«Nelle multinazionali ciò che impari sono le best practice nei vari ruoli, a pensare e agire in maniera efficace ed efficiente. Talvolta per innovare serve discontinuità. Ora sto portando una visione nell’azienda di famiglia». Per la rubrica del lunedì, in cui su StartupItalia raccontiamo il profilo di un protagonista del settore investimenti e Venture Capital, abbiamo intervistato Alberto Massa, responsabile del progetto Agriventures e capo CVC di Agritalia, azienda con quasi 40 anni di esperienza nell’esportazione di prodotti alimentari negli Stati Uniti.
Il Corporate Venture Capital è un ambito ancora di nicchia in Italia e prevede una certa propensione al rischio da parte di quelle aziende che accettano di uscire dalla comfort zone per investire in startup innovative. Agriventures è un venture program che supporta le startup del settore food & beverage. «Per il momento abbiamo allocato 3 milioni di euro».
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Esportatori di made in Italy
Nato in una famiglia di imprenditori, Alberto Massa, 34 anni, si è laureato in economia e gestione aziendale, completando poi un master a Madrid. Come ci ha raccontato in questa intervista, suo padre e suo zio hanno fondato l’azienda a Napoli, specializzandosi nel tempo nel commercio di prodotti made in Italy sul mercato nordamericano, che rappresenta l’80% del volume d’affari. «Nel 2024 abbiamo registrato oltre 100 milioni di fatturato grazie al lavoro di un centinaio di dipendenti. Negli Stati Uniti esportiamo soprattutto pasta e olio». In un momento complesso per i rapporti tra Europa e Stati Uniti sul tavolo c’è il tema dazi, la più nota arma negoziale del presidente degli USA Donald Trump.
«Durante il primo mandato non eravamo stati impattati dalle tariffe sui prodotti italiani. Ora le cose sembrano cambiate e speriamo che la diplomazia faccia il suo lavoro. Anche perché a perderci sono i consumatori: negli USA su certe categorie merceologiche non hanno le capacità produttive. Penso all’olio d’oliva domestico, che forse soddisfa il 2% della domanda interna». Le conoscenze nell’ambito B2B e B2C Alberto Massa le ha maturate con esperienze all’estero prima di mettersi a disposizione nell’azienda di famiglia.
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«Ho lavorato per diversi anni in AB InBev, multinazionale belga nel settore birrario e delle bevande alcoliche – ha spiegato -. Volevo farmi le ossa da altre parti per rientrare e portare un valore aggiunto. Ho vissuto in Belgio, poi a Milano e oggi sono attivo su Roma». Alberto Massa ci ha poi spiegato come funziona Agriventures e quali obiettivi si è posto con questa nuova iniziativa.
Gli obiettivi di Agriventures
«Innanzitutto, non siamo un fondo ma imprenditori. L’obiettivo di Agriventures è di individuare startup europee in ambito food che abbiano sviluppato prodotti innovativi di largo consumo, e accelerarne la crescita tramite l’espansione nel mercato statunitense. Prediligiamo prodotti che incontrino le crescenti esigenze legate a health & wellness, alla convenienza d’uso e che abbiano un approccio eco-sostenibile» Agriventures ha il target di investire in massimo due startup all’anno. Chi può candidarsi? «Se hai una startup e il tuo prodotto rispecchia i nostri requisiti di scalabilità, creiamo una joint venture negli USA, ci mettiamo il capitale e scaliamo attivamente il brand Oltreoceano».
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Quanto è difficile innovare nel food?
In Italia il cibo è una istituzione, ma in alcuni casi un tabù incatenato alla tradizione. L’apporto delle startup al settore è fondamentale. Qual è il quadro? «In Italia non c’è un gran numero di startup lato consumer brand in ambito food, ma siamo entusiasti di poter favorire e promuovere l’innovazione insieme ad altri attori. Il grosso si trova in UK, Francia e Germania; non a caso, questi tre Paesi costituiscono la metà dei capitali investiti in Europa nel foodtech. Oltre a ciò, anche l’aspetto della tradizione conta tanto, come consumatori siamo conservatori».
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Un esempio celebre degli ultimi anni ha riguardato la carne coltivata (nota sulla stampa come sintetica). Si tratta di un prodotto nuovo frutto dell’innovazione tecnologica e su cui altri ecosistemi hanno investito, mentre da noi hanno pesato di più i no-perché-no. «Ma nel 2050 saremo 10 miliardi di persone nel mondo: vuoi o non vuoi, quei prodotti serviranno. Una grossa catena retail belga di recente ha detto che entro il 2030 la metà delle vendite di alimenti proteici dovrà essere plant-based. Se ognuno fa la sua parte le cose diventano più facili».