«Mi sentivo come un pesce fuor d’acqua quando ho conosciuto il mondo delle startup. Non avevo mai studiato le STEM. Poi ho capito che si può fare innovazione sul campo, anche se non si ha una preparazione prettamente scientifica. Serve impegno, costanza e buona volontà ma ci si può riuscire. Proprio questo è il mio caso». A raccontare la sua storia in questa nuova puntata di Unstoppable Women è Marta Pisani, attuale COO e co-founder di Green Independence, startup cleantech impegnata ad accelerare la transizione dai combustibili fossili per affrontare sfide globali come la decarbonizzazione industriale, la scarsità d’acqua e l’intermittenza delle fonti rinnovabili.

Marta, quale è il tuo percorso accademico e quando hai deciso di fare la startupper?
Sono nata a Brindisi nel 1991 e ho studiato Scienze politiche e Relazioni internazionali. Mi ha sempre molto affascinato il mondo del marketing e della comunicazione anche se a me piace stare dietro le quinte. Dopo un master in Political Marketing mi sono dedicata soprattutto a questo ambito, nel comparto sales per una società di consulenza che si occupava di impatto energetico, mondo del green e sostenibilità. Poi ho avuto occasione di conoscere Alessandro (ndr, Monticelli, CEO, CTO e co-founder di Green Independence) anche lui è di Brindisi come me e, tramite amicizie in comune, mi ha raccontato di questa sua idea imprenditoriale che avrebbe voluto portare avanti. Mi ha molto colpito la passione con cui me ne parlava, così sono stata “trascinata” (positivamente) in questo progetto.
Non ti ha impaurita il fatto che tu, appunto, non venissi dal mondo dell’imprenditoria?
All’inizio si, io non ho un background tecnico nonostante oggi lavori in una startup hi-tech, ma nel mio percorso professionale ho sempre ricoperto ruoli eterogenei. Inizialmente però si mi sono sentita come un pesce fuor d’acqua anche se ero convinta che avrei saputo trovare la chiave giusta perché mi aveva appassionata tantissimo.

E così ti sei buttata a 360 gradi in questa nuova avventura..
Esattamente, ho trovato la mia nicchia e il modo di creare un ponte tra quello che avevo fatto sino ad allora e quello che mi richiedeva prendere parte a una startup. Si parla tanto delle donne nelle STEM ma credo anche che si possa dare un peso anche alle donne che, con la loro competenza, portano valore aggiunto a startup a carattere tech. Questo è stato proprio il mio caso. Alessandro è la mente tech e di sviluppo del progetto, io il braccio operativo che trasforma i contenuti in messaggi chiari e comprensibili al pubblico.
Di che cosa si occupa principalmente Green Independence?
È nata nel 2020, io ero già on-board ma non full time. Nel 2021 mi sono staccata dal mio lavoro principale per dedicarmi al 100% al progetto. L’idea tech nasce durante il percorso accademico negli USA di Alessandro, lui ha studiato anche a Chicago e in quella sua esperienza ha avuto l’opportunità di approfondire il concetto di “foglia artificiale” grazie a un professore in particolare che gli ha illustrato come un foglio di silicio nell’acqua produce bolle di idrogeno quando bolle. Così nella sua testa è scattata quella scintilla che ha dato il via al tutto. Abbiamo pensato che quella tecnologia potesse essere applicabile in tanti contesti per portare all’indipendenza energetica. E da progetto tech è diventato un progetto imprenditoriale. In particolare, la missione di Green Independence è sviluppare tecnologie scalabili e accessibili in grado di favorire la decarbonizzazione industriale rendendo disponibile idrogeno verde a costi competitivi. Allo stesso tempo, vogliamo rendere il processo di purificazione dell’acqua energeticamente positivo e promuovere la produzione di energia decentralizzata, riducendo la dipendenza dai combustibili fossili.
Quale è il vostro punto di forza?
Il cuore dell’innovazione di Green Independence è New Artificial Leaf (NAL), un innovativo pannello solare multifunzionale che offre una soluzione unica e integrata. NAL nello stesso momento genera elettricità rinnovabile, purifica le acque reflue e l’acqua di mare e sfrutta l’energia e l’acqua prodotti per produrre idrogeno verde in loco. Il calore in eccesso disperso dal pannello fotovoltaico viene sfruttato da NAL per desalinizzare l’acqua di mare o depurare le acque reflue, lasciando che il fotovoltaico continui a produrre energia rinnovabile. Utilizzando l’energia generata dal pannello e una parte dell’acqua depurata, NAL produrrà idrogeno verde al costo di 1 euro/kg, rendendolo più conveniente dei combustibili fossili. Così abbiamo realizzato una tecnologia capace di produrre energia solare, acqua purificata e idrogeno verde in maniera decentralizzata, modulare, scalabile e adattabile a più esigenze.

E tu oggi sei tornata a vivere a Brindisi?
Si, dopo aver collaborato per un certo periodo con il Politecnico di Torino, con cui tutt’oggi lavoriamo, ho pensato che avrei voluto che questa tech company nascesse a casa mia. Figlia del profondo Sud, proprio come me e Alessandro, terra che è stata penalizzata dal punto di vista ambientale con la centrale Enel Federico II, la seconda più grande d’UE che stanno dismettendo, e la vecchia ILVA di Taranto. Un territorio segnato dall’attività legata ai combustibili fossili. Così abbiamo preso in considerazione l’idea che questa era la città giusta dove portare avanti il nostro progetto. Far arrivare qui energie rinnovabili e soluzioni sostenibili è una rivalsa non indifferente. Inoltre, c’è anche la questione della decentralizzazione con la tecnologia off-grid che non è connessa alla rete elettrica. Vogliamo dare anche noi il nostro contributo alla reindustrializzazione di Brindisi con una forte propensione per progetti sulla sostenibilità e sfruttare questo potenziale.
Che cosa consiglieresti ad altre giovani che come te oggi stanno affrontando le stesse difficoltà?
Di non scoraggiarsi, che si può lavorare nel tech anche se non si proviene da un ambito STEM. L’innovazione ha bisogno anche di ruoli ibridi e figure che sanno tradurre, mediare, progettare e mettere a terra. A volte i tecnici sono sempre un po’ innamorati dei loro tecnicismi, ma io credo che invece sia più utile e abbia un impatto maggiore semplificare e parlare la lingua di tutti.