«When the world stays silent, we set sail». La convinzione degli impavidi della Global Sumud Flotilla che punteranno la prua delle imbarcazioni verso Gaza è che non ci sia più tempo per rimandare.
In queste ore, infatti, alle spalle dei palestinesi incombono la minaccia israeliana di una occupazione ormai imminente e, soprattutto, le truppe dell’IdF (Forze di Difesa israeliane) decise a porre fine con quest’ultima azione di terra alla guerra iniziata circa due anni fa a seguito del sanguinoso attentato del 7 ottobre 2023 da parte dei terroristi di Hamas che si sono rifugiati poi nella Striscia portando con sé gli ostaggi israeliani.
Tutto il mondo vuole la pace nell’area, ma tutto il mondo al contempo si domanda a quale pezzo sarà ottenuta, dato che Israele intende perseguire la via della forza con spedizioni militari che comporteranno la deportazione della popolazione che occupa lo scacchiere del conflitto.

Una popolazione già allo stremo delle forze: da quasi due anni, infatti, gli abitanti di quel sottile lembo di terra sono stati quotidianamente bombardati con missili e droni di Israele. Una risposta bellica che anche il governo italiano, ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ritiene ormai essere andata «oltre il requisito di proporzionalità, mietendo troppe vittime innocenti».
Tutti i numeri della Global Sumud Flotilla
Gli attivisti della Global Sumud Flotilla denunciano i crimini commessi dal governo israeliano di Benjamin Netanyahu (inseguito da fine 2024 da un mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità destinato però a restare lettera morta dato che Tel Aviv non ne riconosce la giurisdizione) come pure l’attendismo di tutti i governi europei accusati di non aver preso una posizione forte e decisa nonostante l’uccisione continua di civili, operatori umanitari, volontari internazionali e giornalisti.
E non ci stanno a passare dalla parte sbagliata della Storia, quella con l’iniziale maiuscola, volendo testimoniare l’esistenza di un movimento globale (Global, appunto) a tutela della resistenza (“sumud”) palestinese. Parteciperanno 500 persone da quasi 40 Paesi su 50 navi grandi e piccole.

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Oggi salpano le navi dalla Spagna, il prossimo 4 settembre sarà la volta di quelle che partiranno dai porti italiani. A Genova i “camalli” (ovvero i lavoratori del porto) si sono mobilitati in massa per raccogliere beni di prima necessità a favore degli sfollati cui, dopo oltre 22 mesi di bombardamento, non è rimasto più nulla.
Sono tantissimi i rappresentanti della società civile (intellettuali, cantanti, attori) ad aver prestato il proprio volto per una campagna esclusivamente social perché, dicono taluni, volutamente ignorata sia dalle televisioni sia dalla carta stampata.
Tra i primi ad aderire con un video per Instagram e Facebook lo storico Alessandro Barbero sulla cui figura, contestualmente, nei giorni scorsi è scoppiata una shitstorm su X secondo un modo ormai sempre più frequente di ribattere all’avversario insultandolo sul piano personale così da eludere la discussione nel merito.
Perché, anche se può sembrare lunare, qui in Italia ci si divide tra Guelfi e Ghibellini pure su di un argomento che dovrebbe vederci graniticamente compatti come l’assedio di Gaza, con una sparuta parte dell’informazione che mette sistematicamente in dubbio che le condizioni in cui versano i palestinesi siano così preoccupanti, nonostante i report e le prese di posizione dell’Onu giudicati – sempre da costoro – parziali e inaffidabili.
Da qui anche l’ostilità per Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati che con maggior veemenza si è esposta contro Israele per i crimini di guerra a Gaza sottolineando pure il possibile ruolo di multinazionali per lo più americane e israeliane, anche tra le Big Tech.
Ma la Global Sumud Flotilla veleggerà lontana da simili mareggiate inconcludenti che rischierebbero solo di spingerla nelle secche, facendo invece rotta verso chi ha bisogno di tutto. I pericoli non mancano: la missione è perfettamente legale ma chiede di spingersi fino alle coste di un Paese in guerra.
Inoltre non è affatto ben vista dall’esercito israeliano, che è sempre intervenuto per intercettare e bloccare le precedenti spedizioni. Nel 2010, la nave turca Mavi Marmara fu abbordata in acque internazionali dalle forze israeliane: dieci attivisti furono uccisi, molti altri feriti. Ma questa volta si confida nel numero: non s’era mai vista una missione umanitaria così enorme, talmente partecipata.

Non si era nemmeno mai visto un simile tam tam social che ha coinvolto soprattutto i giovani e i giovanissimi – talvolta ingiustamente accusati da chi è più grande di essere del tutto indifferenti agli accadimenti nel mondo – che hanno firmato appelli, inviato post di sostegno e in diversi casi chiesto come contribuire o addirittura cosa fare per salpare assieme agli attivisti. Un sano risveglio delle coscienze nell’ora più buia di Gaza.