A cent’anni spaccati dalla sua nascita, l’Università Statale di Milano ha la sua prima rettrice: Marina Marzia Brambilla, 51 anni, milanese, professoressa ordinaria di Lingua e Linguistica Tedesca. «È una vittoria della comunità della Statale e anche per le donne», ha detto immediatamente dopo l’elezione al Corriere della Sera. «Dopo 100 anni possiamo rappresentare anche i vertici del nostro ateneo, e io vorrei che questo fosse un risultato anche per tutte le colleghe e le studentesse: il passato che abbiamo ereditato ha dei confini che andremo a riscrivere. Non sarà più un’eccezione poter contribuire anche ai vertici delle istituzioni con il nostro lavoro», ha detto, sapendo bene che la sua città, quei confini, li ha già riscritti ed espansi visto che, dopo la sua elezione, le tre grandi università pubbliche milanesi risultano rette da donne: il Politecnico da Donatella Sciuto, laurea in Ingegneria Elettronica; la Bicocca dall’economista Giovanna Iannantuoni.
Perchè essere donne non può bastare
Certo si tratta di una conquista dieci anni fa neanche immaginabile, ma non basta conquistare i pinnacoli dei luoghi che contano, se quei luoghi non si cerca di cambiarli anche in nome di tutte le altre donne, se non li si fertilizza, da leader, con azioni, policy, servizi capaci di contribuire a colmare tutti i gap tra i generi, ancora fortissimi. Le carriere delle università italiane sono, infatti, lo specchio più luminoso di una disparità che morde ancora parecchio: da una parte le ragazze si laureano di più, più velocemente e meglio dei ragazzi; dall’altra, mano a mano che le carriere puntano ai vertici, le stesse ragazze e donne si diradano. È come se si disperdessero, come se il loro talento infilasse – è la metafora più calzante – un tubo che perde.
Le donne? Preparate, ma spariscono prima della vetta
Gli ultimi dati dell’Anvur fotografano molto bene i progressivi punti morti dove le carriere femminili via via si arenano: le donne sono la maggioranza tra gli studenti iscritti e quelli laureati (il 55% e il 57%), ma appena si sale tra i dottori di ricerca avviene il sorpasso e le proporzioni si invertono. Da quel punto i progressi di carriera femminili incroceranno una serie di altri colli di bottiglia, dunque altri stop: la carica delle donne si sfilaccia sul gradino dei professori associati, diventando il 42,3% del totale, quindi più su, su quello dei professori ordinari, dove si riducono al 27%. In cima, le donne sono così rare da diventare notizie per i media ogni volta che se ne aggiunge una: le rettrici oggi sono 13, il 13% del totale.
Marina Brambilla e le altre 12 (e cosa fanno per l’equità)
E torniamo, appunto, all’ultima eletta, a Marina Marzia Brambilla, che ha superato con 1652 preferenze lo sfidante, il docente di Organizzazione aziendale Luca Solari, che si è fermato a 645. In cima ai suoi programmi c’è ampliare il diritto allo studio, valorizzare la ricerca scientifica, costruire nuove infrastrutture didattiche innovative, operare per il benessere della persona, per la sua crescita formativa, valoriale ed economica, per l’inclusione. Si unirà all’azione delle 12 colleghe che l’hanno preceduta in altri atenei. La sinologa Tiziana Lippiello guida il primo ateneo ad avere ottenuto la Certificazione della parità di genere, la veneziana Ca’ Foscari, che supporta il progetto LEI (Leadership Energia Imprenditorialità) per sostenere e promuovere l’occupabilità delle donne nel mondo del lavoro: LEI, inoltre, è anche magazine e presto diventerà un podcast.
E se Antonella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano, punta ad avere, entro il 2025, il 30% dei corsi con maschi e femmine in parità numerica e almeno il 40% di donne tra i ricercatori in ingresso, Alessandra Petrucci, al timone dell’Università degli Studi di Firenze, racconta di un ateneo dove si usa un linguaggio inclusivo, dove esistono carriere alias per persone transgender, dove si offrono bose di studio per le ragazze che decidono di iscriversi ai corsi Stem. All’Università degli Studi Internazionali di Roma – ora retta dalla professoressa Mariagrazia Russo – è stato creato il Centro Interdisciplinare di Ricerca sulle Culture di Genere a favore della tolleranza e del contrasto a tutte le forme di discriminazione, mentre a La Sapienza Antonella Polimeni si è spesa esplicitamente sin dal suo insediamento perchè l’università sia, oltre che inclusiva, anche un luogo sicuro: nell’ateneo più grande d’Europa spicca la figura della Consigliera di Fiducia, una psicolga a cui rivolersi in caso di molestie sessuali, il Centro Anti Violenza e il Counseling psicologico.
Il punto di svolta: la lotta agli stereotipi
La professoressa Polimeni, eletta rettrice dopo settecento anni di leadership maschile, è convinta che le università siano luoghi cruciali per costruire parità di genere, perché la disuguaglianza di genere svuota il talento, la ricerca, il sapere. «Dobbiamo continuare a ridurre tutti gli ostacoli che si frappongono alla parità di genere, alla partecipazione e al successo delle donne», dice a IoDonna/Corriere della Sera. «Dobbiamo lavorare sull’empowerment delle ragazze, che passa attraverso un’azione continua del rafforzamento della consapevolezza riguardo le proprie capacità e le proprie ambizioni. E che deve prevedere, in maniera preliminare e assolutamente strategica, la decostruzione degli stereotipi: noi come istituzione universitaria dobbiamo lavorare perché il messaggio sulla crucialità della parità di genere arrivi a chiunque, anche ai ragazzi, perché anche i maschi devono agire da protagonisti per abbattere gli stereotipi».