Nuove tecnologie e soluzioni all’avanguardia per stare sempre al passo coi tempi. Ma quanto l’AI è diventata un hype e fino a che punto, invece, la si utilizza davvero? Ne abbiamo parlato con Mariano Di Benedetto, che vanta un’esperienza ventennale nel marketing e nell’advertising, per il nostro speciale dedicato ai centri media e alle agenzie di comunicazione d’eccellenza. 12 anni li ha trascorsi in Dentsu Italia, dal 2005, dove ha ricoperto ruoli di leadership come CEO di iProspect Italy e Chief Digital Officer di Dentsu Aegis Network. Oggi è CEO per l’Europa del Sud, MENA e Turchia di Dentsu. Nel suo CV c’è Meta, dove è stato Italy Director Agencies and Business Partners, lavorando anche al lancio dei primi smartglass Meta/Luxottica, e The Trade Desk Italy, in cui ha ricoperto l’incarico di general manager. Di acqua sotto i ponti Mariano ne ha vista passare tanta, così come ha potuto studiare da vicino le nuove tecnologie di AI, applicate in particolar modo proprio ai centri media.

Mariano, quando sei arrivato in Dentsu?
Per rispondere, partirei da lontano. Dentsu nasce in Giappone nel 1901 con un obiettivo semplice: portare la comunicazione nelle aree rurali del Paese. Già questo racconta molto del nostro DNA. Innovare, per noi, non è un esercizio di stile ma una vocazione naturale che risponde a bisogni reali. Ed è da questo spirito che è nato il nostro modo di guardare alla tecnologia: non come una tendenza da inseguire, ma come un valore da coltivare. Quando in Italia si parlava appena di digitalizzazione, noi stringevamo le prime partnership con Google. Siamo stati tra i primi a usare piattaforme di data management quando ancora il mercato cercava di capire cosa significassero. La regola che ci guida è semplice: se credi che l’innovazione porti beneficio al mercato, devi investirci. E io ho approcciato questa visione dal 2005.
In che modo adottate questi nuovi strumenti in azienda?
Per noi sono particolarmente utili nello sviluppo di nuove soluzioni al nostro interno che facilitano e velocizzano il lavoro delle persone. Noi non le chiamiamo “sfide” ma “opportunità”. Se l’innovazione è un hype, noi la inseguiamo. Dopo aver mappato e valutato i nostri processi, abbiamo individuato alcune aree dove la tecnologia avrebbe potuto contribuire a ridurre l’effort, permettendoci di generare più piani media con una logica consulenziale più profonda. Da qui siamo arrivati a progettare anche algoritmi verticali customizzati per i diversi settori merceologici, per renderli più efficaci e appropriati ai diversi percorsi di acquisto.

Quali sono, secondo te, le caratteristiche che in un centro media non possono mancare per essere innovativo?
Penso che tra gli elementi che contraddistinguono i centri media più avanzati oggi c’è, di sicuro, un modello aperto e interoperabile. Poi la capacità di connettere mondi diversi. Il media, la creatività, la tecnologia devono convivere e supportarsi. In dentsu, per esempio, non esistono silos. I team lavorano insieme, condividono linguaggi e obiettivi ed è questo approccio che ci permette di costruire soluzioni interoperabili, capaci di adattarsi ai contesti dei clienti e dialogare con altri sistemi. L’innovazione non è mai un esercizio chiuso. Se non sai aprirti, se non progetti pensando all’integrazione, sei destinato a rimanere indietro.
In che modo in Dentsu adottate l’AI?
L’abbiamo introdotta partendo, ancora una volta, dalle nostre esigenze. Abbiamo partecipato al programma pilota di Microsoft Copilot e, dopo diversi test, abbiamo capito dove poteva davvero semplificarci la vita. Oggi l’AI ci aiuta nei processi interni e anche in ambito creativo. Ma voglio sottolineare che l’Intelligenza artificiale è uno strumento, non un sostituto, e non deve essere a uso esclusivo. L’unico vero essere pensante e creativo è l’uomo. Nessun algoritmo potrà replicare l’intuizione, l’ironia, la sensibilità, il senso critico, la capacità di leggere il contesto. Personalmente, considero l’AI la più grande innovazione delle ultime decadi, ma per estrarne valore servono competenze. Senza l’analisi umana, i suoi input e i suoi output rischiano di essere poco rilevanti, dei meri replicanti. E noi vogliamo l’opposto: tecnologia che genera impatto reale e non uno strumento a sostegno dell’apparenza.

Una questione di mindset, quindi?
Assolutamente. Rispetto al 2010, oggi vedo aziende italiane con un livello di competenze molto più alto. Ma il salto vero si fa quando si abbandona la logica tattica e si inizia a ragionare in modo strategico. L’innovazione non si improvvisa. Si costruisce. Con pazienza, sperimentazione, misurandone i risultati. E serve crederci. Investire tempo, energie, visione, in alcuni casi anche accettare il fallimento.
Secondo te quali sono i limiti dell’AI?
Credo che oggi l’AI sia più un hype di quanto sia realmente adottata. E se rimane un’innovazione di nicchia non aiuta nessuno e non porta alcun vantaggio alla società. La nostra mission, invece, è fare in modo che la tecnologia aiuti le persone. Abbiamo scelto un modello B2B2S (Business to Business to Society) perché crediamo che l’innovazione debba avere un impatto ampio e condiviso. Le aziende italiane hanno le competenze, gli strumenti, l’accesso alla tecnologia, ma fanno fatica nel mindset. Serve più fiducia nei propri mezzi, meno complessità. Gli asset ci sono. Ora bisogna crederci davvero.
Della tua carriera quali sono i momenti cruciali che ricordi con più emozione?
Gli inizi, senza dubbio. Nel 2005 in Dentsu stavo gestendo una delle prime campagne di keyword advertising. Era tutto nuovo, tutto da costruire. Poi è arrivata l’esperienza con Meta, che mi ha insegnato cosa significa, davvero, innovare. Con Meta e Luxottica abbiamo lanciato il primo smartglass con funzioni telefoniche: un progetto che sembrava fantascienza, ma che ora è realtà diffusa. E oggi siamo di nuovo davanti a una rivoluzione. L’AI è ovunque, stiamo assistendo a un’esplosione, e il punto non è subirla ma comprenderla. Saperne cogliere i lati più interessanti, usarla bene, con intelligenza. Come sempre, sarà chi sa interpretarla a fare la differenza.