescenza difficile che, tuttavia, non gli toglie il gusto di seguire le sue passioni. È un nerd e si diverte a studiare il mondo della comunicazione online. Da freelance collabora con fotografi, grafici, sviluppatori, e costruisce così una sua rete. Trasferitosi a Verona trova lavoro in un’agenzia. Si occupa di innovazione. Fa lo scouting delle nuove tecnologie nel mondo e trova il modo di creare nuovi prodotti per soddisfare le esigenze dei clienti dell’azienda. Quest’attività fa crescere il suo spirito imprenditoriale. BeMyGuru nasce in questo periodo quando decide di mollare l’agenzia per seguire solo il sogno di una startup. Come è finita poi l’avventura lo abbiamo raccontato.
Jegor non ha perso il gusto di prendersi dei grossi rischi. La sua nuova avventura si chiama Check Out Technologies, startup che ha sviluppato un software di intelligenza artificiale che permetterà ai clienti di un supermercato di fare la spesa e saltare le casse con competitor. Un mercato dominato da giganti come Amazon: «Non bisogna vantarsi di un fallimento. Ma bisogna allo stesso tempo essere capaci di ridimensionare e ripartire. Non è facile superarlo, ma ci sono cose che puoi imparare sono avendoci sbattuto la testa. E spesso sono le lezioni più importanti».