Usare, riciclare, creare. Queste sono le tre parole chiave di “Plastic fantastic”, il progetto che coinvolge 25 tribù australiane in un’iniziativa per il riciclo della plastica e l’utilizzo di nuove tecnologie come la stampa 3D.
Usare, riciclare, creare. Queste le tre parole chiave del progetto “Plastic fantastic”, che coinvolge venticinque tribù australiane in una sorprendente iniziativa per il riciclo della plastica. Solo tre settimane fa il progetto ha vinto l’Environmental Innovation Award, per gli importanti obiettivi ambientali e sociali che persegue.
L’esempio delle comunità aborigene
Responsabile del progetto è la cooperativa ALPA, Arnhemland Progress Aboriginal Corporation, fondata nel 1972, che si occupa della supervisione dei progetti commerciali e imprenditoriali portati avanti dalle comunità aborigene che ne fanno parte. Plastic Fantastic permette agli aborigeni di riciclare bottiglie di plastica, per ottenere nuovi oggetti come giocattoli, cover per cellulari, gadget.
Lo stesso logo del progetto è realizzato con la plastica derivante dal riciclo di bottiglie di latte. Per poter usare le tecnologie necessarie, gli aborigeni del luogo sono stati formati sull’uso degli strumenti utili per progettare e stampare oggetti 3D. I vantaggi ci sono anche per i più piccoli, che hanno occasione di avvicinarsi a tecnologie che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione di osservare. Come spiega Lisa Somerville, coordinatrice del progetto:
Vogliamo offrire degli incentivi che spingano i bambini a frequentare la scuola al 100%, perché imparino a utilizzare queste tecnologie
Il programma sta coinvolgendo l’intera comunità, non solo i bambini. Leandra Dhurrkay and Jason Wandji, responsabili didattici della scuola di Milingimbi, uno dei principali siti dove il progetto viene portato avanti, hanno lavorato a fianco degli studenti, dei membri del consiglio e dei componenti della comunità, al fine di raccogliere quanti più rifiuti possibili dalle acque che circondano l’isola.
Che fine fa la plastica
Successivamente, quanto raccolto viene studiato e riciclato; «esistono svariati tipi di plastica», spiega Dhurrkay, «il nostro scopo è quello di insegnare ad applicare la giusta tecnica a seconda del materiale a cui ci troviamo davanti. Qui nell’isola abbiamo montagne di plastica, che galleggiano nelle acque oceaniche o che affollano i boschi. Una risorsa da utilizzare al meglio».
La plastica viene triturata, fusa ed estrusa in filamenti sottili, che vengono poi utilizzati dalla stampante 3D della scuola. Gli studenti imparano a conoscere da vicino le tecnologie, realizzando giocattoli, occhiali da sole e gadget per cellulari.
«Questo programma, che all’inizio voleva essere un volano per convincere i ragazzi ad andare a scuola, sta diventando un’occasione in cui c’è un primo approccio a tecnologie di nuove generazione e al digital design. Anche per gli adulti è stata un’importante occasione formativa», spiega la Somerville.
È la prima volta che ho avuto l’occasione di usare un computer
Wandji non ha dubbi: «la grande potenzialità del progetto è che gli anziani si siedono accanto ai bambini per imparare assieme. La comunità è ancora più forte attorno alla tecnologia».
Anche l’Europa ha il suo “plastic fantastic”
Anche se il contesto è leggermente diverso, merita una nota il progetto “Plastic fantastic Challenge”, un’iniziativa europea rivolta a startup e aziende innovative, che vuole promuovere un concetto di business radicalmente diverso da quello portato avanti fino a oggi, favorendo l’eliminazione del tipico packaging in plastica. Il progetto è stato avviato lo scorso ottobre e vedrà il susseguirsi di eventi in alcune città europee come Londra, Rotterdam, Monaco, Atene, Stoccolma e Bucarest.
Sara Moraca